**Secondo Respiro**
Federico non era un bell’uomo come Marcello Mastroianni. Lavorava come semplice ingegnere in una fabbrica di escavatori. Non beva, o quasi solo nelle feste. Non fumava. Dopo ventidue anni di matrimonio, non aveva mai guardato altre donne.
La figlia si era sposata e si era trasferita a Milano col marito. Di nipoti ancora nessuna traccia. Federico non se ne preoccupava troppo. I bambini erano responsabilità, rumore e giocattoli sparsi per terra. Lui era abituato alle serate tranquille con il giornale e la televisione. Che fretta c’era? Avrebbe avuto tempo per giocare con i nipoti.
La moglie, Giovanna, era perfetta sotto ogni aspetto: bella e curata, la casa sempre accogliente e pulita, la cena pronta ogni sera, e nei giorni di festa, una torta fatta in casa e la carne alla francese. Insomma, la vita era fatta.
Tornava dal lavoro in macchina, strizzando gli occhi contro i raggi di sole al tramonto, già in attesa di una cena abbondante e del riposo davanti alla tv.
Federico entrò in casa, si tolse le scarpe nell’ingresso e tese l’orecchio. Di solito Giovanna sbucciava dalla cucina dicendo che la cena era quasi pronta. Ma quella sera non sentì la sua voce. Un’inspiegabile inquietudine gli serrò il cuore. Entrò in soggiorno e la vide davanti all’armadio, le ante spalancate, mentre tirava giù i vestiti e li buttava sul divano, accanto a una valigia aperta.
«Dove vuoi andare? Da nostra figlia, a Milano? È forse incinta?» chiese Federico.
Giovanna, senza guardarlo, si avvicinò alla valigia e iniziò a sistemarci dentro i vestiti.
«Hai perso l’udito? Ti chiedo e ti chiedo, e non rispondi. Dove stai andando?» ripeté lui, cominciando a perdere la pazienza.
Lei scrutò la stanza per assicurarsi di non aver dimenticato nulla, poi cercò di chiudere la valigia, ma era troppo piena: la cerniera minacciò di rompersi.
«Invece di piantarti lì a fare domande stupide, dammi una mano.» Si raddrizzò e soffiò via una capigliatura caduta sugli occhi.
«Ti ho chiesto dove vuoi andare con tutti questi vestiti! È una domanda stupida?» Federico tratteneva a stento l’irritazione che gli ribolliva dentro.
«Dove? Me ne vado da te» rispose lei, sfidante.
«Perché?» Federico alzò un sopracciglio.
«Ne ho avuto abbastanza. Mi aiuti o no?» accennò alla valigia.
«Cosa ti ha stancato?» Si avvicinò, premete la mano sul coperchio e con un gesto secco chiuse la cerniera.
«Tutto. Mi sei venuto a noia, stare ai fornelli mi ha stancata. Sono stufa di passare ogni sera in casa fissando la tv.»
«Potevi dirlo prima. Avremmo potuto variare, andare a teatro» replicò lui, dicendo la prima cosa che gli venne in mente.
«Per morire dalla vergogna quando ti sarei addormentato? Un giorno uguale all’altro, e la vita che scivola via.» Nella voce di Giovanna c’era disperazione e insoddisfazione.
«Non dipende da noi. La vita passa comunque, fermi o in movimento» osservò lui, filosofico.
«Non fare il sapientone. Io voglio qualcosa da ricordare. E cosa ricorderò? Polpette in padella? Lavare i piatti? Te col giornale davanti alla tv?» La voce di Giovanna si trasformò in un grido.
«Pensi che, oltre a mia figlia, non abbia altro posto dove andare? Me ne vado da qualcuno che mi vede come una donna, una dea, una regina. Qualcuno che mi dedica poesie…» Alzò gli occhi al soffitto, lo sguardo perso.
«E io?» chiese Federico, improvvisamente comprendendo.
«Tu continua a vivere come hai sempre fatto. Solo che ora dovrai cucinare, lavare e stirare da solo. Hai smesso di guardarmi. Mi sono tagliata i capelli due mesi fa, ho cambiato look. Te ne sei accorto?» Gli lanciò un sorriso amaro, posò la valigia a terra, tirò fuori il manico e la trascinò verso l’ingresso, lasciando due solchi sul tappeto chiaro.
Mentre Giovanna indossava il cappotto, Federico fissava quelle strisce schiacciate sul tappeto. Gli sembrava che la valigia gli avesse passato sopra il cuore, lasciandogli lo stesso segno.
Solo quando la porta di casa sbatté e la serratura scattò, Federico trasalì e distolse lo sguardo dal tappeto. Solo allora capì: sua moglie se n’era andata.
Doveva fare qualcosa. Per abitudine, andò in cucina. Sul fornello c’era una teiera fredda. Aprì il frigo: non c’era molto—una pentola di minestra, avanzi di salame, due scatolette, qualche uovo e mezzo litro di latte. Lo richiuse. Non aveva più fame.
Tornò in soggiorno e si sedette sul divano dove prima c’era la valigia. Né il giornale né la tv lo attiravano. Quelle cose erano interessanti quando Giovanna era lì con lui, anche se era in cucina a cucinare o a stirare, con un occhio alla tv. C’era una famiglia, un focolare…
Sospirò e rimase a lungo immobile, fissando lo schermo spento, cercando di digerire l’accaduto. La cosa peggiore era il silenzio, il vuoto, come se con Giovanna se ne fossero andati tutti i suoni. Si alzò, prese la giacca nell’ingresso, si infilò le scarpe e uscì. Ma il vuoto lo seguiva.
Passando davanti a un bar, vide gente seduta ai tavoli. Ridevano, parlavano, e gli venne voglia di essere tra loro, di riempire quel vuoto dentro. Senza pensarci, entrò. La musica era bassa, si sentivano voci. Ordinò un bicchierino di grappa. Il dolore si attenuò. Ne prese un altro, poi un altro ancora…
Non ricordava come fosse tornato a casa. Si svegliò la mattina dopo con un mal di testa atroce, ancora vestito sul letto sopra il copriletto. Quando cercò di alzarsi, un campanello gli rimbombò nel cranio e la stanza gli girò davanti agli occhi.
Non riusciva a ricordare che giorno fosse. Con le dita impacciate prese il cellulare dalla tasca. Lo schermo illuminato gli mostrò la scritta «sabato». Sabato! Andò in bagno e tornò a letto.
Quando si svegliò due aDopo aver preso un caffè forte, Federico decise di chiamare Nadia e chiederle di incontrarsi quella stessa sera, perché finalmente capì che la vita gli stava offrendo una seconda possibilità, e questa volta non l’avrebbe sprecata.