UN GESU’ AMICO A CUI HO OFFRITO COLAZIONE PER ANNI – POI 12 SCONOSCIUTI SONO ARRIVATI AL MIO MATRIMONIO

Ogni mattina, per anni, ho seguito lo stesso percorso verso la piccola pasticceria dove lavoravo. Ma la mia giornata iniziava davvero solo quando mi fermavo davanti alla scalinata di Santa Maria del Fiore, dove sedeva sempre Enzo.

Non chiedeva mai nulla. Stava lì, immobile, le mani appoggiate sulle ginocchia, lo sguardo perso nelle nuvole. La gente lo ignorava, ma io lo vedevo. E sicché lavoravo in pasticceria, decisi di portargli qualcosa: una cornetto avanzato, una fetta di torta, un panino caldo.

All’inizio, non parlava. Prendeva il cibo con un cenno del capo e basta. Poi, una mattina d’inverno, gli portai due caffè.

“Grazie,” mi disse, avvolgendo le mani attorno alla tazzina. “Tu non scordi mai.”

La sua voce era roca, come se non l’avesse usata da tempo.

“Sono Chiara,” risposi.

“Enzo,” sussurrò.

Col tempo, iniziò a parlarmi. Mi disse che un tempo faceva il falegname, ma la vita l’aveva spezzato. Aveva perso la moglie, poi la casa, e a poco a poco, il mondo sembrò dimenticarsi di lui. Ma io no.

Non gli feci mai domande, non lo misi mai a disagio. Gli portavo solo qualcosa da mangiare. Il giorno del suo compleanno—scoperto per caso—gli portai una fetta di torta al cioccolato con una candelina sopra.

“Non me lo ricorda nessuno… da una vita,” mormorò, gli occhi lucidi.

Gli posi una mano sulla spalla. “Tutti meritano di essere festeggiati.”

Passarono gli anni. Aprii una mia pasticceria con i risparmi, mi fidanzai con Matteo—un uomo buono, che amava i libri e credeva nelle seconde possibilità. Ma ogni mattina, continuavo a fermarmi da Enzo.

Fino a una settimana prima del mio matrimonio, quando il suo posto rimase vuoto. Chiesi in giro, ma nessuno sapeva dov’era. Lasciai un panino, ma rimase intatto.

Il giorno delle nozze arrivò, un pomeriggio dorato nel giardino di una villa toscana, tra fiori e risate. Mentre mi preparavo a entrare, accadde qualcosa di inaspettato.

Dodici uomini sconosciuti fecero ingresso, vestiti con camicie stirate e pantaloni puliti, ognuno con un fiore di carta in mano. Uno di loro, un uomo anziano dai capelli argento, si avvicinò.

“Sei Chiara?” domandò.

Annuii, confusa.

Mi porse una lettera. “Enzo ci ha chiesto di venire al tuo posto. Non ce l’ha fatta.”

Il cuore mi si fermò.

Aprì la busta con mano tremante.

“*Cara Chiara,*
*se leggi queste righe, vuol dire che non sono riuscito a vederti sposarti. Ma ti ho mandato dodici testimoni—uomini che, come me, hanno perso tutto, eppure hanno ritrovato un po’ di speranza grazie a te.*
*Tu mi hai trattato come un uomo, non come un’ombra. E per questo, ti lascio la mia gratitudine, e quella di chi ha conosciuto la tua gentilezza attraverso di me.*
*Enzo.*”

Non riuscivo a trattenere le lacrime. Né io, né gli invitati.

Quegli uomini sedettero in silenzio durante la cerimonia. A tavola, ciascuno lasciò un biglietto con parole semplici:
– “Mi hai ricordato che esisto.”
– “Enzo diceva che il tuo sorriso gli dava forza, e ora la dà a noi.”
– “Grazie per aver visto chi tutti ignoravano.”

Dopo il matrimonio, andai nel dormitorio dove Enzo aveva vissuto. Mi dissero che aiutava i nuovi arrivati, insegnava loro a lavorare il legno, e parlava sempre di “quella ragazza della pasticceria”.

“Disse che gli hai salvato la vita,” mi confessò un volontario. “Ma soprattutto, gli hai mostrato che l’amore esiste ancora.”

Appesi la sua lettera in cornice, accanto a una foto del matrimonio—quella dei dodici uomini sotto l’arco di fiori.

Davanti alla mia pasticceria, ora c’è una panchina di legno. Su una targa c’è scritto:

“*Per Enzo—che ci ha insegnato come un piccolo gesto possa durare per sempre.*”

Oggi, quando vedo qualcuno solo, penso a lui. Non perché era senza casa. Ma perché era un uomo. E tutto ciò che voleva era che qualcuno lo vedesse.

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