**Una Casa per Speranza**
Antonio ammirava da sempre il fratello maggiore e fin da piccolo lo prendeva come esempio. A tavola mangiava solo ciò che mangiava Marco, anche se non gli piaceva. Se il fratello usciva senza cappello, anche lui se lo toglieva. La mamma costringeva il figlio maggiore a rimetterlo subito, altrimenti Antonio si sarebbe ammalato.
Tra i fratelli c’erano sei anni di differenza, ma per Antonio sembravano un’eternità. Perché la mamma non lo aveva fatto nascere almeno due o tre anni prima? Marco usciva con gli amici e non lo portava mai con sé.
“Non sono la tua babysitter. Se mi vedono con te, i ragazzi mi prenderanno in giro,” diceva con sufficienza. Antonio scoppiava a piangere.
“Basta! Altrimenti non disegno più con te.”
E Antonio si zittiva all’istante, come se qualcuno avesse spento un interruttore.
Marco disegnava benissimo. Antonio lo osservava incantato mentre la matita scorreva veloce sul foglio, ma quando ci provava lui, faceva solo scarabocchi. Allora Marco si sedeva accanto a lui e gli spiegava con pazienza come tenere la matita e con quanta forza premere. Per Antonio, quei momenti insieme erano i più belli della vita, e li custodiva gelosamente.
Certo, litigavano e a volte facevano a botte. Antonio veniva pestato, e per ripicca nascondeva le matite o aggiungeva baffi ai ritratti nell’album. Marco gli dava una manata sulla nuca e lo chiamava “biscotto” o “cucciolo”, cosa che Antonio odiava.
Un giorno, però, Marco lo portò con sé al parco, dove i ragazzi del quartiere si ritrovavano. Si nascondevano tra i cespugli a fumare di nascosto.
“Se lo dici ai genitori, ti rompo le gambe,” lo minacciò Marco, sputando tra i denti. Antonio non dubitava che lo avrebbe fatto. Anche quando Marco gli dava una lezione, non si lamentava mai con i genitori.
A scuola sapevano che Antonio era il fratello di Marco e lo lasciavano in pace. Marco non era un bullo, ma lo temevano. Praticava lotta e si faceva male pur di vincere. Pochi potevano reggere il confronto.
Antonio convinse la mamma a iscriverlo alla stessa palestra, ma come con il disegno, non era portato. Non gli piaceva combattere. Presto smise, ammettendo la sua inferiorità. Smise di sforzarsi per essere come lui e si buttò nello studio. E fu proprio lì che superò il fratello.
Marco era bravo con i pugni, ma a scuola andava male. Dopo il liceo, si iscrisse al politecnico, facoltà di ingegneria edile. Nei suoi disegni cominciò a comparire sempre lo stesso volto di donna. Niente di speciale, secondo Antonio.
Ora Marco aveva la sua vita da universitario, e non c’era posto per Antonio. Tornava a casa tardi, distratto e silenzioso.
Una volta, Antonio trovò per caso un foglio con una poesia nel quaderno del fratello. Capì subito a chi era dedicata: alla ragazza dei suoi disegni. Durante una discussione, fece notare che avrebbe potuto trovare una ragazza più bella.
“Dovresti disegnare qualcuna come Giulia Rossi. È la più carina della classe, no, della scuola! A lei dovresti dedicare le poesie,” disse, citando un verso del fratello.
Non capì neanche cosa fosse successo. Si ritrovò a terra, la guancia che bruciava come se l’avessero colpita con una spranga rovente.
“Che ti è successo? Di nuovo una rissa?” La mamma lo scrutò a cena.
Marco fece un verso di disapprovazione e continuò a mangiare gli spaghetti alla carbonara come se nulla fosse.
“Sono scivolato e ho battuto la faccia su una buca,” borbottò Antonio, parlando a denti stretti.
La mamma guardò il figlio maggiore con sospetto, ma lui si strinse nelle spalle. Lei tirò fuori dal frigo un pe”E così, mentre il sole tramontava dietro le colline toscane, Antonio prese la mano di Speranza e sentì finalmente che la vita, nonostante tutto, gli aveva regalato una nuova famiglia e un amore più grande di ogni dolore.”