**Diario di un uomo – Una questione di karma**
Era un sabato quando portai il mio cane alla clinica veterinaria per il vaccino. Prenotai il mio turno e notai un anziano signore dall’aspetto un po’ trasandato ma pulito. Mi sembrava di conoscarlo. Guardai meglio: era il mio vicino, Nicola Bianchi. L’uomo si agitava, chiamando a gran voce il veterinario. Mi avvicinai.
«Che succede?»
«Una macchina ha investito un cane. L’ho raccolto per strada. Serve un chirurgo subito!»
«Ma hai abbastanza soldi?»
«Non lo so, figliola.»
Bianchi si frugò le tasche. Trovò circa 90 euro e si illuminò.
«Dovrebbero bastare. Ho fatto qualche lavoretto, ho avuto fortuna.»
Il cane, un levriero, guaiva disperato. Sospirai. A giudicare dalle ferite, aveva almeno una zampa rotta, e l’operazione sarebbe costata non meno di mille euro. Un uomo elegante, che teneva in braccio un gatto di razza costosissima, ci osservò.
«Figliola, non potevo lasciarlo là», sospirò Bianchi. «Strada facendo urlava, e tutti passavano di corsa. Ma era una creatura viva!»
«Chiamerò mia moglie, Carla, ha ancora una trentina di euro da parte. Tanto per sicurezza.»
L’uomo con il gatto mi fece un cenno.
«Lo conosci?»
«Vive nel palazzo accanto. Aveva un cane con tre zampe, un pastore tedesco. Morì a quindici anni. Anche quello l’aveva raccolto investito, e i padroni lo avevano abbandonato.»
L’uomo annuì, si avvicinò alla reception e ordinò:
«Chiamate il chirurgo. Accettate il signore e il suo cane. Fatemi il conto, lo pago io, ma prendete anche i suoi soldi. Senza dirgli quanto costa.»
Arrivò il veterinario. Il conto fu di quasi 1.700 euro. Novanta da Bianchi, il resto da quell’uomo—Roberto De Luca.
Feci vaccinare il mio cane e tornai a casa. Bianchi attese fuori dalla sala operatoria. Passò del tempo, e quel levriero cominciò a girare nel quartiere con lui o sua moglie. Zoppicava un po’.
«Buongiorno, signor Bianchi.»
«Buongiorno, figliola.»
«Vedo che il cane è rimasto con voi.»
«Sì, ho trovato i padroni. Ma dissero che ormai non serviva più, non era adatto alle mostre. Pazienza, fa compagnia a Carla. Mio figlio gli ha comprato cibo speciale e vitamine. E io ho trovato un lavoro come portiere, prendo 1.200 euro al mese. Andrà tutto bene. L’abbiamo chiamato Leo.»
Due mesi dopo, tornai in clinica col cane, che s’era ammalato. Aspettando il nostro turno, ecco riapparire Bianchi. Teneva in braccio un gattino malconcio, ferito e coperto di catrame. Contava i soldi, visibilmente preoccupato: non bastavano.
«L’ho strappato a un branco di ragazzacci», spiegò. «Lo torturavano, quei maledetti!»
«Manca solo quello col gatto di razza», pensai.
Ed ecco che la porta si aprì. Entrò Roberto De Luca col suo Bagheera. Foi gli occhi su Bianchi, che continuava a contare spiccioli. Dal gattino stillava sangue.
«Karma!» esclamò Roberto, e si diresse alla reception.
«Visitate il signore e il gatto, pago io.»
Il gattino fu operato, il mio cane visitato, e Roberto pagò tutto, comprando anche medicine. Bianchi lo tenne con sé, chiamandolo Pippo.
In primavera, tornai in clinica per l’antiparassitario. Incontrai Roberto.
«Manca solo Bianchi con qualche bestiola», rise.
«Arriverà a momenti», sorrisi.
La porta si aprì. Entrò Bianchi, con qualcosa avvolto nella giacca. Accanto a lui, Carla.
«Che è successo?» chiesi.
«Carla l’ha salvato da un branco di gatti randagi», disse Bianchi, tirando fuori un pappagallo ara bagnato.
«È domestico», osservai. «Avrà un nome. Chissà? Forse Carlo.»
Il pappagallo sollevò la testa e gracchiò:
«Karma! Karma!»
Roberto sospirò, prese il portafogli e andò alla reception.
«Se capita ancora, porterò gli animali qui», rise Bianchi. «Fai pagare poco!»
Roberto lasciò alla clinica il suo biglietto da visita.
«Se arriva il signor Bianchi con un animale, chiamatemi. Pago io.»
Non c’è scampo. Karma.
*Autore: Elena Andriash*