**Diario Personale: Un giorno qualunque e il divorzio**
Ho messo il bollitore sul fuoco e ho passato un panno sul tavolo, anche se era già pulito. Piccoli gesti abituali. Edoardo era già uscito per lavoro senza salutarmi, come negli ultimi mesi. Solo la porta che sbatte. Prima, entrava sempre in cucina, mi baciava sulla guancia e diceva qualcosa di dolce. Ora… ora viviamo come coinquilini in una pensione.
Il bollitore fischiò. Versai l’acqua bollente nella mia tazza preferita, quella con le rose che Edoardo mi regalò per il nostro primo anniversario di matrimonio. Trentadue anni fa. Dio, come passa il tempo…
—Mamma, dov’è il mio maglione blu?— Entrò in cucina Viola, la nostra figlia maggiore. A ventotto anni abitava ancora con noi, per risparmiare sull’affitto. —Te l’ho chiesto ieri di lavarlo!
—È steso in balcone. Violina, forse è ora che tu vada a vivere da sola… sei già grande…
—Mamma, non cominciare! Ho già mal di testa stamattina.— Prese un caffè dalla moka che avevo preparato.— A proposito, papà ultimamente è strano. Ieri sera parlava a bassa voce al telefono, ma appena sono entrata ha riattaccato.
Trasalii. L’avevo notato anch’io. E non solo ieri.
—Sarà qualcosa di lavoro,— mentii a lei e a me stessa.
—Dai, mamma! A mezzanotte? Non fa il chirurgo.— Alzò le spalle e corse via.
Rimasi sola con i miei pensieri. Edoardo era davvero cambiato. Prima mi raccontava tutto: il lavoro, i colleghi, i progetti per il fine settimana. Ora taceva come se avesse un segreto da nascondere. E il telefono lo teneva stretto come uno studente con un brutto voto.
Quella sera preparai le sue polpette preferite, sperando che a cena potessimo parlare come una volta. Viola era uscita con un’amica, eravamo soli. Era il momento perfetto.
Edoardo tornò tardi, verso le nove. Avevo già chiamato più volte, ma non aveva risposto.
—Dove sei stato?— lo aspettai nell’ingresso.
—A lavoro. Un rapporto urgente.— Non mi guardò, andò direttamente in bagno.
—Edo, ho fatto le polpette che ti piacciono. Mangiamo insieme?
—Non ho fame. Sono stanchissimo.— La sua voce era spenta.
Rimasi in corridoio un attimo, poi tornai in cucina. Le polpette si raffreddavano nella padella. Mi sedetti, versai un tè e piansi. Piano, perché non mi sentisse.
Quando uscì dal bagno, passò davanti alla cucina senza fermarsi. Sentii il chiavistello della camera da letto chiudersi. Si era chiuso dentro. Per la prima volta in trentadue anni.
Quella notte rimasi sul divano in salotto a pensare. A quando era cambiato tutto. A perché eravamo diventati estranei. A cosa fare, forse, per cambiare davvero.
La mattina dopo Edoardo uscì prima del solito. Non lo sentii nemmeno prepararsi. Mi svegliai al rumore della porta d’ingresso.
—Mamma, cos’è successo? Perché dormi qui?— Viola era sulla soglia, ancora assonnata.
—Così, mi faceva male la schiena. È più comodo.— Mi alzai, piegai la coperta.
—Mamma, non mentire. Non sono cieca. Avete litigato con papà?
—Violina, non è affar tuo. Vai a fare colazione.
—Come non è affar mio? Io vivo qui! E vedo cosa succede!— Si sedette accanto a me.— Parlami. Forse posso aiutarti.
La guardai. Era grande, lavorava, era indipendente. Forse era giusto aprirmi.
—Io e tuo padre… siamo diventati estranei. Mi evita, non parla. E io non so cosa fare.
—Hai provato a parlargli davvero?
—Sì. Ma lui si chiude o cambia discorso.
—Pensi che ci sia un’altra?— lo disse piano, ma io la sentii.
Ci avevo pensato, ma scacciavo subito l’idea. Edoardo era un uomo perbene, un padre di famiglia. Eppure… la gente cambia.
—Non dire sciocchezze,— replicai.
—Mamma, sono grande. So che può succedere di tutto tra un uomo e una donna. Soprattutto dopo tanti anni.
Mi alzai per preparare la colazione. Viola mi seguì.
—Ascolta, se papà è cambiato così tanto da ignorarti, forse è il caso di pensare al… divorzio.
—Viola!— mi girai di scatto.— Come puoi dirlo?
—Perché? Vivere con chi ti tratta come un’estranea? Non è vita, è sofferenza!
—Siamo insieme da trentadue anni!
—E allora? Se per lui non contano nulla, perché dovrebbero contare per te?
Riflettei. Forse aveva ragione. A che serve aggrapparsi a qualcosa che non esiste più? Ma cambiare tutto a cinquantacinque anni mi spaventava.
Quella sera mi decisi. Aspettai che Edoardo rientrasse e andai subito da lui.
—Edo, dobbiamo parlare.
—Di cosa?— nemmeno mi guardò dal telefono.
—Di noi. Del nostro matrimonio. Di quello che sta succedendo.
—Non sta succedendo nulla.— Cercò di passare oltre, ma gli barrai la strada.
—Fermo! Sto parlando con te!
Finalmente mi guardò. Nei suoi occhi c’erano stanchezza e qualcos’altro. Irritazione? O colpa?
—Serena, non ora. Sono stanco.
—Lo sei sempre quando voglio parlare. Ma io non ce la faccio più! Siamo estranei! Mi eviti, dormi da solo…
—Cosa vuoi che ti dica?— scattò.— Che stiamo bene? Che siamo una coppia felice? Non abbiamo più niente in comune! Sei sempre insoddisfatta, sempre che critichi!
—Io, insoddisfatta?— sentii ribollire la rabbia.— Ho passato trentadue anni a servirti! Cucinare, pulire, crescere i tuoi figli! E tu mi dici che sono io quella insoddisfatta?
—Sì! E cammini sempre con quella faccia stanca! Sempre a lamentarti!
—Di cosa? Che non mi parli? Che fai finta che non esisto?
—Basta!— alzò una mano.— Sono stanco di questa casa, di queste discussioni!
—Di me,— sussurrai.
Tacque. E quel silenzio fu più eloquente di mille parole.
—Bene,— dissi.— Allora divorziamo.
—Cosa?— rimase scioccato.
—Hai capito. Se ti sono diventata un peso, se sei stufo, separiamoci. A che serve soffrire?
—Serena, ma sei impazzita? Divorziare alla nostra età?
—C’è un’età per smettere di soffrire?— Sentii un sollievo strano. Le parole erano uscite, la decisione era presa.— Hai ragione, Edo. Siamo estranei. Non ha senso fingere.
—Ma Viola…
—Viola è grande. Capirà.
Si sedette, si passò le mani sul volto.
—Serenella, forse è troppo drastico… Possiamo provare ancora?
—Provare cosa, Edo? Hai detto che sei stanco di tutto. E sai una cosa? Anche io.
—Ti ho delusa…
—Quando? L’ultima volta che mi hai detto qualcosa di dolce? Che ci siamo parlati davvero? Che mi hai abbracciata senza motivo?
Tacque. Perché non c’era risposta.
—Vedi?— sorrisi triste.— Io lo ricordo. Ricordo com’eri prima. Ma quel Edo è sparito. E con questo qui nonE ora, mentre sorseggio il mio caffè guardando il sole che entra dalla finestra, mi rendo conto che forse la libertà è l’unico regalo che quel matrimonio poteva ancora farmi.