Un Milionario Si Presentò a Casa della Sua Governante Senza Preavviso — Quello che Vide gli Cambiò la Vita per Sempre…

Quartiere di Torpignattara, Roma.

Luca De Santis, proprietario di metà degli immobili di lusso della città, si fermò davanti a un palazzo scrostato che sembrava uscito da unaltra epoca.

Era venuto per licenziare la domestica che aveva osato respingere le sue avances.

Ma quando la porta si aprì, non fu Ginevra a rispondere.

Furono tre bambini terrorizzati a fissarlo come se fosse la morte in persona.

«Per favore, signore, non portarci via la mamma», sussurrò la più piccola, aggrappandosi alla sua gamba con manine tremanti.

Dietro di loro, in un bilocale che odorava di umidità e disperazione, Luca vide qualcosa che lo paralizzò.

Ginevra, la donna che puliva i suoi marmi da 5.000 euro al metro quadrato, dormiva su un materasso per terra, sfiancata, ancora nelluniforme da lavoro, circondata da bollette non pagate e medicine che non poteva permettersi. Sul muro, una foto di lei con un uomo in divisa dei Carabinieri: suo marito, morto in un attentato in Afghanistan. La vedova che lui aveva cercato di sedurre con larroganza del ricco. I bambini che stavano per perdere lunica cosa che gli restava: la madre.

Roma splendeva sotto il sole di settembre come una promessa infranta.

Dai finestroni del suo attico a Prati, Luca De Santis contemplava la città che gli apparteneva, o almeno la parte che contava.

A 38 anni, aveva trasformato leredità paterna in un impero immobiliare che si estendeva da Roma a Milano, da Firenze a Napoli: palazzi storici convertiti in hotel di lusso, quartieri popolari gentrificati, vite sradicate per fare spazio al progresso che aveva il suo volto.

Era un uomo che misurava il successo in metri quadri e il valore delle persone in quanto potevano servirlo.

Il matrimonio con Beatrice era stata una fusione aziendale travestita da romanticismo.

Lei portava il cognome e i contatti, lui il capitale e lambizione.

Il divorzio, due anni dopo, era stato altrettanto calcolato.

Lei si era tenuta la villa a Frascati, lui tutto il resto.

Ginevra Rossi era entrata nella sua vita sei mesi prima, assunta tramite unagenzia per pulire lattico tre volte a settimana. Trentadue anni, capelli neri raccolti in una crocchia severa, occhi castani che non si abbassavano mai davanti a lui come facevano gli altri dipendenti.

Cera qualcosa in lei che lo irritava e lo affascinava allo stesso tempo.

Forse il modo in cui puliva i suoi pavimenti da 100.000 euro con la stessa cura con cui avrebbe lavato quelli di una chiesa, o forse il fatto che non sembrava minimamente impressionata dalla sua ricchezza.

Lattrazione era cresciuta lentamente, trasformandosi in ossessione.

Luca non era abituato a desiderare ciò che non poteva avere subito.

Aveva iniziato con piccoli gesti: regali costosi lasciati in giro, complimenti sempre più espliciti, inviti a cena spacciati per straordinari.

Ginevra aveva rifiutato tutto con una cortesia ferma che lo faceva impazzire.

La sera prima, aveva oltrepassato il limite.

Laveva trovata in ginocchio mentre puliva il bagno in marmo di Carrara, e qualcosa nel vederla in quella posizione aveva risvegliato la belva in lui.

Le aveva posato una mano sulla spalla, laveva fatta alzare, laveva spinta contro il muro.

Le parole che le aveva sussurrato erano esplicite, volgari, il tipo di proposta che nessuna domestica nella sua posizione avrebbe dovuto rifiutare.

Ma Ginevra laveva respinta.

Peggio ancora, lo aveva guardato con un disgusto che nessuno osava mostrargli da anni, dicendogli che preferiva morire di fame piuttosto che diventare la sua amante. Poi se nera andata, lasciandolo lì con leccitazione trasformata in rabbia.

Nessuno rifiutava Luca De Santis.

Nessuno.

Aveva passato la notte a bere whisky da 1.000 euro a bottiglia, pianificando la sua vendetta.

Non solo lavrebbe licenziata, lavrebbe distrutta, si sarebbe assicurato che nessuno a Roma la assumesse mai più, lavrebbe ridotta a mendicare. E allora, quando fosse stata abbastanza disperata, le avrebbe rifatto lofferta e lei avrebbe accettato, perché la fame trasforma tutti in ciò che non vogliono essere.

Lindirizzo nel file del personale lo portò a Torpignattara, un quartiere che Luca conosceva solo come zona da riqualificare nei suoi piani di espansione.

Palazzine degli anni 60 che sembravano cicatrici nel tessuto urbano, graffiti sui muri scrostati, lodore della povertà che si attaccava ai vestiti.

Parcheggiò la sua Bentley, un errore se solo lo avesse saputo, e salì le scale che puzzavano di urina e sogni morti.

Terzo piano, interno 23.

La porta era di un verde sbiadito che un tempo doveva essere vivace.

Bussò con la forza di chi è abituato a vedere le porte aprirsi al suo comando.

Ma non fu Ginevra ad aprire.

Tre bambini lo fissarono con occhi troppo grandi per i loro volti magri.

La maggiore, forse dodicenne, teneva protettivamente le mani sulle spalle dei più piccoli: un bambino di otto anni e una bambina di cinque.

Indossavano vestiti puliti ma rattoppati, e cera qualcosa nel loro sguardo che Luca riconobbe, ma non seppe identificare subito.

Era lo stesso sguardo dei bambini nei paesi che aveva fatto sgomberare per costruire resort di lusso.

Era paura, pura, distillata, di chi sa che il mondo degli adulti può distruggere tutto in un istante.

La bambina più piccola fu la prima a parlare.

La voce, un sussurro che penetrò larmatura dindifferenza che Luca aveva costruito in anni di affari spietati.

Le sue manine si aggrapparono alla sua gamba come se potessero fermarlo, come se la disperazione di una bambina potesse fermare una valanga.

Lappartamento dietro di loro raccontava una storia che Luca non voleva leggere.

Due stanze in totale, mobili che sembravano recuperati dalla spazzatura, muffa negli angoli che nessuna pulizia poteva eliminare.

E lì, sul pavimento del soggiorno che fungeva anche da camera da letto, Ginevra dormiva su un materasso sottile, ancora con luniforme da lavoro addosso, il volto segnato da una stanchezza che andava oltre il fisico.

Intorno a lei, come sentinelle di carta, le bollette non pagate formavano un cerchio di condanna: luce, gas, affitto arretrato, medicine. Fiale e pastiglie che Luca riconobbe perché sua madre aveva preso le stesse durante la chemio.

Farmaci costosi, quelli che il Servizio Sanitario copriva solo in parte.

Ma fu la foto sul muro a colpirlo come un pugno nello stomaco.

Ginevra in abito bianco, radiosa, accanto a un uomo in uniforme dei Carabinieri.

La stessa foto, più piccola, era appesa sopra i letti improvvisati dei bambini.

Il padre, che non sarebbe mai tornato.

Il bambino di otto anni trovò il coraggio di parlare, la voce tremante ma decisa.

Raccontò di come la mamma lavorasse in tre posti, di come non dormisse mai più di quattro ore, di come a volte fingesse di non avere fame per lasciare più cibo a loro.

Parlò di papà, morto in una missione di pace, della pensione che non bastava, della nonna mal

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