UN INSEGNANTE ANZIANO SALVÒ UN RAGAZZO DAL FREDDO E LUI RESTITUÌ IL GESTO DOPO SETTE ANNI

La mensa brulicava di chiacchiere tra studenti, il tintinnio dei vassoi e il sibilo della macchinetta che rifiutava un altro euro. Era un tipico pomeriggio gelido di dicembre al Liceo Garibaldi. La maggior parte dei ragazzi, stretti in gruppi attorno ai loro pranzi, ridevano, si scambiavano merendine e si lamentavano dei compiti.

Ma il signor Bianchi non guardava i tavoli rumorosi.

Stava osservando un ragazzo accanto alla macchinetta – solo, leggermente tremante sotto una felpa logora, le dita che contavano nervosamente qualche moneta. C’era qualcosa nel suo modo di stare, nelle spalle curve, nel suo evitare lo sguardo, che strinse il cuore del vecchio insegnante.

“Scusami, giovane,” lo chiamò, alzandosi dal tavolo.

Il ragazzo si irrigidì. Si voltò lentamente, guardinghissimo. I suoi occhi, grandi e diffidenti, incrociarono quelli del signor Bianchi solo un attimo prima di abbassarsi.

“Mi farebbe compagnia,” aggiunse il signor Bianchi con un sorriso gentile. “Perché non ti siedi con me?”

Il ragazzo esitò. Fame e orgoglio combattevano sul suo volto. Ma dopo qualche secondo, la fame vinse. Annuì e seguì l’insegnante a un tavolo in angolo.

Il signor Bianchi ordinò un’altra minestra, un panino e una tazza di cioccolata calda. Non ne fece una questione. Poggio semplicemente il vassoio davanti a lui, come fosse la cosa più naturale. Il ragazzo mormorò un grazie e iniziò a mangiare come se non avesse avuto un pasto caldo da giorni.

“Come ti chiami?” chiese il signor Bianchi, sorseggiando il suo caffè.

“Alessio,” rispose il ragazzo tra un boccone e l’altro.

“Piacere di conoscerti, Alessio. Io sono il signor Bianchi. Insegnavo qui, anche se ormai sono in pensione. Ogni tanto do una mano con il doposcuola.”

Alessio annuì. “Io non frequento questa scuola.”

Il signor Bianchi alzò un sopracciglio. “Oh?”

“Stavo solo passando di qui. Cercavo un posto caldo.”

La verità rimase sospesa tra loro, pesante ma non detta. Il signor Bianchi non indagò. Si limitò ad annuire e sorridere. “Be’, sei il benvenuto a condividere un pasto con me quando vuoi.”

Chiacchierarono un po’. Niente di profondo. Solo quel che bastava per sciogliere il gelo. Quando finirono di mangiare, Alessio si alzò in silenzio.

“Grazie, signor Bianchi,” disse. “Non lo dimenticherò.”

L’insegnante sorrise di nuovo. “Abbi cura di te, ragazzo mio.”

E con questo, Alessio sparì oltre le porte della mensa.

*****
SETTE ANNI DOPO

Il vento d’inverno ululava oltre il piccolo e malconcio palazzo di via del Corso. Dentro, il signor Bianchi sedeva da solo accanto alla finestra, avvolto in un vecchio maglione di lana, una coperta sulle ginocchia. La caldaia era guasta da giorni, e il padrone di casa non rispondeva alle sue chiamate. Le sue dita, un tempo così salde con gesso e registri, tremavano ora per l’età e il freddo.

Viveva così, in silenzio. Senza famiglia vicina. Solo una piccola pensione e qualche visita saltuaria di ex allievi.

Le giornate erano lunghe, le notti ancora più lunghe.

Quel pomeriggio, mentre sorseggiava un tè tiepido, un colpo alla porta lo scosse. Non riceveva molte visite.

Si trascinò lentamente verso l’ingresso, le pantofole strisciando sul linoleum consumato. Quando aprì, sgranò gli occhi dallo stupore.

