Nella tarda serata dautunno nella piccola città di Borgoforte, la piazza del mercato brulicava del solito vociare del sabatoi venditori che gridavano le offerte, un carillon di ottono che tintinnava vicino a una bancarella di artigianato, foglie che danzavano in piccoli vortici lungo i vicoli acciottolati. Nellaria si mescolavano il profumo dolce delle mele del frutteto e il calore burroso delle sfogliatelle appena sfornate. A Borgoforte tutti si conoscevano. Avevano le loro pesche preferite, i loro scherzi sul tempo e il posto preferito sul muretto basso dove, alle quattro, lombra dellorologio divideva la piazza a metà.
Lorenzo aveva dieci anni e sapeva che nulla di tutto questo gli apparteneva.
Si muoveva ai margini con la discrezione di chi aveva imparato la differenza tra essere invisibile e essere ignorato. Invisibile era unabilità; ignorato, un pericolo. Teneva la giacca leggera ben stretta e gli occhi fissi sul bersaglio: la cassa del droghiere dove le bottiglie di latte sudavano al sole fioco. Aveva visto la donna comprarne unainfilata con cura nella borsa di tela con ricami a fogliementre chiacchierava con un fioraio di crisantemi.
Era una donna anziana, elegante, con i capelli argento a caschetto, un cappotto di lana azzurro e guanti di pelle color crema. La sua voce era calma e pacata, sembrava ammorbidire laria attorno a lei. Tutti la chiamavano la signora Elena Fiore. Alcuni aggiungevano “quella della villa oltre il Ponte Vecchio”, “discendente dei fondatori del mulino”, “generosa con la gala dellospedale”. Per la maggior parte, era unistituzionecome la biblioteca o il campanile o il tiglio che ogni ottobre si tingeva doro. Lorenzo, per i prossimi tre minuti, la pensò solo come la donna che aveva il latte.
Bianca ne aveva bisogno. Bianca aveva un anno. Non piangeva forte, ma emetteva suoni lievi come quelli di un uccellino, che si insinuavano sotto la pelle di Lorenzo e lo spezzavano da dentro. Laveva lasciata avvolta in una coperta e nella sua felpa, nascosta nellangolo della lavanderia del vecchio albergo, dove le asciugatrici tenevano caldo anche quando erano spente. Sarebbe stato via cinque minuti, sette al massimo.
Il piano era semplice. La borsa di tela pendeva bassa sul braccio della donna. Il vicolo accanto alla bancarella dei fiori formava un passaggio stretto, nascosto dalla vista della piazza. Poteva sfiorarla, prendere la bottiglia e sparire prima che qualcuno si accorgesse di lui.
Il mondo si ridusse a un battito. Contò: uno, due, tre
Lorenzo si mosse.
La sua mano scivolò tra la borsa e il gomito della donna con precisione. Sentì il bordo fresco della bottiglia, tirò e si voltò in un unico movimento
Ma anche la donna si voltòforse per ammirare un mazzo di crisantemie la maniglia della borsa si impigliò per un attimo al suo polso. La stoffa tirò, la bottiglia sfiorò il bordo della borsa, e il rumore della carta strappata risuonò più forte di un urlo.
“Scusami,” disse la donna, non con tono severosolo sorpresa.
Lorenzo non si voltò. Sfrecciò nel vicolo, oltre le tovaglie piegate, le scatole di garofani, un uomo che caricava zucche nel bagaglio di una macchina. La bottiglia gli batteva contro le costole. Corse con la sicurezza di chi sapeva come svanirea sinistra dalla libreria, a destra al lampione, una corsa dietro la bacheca piena di volantini per babysitter.
Alla fine del vicolo si fermò. Aspettò nellombra profumata delle balle di fieno, respirò a fondo e ascoltò.
Niente.
Sentì di nuovo la piazzale voci, le risate, il carillontutto tranquillo. Premette la bottiglia contro il petto. Era più pesante del previsto. Profumava come avrebbe dovuto profumare casa, se mai ne avesse avuta unapulito, dolce, buono.
Camminò in fretta. Correre attirava sguardi. Camminare, invece, lasciava spazio alle supposizioni. Un ragazzo di commissione. Un ragazzo senza meta. Un ragazzo che aveva fretta di andare al calcio. Teneva la bottiglia come se fosse sua e svoltò in Via del Tiglio, oltre una staccionata scrostata e un disegno col gesso di un sole che sorrideva sopra una casetta traballante.
Dietro di lui, a una distanza misurata, Elena Fiore lo seguiva.
Non cera nulla di drammatico in quello. Non chiamò aiuto né cercò un carabiniere (a Borgoforte cera solo lagente Marco, che passava il tempo a districare i percorsi delle parate e a salvare gatti). Non camminò neppure più veloce del solito. Semplicemente raccolse la borsa, lasciò i crisantemi al fioraio con un “Tieni questi, per favore?”, e iniziò a seguire il ragazzo che le aveva preso il latte.
Più tardi, non avrebbe saputo spiegare perché lo fece. Forse era il modo in cui la sua mano aveva tremato quando aveva sfiorato la tela della borsa. Forse era il modo in cui non correva come un ladro, ma come un messaggero con qualcosa di urgente e piccolo come un battito. Forse era il piccolo luccichio argenteo che aveva visto alla sua gola quando si era voltato, e aveva sentitoassurdamente, inspiegabilmentequalcosa nel suo petto rispondere.
Lorenzo attraversò il Ponte Vecchio, dove le case si diradavano in una fila di vecchie ville e querce che resistevano allautunno. Tagliò dietro la trattoria chiusa, oltre il cassonetto che odorava di sciroppo, e costeggiò il vecchio albergo ai margini del paese. Il Locanda del Tiglio era stato una volta turchesese si credeva alla cartolina incollata dietro il vetro della receptionma il tempo lo aveva sbiadito a un azzurro pallido. Una striscia di festoni natalizi sventolava dalla grondaia come una bandiera stanca.
Entrò dalla porta laterale della lavanderia.
Elena si fermò nel vicolo e contò fino a dieciunabitudine di unaltra vita, per un altro tipo di attesa. Poi entrò dalla stessa porta.
Dentro, la lavanderia era calda del residuo tepore delle macchine spente. Odorava di sapone e forse un po di monete. In un angolo, una bambina emetteva un suono lievecosì piccolo che sembrava quasi una scusa per esistere. La stanza era buia, solo metà delle luci funzionavano. Un passeggino vissuto poggiava contro un distributore rotto.
Lorenzo era in ginocchio, cercando di aprire la bottiglia con una mano mentre con laltra reggeva la testa di una bambina con riccioli scuri e occhi grigio-azzurri come la nebbia sul fiumeocchi da persona matura in un viso minuscolo. La manina della bambina si apriva e chiudeva come una stella marina.
“Shh,” sussurrò. “Eccola. Bianca, ce lho.”
Versò il latte nel biberon così velocemente che ne rovesciò solo un po. Sollevò la bambina con una delicatezza più istintiva che appresa, e lei si attaccò con un sospiro così profondo che sembrava quello di un adulto che ha appena posato un peso