Sono cresciuta in un orfanotrofio. La mia vita non ha preso una direzione chiara fino a quando non ho incontrato una dolce nonnina.
Fin dall’infanzia, la mia esistenza non è stata entusiasmante. Da neonata sono stata affidata a una casa famiglia, dove ho vissuto un’infanzia difficile e solitaria. Spesso trascorrevo le giornate seduta alla finestra della mia stanza, sognando che mia madre venisse da me, bella e affettuosa.
Dopo aver lasciato l’orfanotrofio, la mia vita è diventata ancora più complicata. Lavoravo in una fabbrica e vivevo in una piccola stanza di un appartamento con dei coinquilini poco raccomandabili: i genitori erano alcolizzati e i figli dei piccoli ladri. Un giorno, rientrando dal lavoro, trovai la porta della mia stanza scassinata e dentro tutto capovolto. Ovviamente, tutti i miei risparmi erano spariti. Non riuscii mai a trovare i colpevoli e nessuno confessò il furto. La mia pazienza era esaurita, così fui costretta a minacciarli di denunciarli alla polizia se i soldi non fossero tornati.
– Come osi accusare la nostra onesta famiglia di furto? – gridò la mia vicina, a malapena in piedi.
– Fuori di qui! – esclamò suo marito, afferrandomi per il maglione e buttandomi fuori dall’appartamento.
Seduta su una panchina del parco, piangevo amaramente chiedendomi perché mi stesse succedendo tutto questo. Era tardo autunno, piovigginava e faceva freddo. Non sapevo dove andare, non avevo amici né parenti.
– Cara, ti è successo qualcosa? – mi domandò un’anziana signora.
Guardandola, scoppiavo in lacrime. La signora si sedette accanto a me e mi accarezzò la schiena, cercando di consolarmi. Sentii subito il calore che emanava. Non so perché, ma le raccontai tutta la mia vita. Parlammo per due ore. Alla signora cominciava a far freddo, e il suo cane iniziava a lamentarsi piano.
– Vieni a casa mia. Ti offrirò un tè caldo e una torta, e domani decideremo cosa fare – disse la nonna, prendendomi sottobraccio. La seguii docilmente, percependo in lei un’anima affine.
Il giorno successivo andammo insieme alla stazione di polizia. Raccontai ai poliziotti tutto sui miei coinquilini e feci una denuncia formale. L’agente mi rassicurò che si sarebbe occupato della situazione e avrebbe avuto un serio confronto con quelle persone. Non avrebbero più potuto farmi del male. Quando tornai la sera a casa, Michele, il mio vicino, era sobrio.
Mi chiese scusa con le lacrime agli occhi e promise di restituire i soldi non appena avesse ricevuto lo stipendio. Ogni giorno, dopo il lavoro, andavo a trovare la signora. La nonna mi aspettava sempre alla finestra, salutandomi con la mano e andando in cucina per preparare il tè. Era vedova da molto tempo, e il destino non le aveva dato figli.
Ci affezionammo l’una all’altra, mi recavo da lei dopo il lavoro sapendo che qualcuno mi aspettava e aveva bisogno di me. La signora da tempo mi chiedeva di andare a vivere con lei, poiché era sola in un grande e spazioso appartamento. Rifiutavo, mi sentivo imbarazzata, sapendo che in fondo mi aiutava per compassione.
– Cara, stamattina ho avuto un attacco di pressione alta e non c’era nessuno che potesse passarmi un bicchiere d’acqua! Quante volte ti ho chiesto di trasferirti qui, per favore – disse, scoppiando in lacrime.
Mi sentii molto in colpa per il mio egoismo e promisei di prendere subito le mie cose e andare a vivere con lei. Il giorno dopo il trasferimento, mi portò dal notaio e decise di intestarmi il suo appartamento e la sua casa.
– Non ho nessuno all’infuori di te, e se non faccio questo, tutto andrà allo Stato. Voglio che tu abbia un posto dove vivere.