Davanti a lui, nella neve, c’era un giovane alto, avvolto in un cappotto blu di lana. I capelli pettinati con cura, e tra le braccia reggeva un grande cesto di regali.

“Signor Bianchi?” disse l’uomo, con voce leggermente tremante.

“Si?” rispose il vecchio insegnante, scrutandolo meglio. “Ti conosco?”

Il giovane sorrise. “Forse non si ricorda di me. Non ero un suo studente, ma sette anni fa mi offrì un pasto nella mensa del liceo. Un ragazzo al gelo.”

Gli occhi del signor Bianchi si illuminarono di riconoscimento.

“Alessio?”

Il giovane annuì.

“Cielo santo…” Il signor Bianchi fece un passo indietro. “Entra, ti prego!”

Alessio varcò la soglia e fu immediatamente colpito dal freddo. “Non c’è riscaldamento,” osservò, con la fronte corrugata.

“Sì, avrei dovuto chiamare qualcuno, ma…” il signor Bianchi fece un gesto vago.

Alessio posò il cesto sul tavolo e tirò fuori il telefono. “Non si preoccupi più. Ho un tecnico di fiducia. Sarà qui entro un’ora.”

Il signor Bianchi aprì la bocca per protestare, ma fu zittito dal tono fermo ma gentile di Alessio.

“Una volta mi disse di aver cura di me. Ora tocca a me prendermi cura di lei.”

Nel cesto c’erano cibo fresco, guanti, calzini, una nuova coperta elettrica e una lettera.

Le mani del signor Bianchi tremavano mentre l’apriva.

“Grazie per avermi visto quando nessun altro lo fece,” diceva. “La sua gentilezza cambiò la mia vita. Voglio ripagarla, non solo oggi, ma sempre.”

Le lacrime gli velarono gli occhi.

“Mai dimenticato quel pranzo,” disse Alessio con voce sommessa. “Ero senza casa, spaventato e affamato. Ma quel giorno, lei mi trattò come una persona. Mi diede speranza.”

Il signor Bianchi ingoiò il nodo in gola. “Cosa hai fatto da allora?”

“Poco dopo andai in un centro per giovani,” spiegò Alessio. “Mi diedero stabilità. Lavorai sodo, ottenni borse di studio e mi sono laureato in giurisprudenza. Ora ho il mio primo lavoro.”

“È incredibile,” disse il signor Bianchi, la voce rotta dall’emozione.

Alessio sorrise. “L’ho cercato a lungo. Qualche ex collega della scuola mi ha indirizzato qui.”

Rimasero a parlare per ore, ridendo come vecchi amici. Quando arrivò il tecnico, Alessio lo pagò senza esitare. Organizzò anche un servizio di pulizia settimanale e una spesa a domicilio.

“Lo consideri un investimento,” disse con un occhiolino. “Lei credette in me prima ancora che io credessi in me stesso.”

Prima di andarsene, Alessio prese la mano del signor Bianchi. “Se per lei va bene, vorrei tornare spesso.”

Il vecchio insegnante annuì, una lacrima che gli scendeva lungo la guancia. “Mi farebbe molto piacere.”

*****
UN MESE DOPO

L’appartamento del signor Bianchi era cambiato. Ora era caldo. Luminoso. Il frigo pieno, le mensole ordinate, e le giornate non si trascinavano più infinite. Ogni sabato Alessio passava a trovarlo, a volte con libri, altre con cibo da asporto, sempre con storie e risate.

Non lo faceva per obbligo. Lo faceva perché gli importava.

Al signor Bianchi sembrava di avere un nipote.

Un pomeriggio, lo guardò e disse: “Sei diventato un uomo in gamba, Alessio. Sono orgoglioso di te.”

Alessio sorrise, gli occhi lucidi. “Esisto solo grazie a lei.”

L’insegnante che aveva offerto calore a un ragazzo nel gelo, ora ne riceveva di ritE così, in quella piccola casa riscaldata non solo dal termosifone ma anche dalla gratitudine, il signor Bianchi comprese che il vero valore di una vita non si misura in ciò che si accumula, ma in ciò che si dona.

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