Un Nome che Ha Cambiato Tutto

**Il nome che ha cambiato tutto**

Stamattina, mentre stringevo al petto la mia bambina appena nata, il cuore mi si è spezzato. “Povera piccola mia…” ho sussurrato tra le lacrime. Avevo già capito quale destino le avrebbe riservato la vita, seguendo la strada di tutte le donne della nostra famiglia.

La piccola si attaccava con voracità, a volte rabbrividendo quando le mie lacrime le bagnavano le guance. Ma la fame era più forte. Io, invece, ero persa tra i ricordi, le paure e quella maledetta eredità di solitudine che ci portiamo addosso.

Entrò l’infermiera, col suo camice bianco e uno sguardo severo.

“Eccoti di nuovo a piangere! Farai annegare la bambina in un mare di lacrime. Ma cosa c’è che non va? La piccola è sana, hai latte a volontà, eppure fai la faccia da funerale. Smettila e goditi questo momento.”

Mi scossi, come se tornassi alla realtà. Sorrisi, senza sapere bene se alla bambina o all’infermiera, e mormorai:

“Sono felice, davvero… ma ho paura che anche lei segua il destino di tutte le donne della nostra famiglia. Nessuna di noi ha avuto un uomo accanto. Speravo che, se fosse nato un maschio, forse questa catena si sarebbe spezzata… ma invece, ancora una femmina.”

L’infermiera si ammorbidì, dicendo: “Vedi che sei una brava mamma? Ma non scaricare su questa creaturina il fardello delle tue paure. Da’ un bel nome, e il resto verrà da sé. Hai già deciso come chiamarla?”

Abbassai gli occhi. “Mia madre e nonna insistono per Maria. Da noi sono tutte Mariuccia, Mara, Marinella… Ma ho letto che Maria può voler dire anche ‘amarezza’. Non voglio. La chiamerò Gioia. Che almeno per lei la vita sia diversa.”

“Ecco, brava,” annuì l’infermiera. “Gioia… un nome che è già una benedizione.”

E Gioia crebbe forte come un leoncino. Proprio come aveva detto quell’infermiera: determinata, coraggiosa, sicura di sé. A scuola era la migliore, in classe tutti la rispettavano. Peccato che il suo aspetto non corrispondesse all’idea che la nonna aveva di una “ragazza da maritare”: spalle larghe, fianchi stretti, un portamento da maschiaccio. Passava il tempo con i ragazzi, vestita in jeans e scarpe da ginnastica.

“Gioia, ma non sei un maschio!” si lamentava la nonna Assunta. “Hai l’armadio pieno di vestiti eleganti, e tu sempre in maglietta e jeans. Dov’è la femminilità? Dov’è la treccia lunga fino alla vita?”

“Ma lasciatemi in pace!” sbuffava lei. “L’importante è chi scelgo io, non chi sceglie me.”

Io sospiravo, mormorando: “Figlia mia, non bruciarti con tutta questa sicurezza… la vita non sempre va come vogliamo.”

Poi, all’ultimo anno delle superiori, Gioia si innamorò. Di chi, secondo voi? Del ragazzino timido e occhialuto, Luca, della classe accanto. Al ballo scolastico, lui si nascondeva contro il muro come a dire: “Sono qui per sbaglio.” Lei gli prese la mano e lo trascinò a ballare. Da quel giorno, furono inseparabili.

Si iscrissero insieme all’università, e al terzo anno, senza aspettare proposte, Gioia gli fece la domanda.

“Ma quanto dobbiamo stare insieme prima di sposarci? È ora di mettere la testa a posto.”

Luca era felice. Era abituato a obbedire, lei comandava. I suoi genitori erano entusiasti, come tutta la mia famiglia—se c’era qualcuno che poteva spezzare la nostra sorte, quella era Gioia.

Al quinto anno, nacque nostro nipote. Gioia si prese una pausa dagli studi, mentre a Luca offrirono di restare all’università come docente. Tutto sembrava perfetto… finché Gioia non si accorse che qualcosa era cambiato.

Lui tornava sempre più tardi, si chiudeva in silenzio, evitava i discorsi. Un giorno smise del tutto di parlare—niente più studenti, niente tesi. Diceva solo di essere stanco. Gioia capì tutto. E agì.

L’amica segretaria del rettorato le sussurrò la verità: Luca aveva una storia con Irene Paramonte, una pallida studentessa che tutti chiamavano “l’ameba con gli occhiali”. Gioia non ci pensò due volte. La aspettò fuori dalla residenza universitaria e, davanti a tutti, le mollò due ceffoni che la fecero sparire per un bel po’.

Con Luca, la conversazione fu breve: un pugno, poi un altro.

“Volevo solo aiutarla… come hai fatto tu con me,” balbettava lui, seduto per terra.

“Se aiuti ancora qualcuna,” sibilò Gioia, “ti taglio via qualcos’altro. E non avrò rimorsi.”

Da allora, Luca non si è più azzardato a tradirla. Sa che con Gioia non si scherza. Quella bambina a cui, in ospedale, avevano predetto lo stesso triste destino, non solo ha spezzato la catena, ma ha costruito una famiglia dove lei è il centro—la forza, la protezione e, soprattutto… la gioia.

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