Un padre anziano cacciato di casa trova un tocco inaspettato in un momento di disperazione.

Il figlio e la nuora avevano cacciato il vecchio padre dalla sua stessa casa. L’anziano stava già gelando quando una zampa sfiorò il suo viso.

Giovanni sedeva su una panchina ghiacciata in un parco di periferia a Milano, tremando per il freddo pungente. Il vento ululava come una bestia affamata, la neve cadeva a fiocchi e la notte sembrava un abisso nero infinito. Fissava il vuoto davanti a sé, incapace di comprendere come fosse possibile che lui, che aveva costruito la sua casa con le proprie mani, fosse finito per strada, come un oggetto inutile.

Solo poche ore prima si trovava tra le mura che aveva conosciuto per tutta la vita. Ma suo figlio, Lorenzo, lo aveva guardato con un’indifferenza glaciale, come se davanti a lui ci fosse stato uno sconosciuto e non il suo padre.

— Papà, con Giulia ormai siamo stretti, — aveva detto, senza battere ciglio. — E poi, non sei più giovane; è meglio che tu vada in una casa di riposo o in una qualche stanza in affitto. Hai la pensione…

Giulia, la nuora, era lì vicino, annuendo silenziosamente, come se quella fosse la decisione più naturale del mondo.

— Ma… è casa mia… — la voce di Giovanni tremava non per il freddo, ma per il dolore del tradimento che lo lacerava dentro.

— L’hai intestata tutta a me, — Lorenzo aveva scrollato le spalle con una tale freddezza distaccata che a Giovanni mancò il respiro. — I documenti sono firmati, papà.

E in quel momento l’anziano capì: non gli era rimasto nulla.

Non aveva discusso. Orgoglio o disperazione — qualcosa lo aveva spinto semplicemente a voltarsi e andarsene, lasciando dietro di sé tutto ciò che gli era caro.

Ora sedeva nel buio, avvolto nel vecchio cappotto, e i pensieri si affollavano: come era possibile che avesse dato fiducia a suo figlio, lo avesse cresciuto, avesse dato tutto, e in cambio fosse diventato superfluo? Il freddo penetrava fino alle ossa, ma il dolore nell’anima era più forte.

E all’improvviso sentì il contatto.

Una calda zampa pelosa si posò dolcemente sulla sua mano intirizzita.

Davanti a lui c’era un cane — grande e peloso, con occhi buoni, quasi umani. Guardò Giovanni attentamente, e poi sfiorò il suo palmo con il naso umido, come se sussurrasse: «Non sei solo».

— Da dove vieni, amico? — sussurrò l’anziano, trattenendo le lacrime che minacciavano di scendere.

Il cane scodinzolò e afferrò delicatamente con i denti l’orlo del suo cappotto.

— Cosa vuoi fare? — si meravigliò Giovanni, ma nella voce non c’era più la disperazione di prima.

Il cane tirava con ostinazione, e l’anziano, sospirando pesantemente, decise di seguirlo. Cosa aveva da perdere?

Percorsero insieme diverse strade innevate, finché non si spalancò la porta di una piccola casa. Sulla soglia c’era una donna, avvolta in uno scialle caldo.

— Barone! Dove ci hai portato, birbante?! — cominciò a dire, ma vedendo l’anziano tremante, si bloccò. — Santo cielo… Sta male?

Giovanni avrebbe voluto dire che ce l’avrebbe fatta, ma dalla gola uscì solo un gemito rauco.

— Ma stai gelando! Entrate subito! — lei gli afferrò la mano e quasi con forza lo trascinò dentro.

Giovanni si riprese in una stanza calda. Nell’aria c’era l’aroma del caffè appena fatto e qualcosa di dolce — sembravano brioche alla cannella. Non capì subito dove si trovasse, ma il calore avvolgeva il suo corpo, scacciando freddo e paura.

— Buongiorno, — disse una voce dolce.

Si girò. La donna che l’aveva salvato durante la notte era sulla soglia con un vassoio in mano.

— Mi chiamo Chiara, — sorrise. — E lei?

— Giovanni…

— Bene, Giovanni, — il suo sorriso si allargò, — il mio Barone raramente porta qualcuno a casa. Siete fortunato.

Lui ricambiò il sorriso debolmente.

— Non so come ringraziarla…

— Mi racconti come è finito in strada in un freddo del genere, — chiese lei, posando il vassoio sul tavolo.

Giovanni si fece un po’ da parte. Ma negli occhi di Chiara c’era tanta sincera partecipazione, e così improvvisamente raccontò tutto: della casa, del figlio, di come era stato tradito da coloro per cui aveva vissuto.

Quando finì, nella stanza calò un silenzio pesante.

— Resti qui, — disse improvvisamente Chiara.

Giovanni la guardò, pieno di incredulità.

— Cosa?

— Vivo da sola, solo io e Barone. Sento la mancanza di qualcuno vicino, e a lei serve una casa.

— Io… non so cosa dire…

— Dica «sì», — e sorrise di nuovo, mentre Barone, come per confermare, gli sfiorò la mano col naso.

In quel momento Giovanni capì: aveva trovato una nuova famiglia.

Dopo qualche mese, con l’aiuto di Chiara, fece ricorso in tribunale. I documenti che Lorenzo lo aveva costretto a firmare furono dichiarati nulli. La casa tornò a lui.

Ma Giovanni non ci tornò.

— Quel posto non è più mio, — disse piano, guardando Chiara. — Che se lo tengano.

— E hai ragione, — annuì lei. — Perché la tua casa ora è qui.

Giovanni guardò Barone, la cucina accogliente, la donna che gli aveva donato calore e speranza. La vita non era finita — stava appena iniziando, e per la prima volta da molti anni Giovanni sentì che poteva ancora essere felice.

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