Un Padre Non Biologico

IL PAPÀ CHE NON C’ERA.

Fin da piccola, Antonella sapeva che sua madre l’aveva portata “sotto il grembiule”. Le buone vicine di casa, che sembravano passare le giornate sulla panchina davanti al portone, glielo avevano spiegato. Antonella immaginava la sua esile e minuta mamma, la dolce Rosalba, camminare con quel grembiule da festa che nascondeva chissà da dove fosse spuntata lei.

“È perché non hai un papà!” le aveva detto con aria di superiorità Federica, la ragazzina che abitava al piano di sopra. “Sei una figlia di nessuno!”

“Che vuol dire?” chiese Antonella, confusa.

“Vuol dire che tua mamma te l’ha fatta con chiunque! Non hai un padre! Io invece ce l’ho!” e Federica fissò l’amica con orgoglio.

“E allora? Io ho nonna e nonno! Tu no.”

“Ah! I nonni non contano! Una donna deve avere un uomo! Senza uomo non è completa! Lo dice sempre mia mamma!”

Quella sera, dopo cena, Antonella si sedette accanto a Rosalba sul divano, come facevano sempre. Era la loro abitudine: la sera, stare insieme, ognuna con le proprie occupazioni, chiacchierando. Rosalba era un’artigiana, sempre intenta a cucire, ricamare o lavorare a maglia. Antonella, osservandola, si dedicava anche lei a piccoli lavoretti: braccialetti di perline, quadri di mosaico o animaletti di plastilina.

“Mamma… ma è proprio necessario avere un papà?” chiese Antonella, mentre dall’appartamento sopra di loro iniziava il solito “concerto”, come lo chiamava nonna Antonella, la signora Paolina. A organizzarlo era il padre di Federica, lo zio Aldo. Dai rumori, si capiva subito in che stato fosse: se urlava solo lui, mentre le donne della casa piagnucolavano, voleva dire che aveva bevuto. Se invece le urla erano reciproche, allora era sobrio, e questo lo rendeva ancora più furioso.

“Be’, visto che viviamo bene anche senza, direi di no,” rispose Rosalba, accarezzando i capelli della figlia e ascoltando anche lei il trambusto di sopra.

“Federica dice che una donna senza uomo non è completa…”

“Tesoro, ognuno trova il modo di sentirsi importante. Noi due stiamo male?”

“No,” scosse la testa Antonella. In effetti, vivevano bene. Rosalba lavorava come contabile in un’azienda importante, guadagnava abbastanza. Ogni weekend andavano al cinema, a teatro, al parco o semplicemente a fare shopping. D’estate partivano per il mare, e a Capodanno andavano in campagna, dove abitava l’amica di Rosalba, zia Giulia. Zia Giulia aveva tre figli, e ogni inverno il loro padre costruiva una grande slitta nel cortile, dove i bambini si divertivano a scivolare.

Il “concerto” al piano di sopra si faceva più intenso. Le parolacce urlate da zio Aldo si sentivano ormai in tutto il palazzo. Dopo mezz’ora, Rosalba sorrise ad Antonella e si diresse verso l’ingresso. Il concerto stava per concludersi. Una porta sbatté, seguita da passi frettolosi. Rosalba aprì appena in tempo per far entrare di corsa zia Caterina e Federica.

“Chiudi subito!” gridò Caterina, ma Rosalba non aveva bisogno di suggerimenti. Qualcuno cominciò a picchiare alla porta.

“Rosalba! Apri! Se non apri, ti sfondo questa porta! Dov’è quella s*****a? Glielo faccio pagare!”

“Se non te ne vai ora, chiamo i carabinieri,” rispose Rosalba con calma. Ormai era abituata a queste minacce. E il vicino sapeva che lei non scherzava: aveva già chiamato la polizia più volte. L’ultimo avvertimento era stato chiaro: un altro episodio e sarebbe finito in galera.

“No, Rosalba, non farlo!” implorò Caterina. “Lo metteranno dentro!”

“Era ora!” Rosalba andò in cucina a preparare il tè.

“Ma come fai a vivere senza un uomo?” continuò Caterina, dietro di lei. “Non ti vergogni a essere sola?”

Rosalba si fermò e la guardò. Il vestito strappato, i capelli arruffati, gli occhi lucidi di paura, e l’inizio di un livido sotto uno di essi.

“Non sono sola, Caterina. Ho una figlia. E non ho lividi. E non devo scappare dai vicini.”

“E di che ti vanti?” sbuffò Caterina. “Tua figlia cresce senza padre. Chissà come finirà senza un’educazione maschile! E i lividi… Se ti picchia, è perché ti ama! E poi, chi più ama, più castiga! Oggi litighiamo, domani mi riamerà! E tu continuerai a dormire sola in quel letto freddo!”

Rosalba scosse la testa. La stessa storia, le stesse scuse.

Antonella iniziò la prima elementare quando nella loro vita arrivò zio Enzo. Non era alto, ma robusto, taciturno e serio. All’inizio Antonella temeva che la mamma si dimenticasse di lei: Federica, esperta di tutto, l’aveva “illuminata”.

“Ah! Pensi che questo zio Enzo diventerà tuo padre? Tu non sei sua figlia! Agli uomini non interessano i figli degli altri! Appena farà un bambino a tua madre, finirai a fare la serva o in orfanotrofio! Un padre vero ti ama, ma un patrigno non è un padre!”

“Federica!” urlò in quel momento zio Aldo dal balcone. “Dove sei, mocciosa? Torna su! I piatti sono sporchi e la casa è un porcile! Vuoi che tua madre faccia tutto quando torna dal lavoro?”

Zio Aldo aveva perso il lavoro un mese prima e, incapace di trovarne un altro, annegava la disperazione nell’alcol. Federica sparì in fretta dentro il palazzo.

Ma zio Enzo, contro ogni previsione, trattava Antonella benissimo. Lavorava come ingegnere nella stessa azienda di Rosalba. Aveva una macchina grande e bella, con cui ora li portava al ristorante, al cinema, a teatro. Andavano anche al mare e in campagna da zia Giulia per Capodanno.

Zio Enzo giocava con Antonella, le comprava vestiti e giochi, la difendeva dai bulli e la sera si sedeva con loro sul divano, guardando le “sue ragazze” mentre lavoravano.

Quando Rosalba e Enzo si sposarono, con una piccola festa in una trattoria, lui si avvicinò ad Antonella e le disse con un sorriso:

“Puoi chiamarmi papà.” E Antonella, felice, lo fece. Ma quando zia Caterina lo sentì, scoppiò a ridere.

“Che papà? È il tuo patrigno! Tua madre ha trovato un marito, ma tu non hai un padre! Lui non è tuo padre!”

Caterina odiava Enzo. Da quando si era trasferito da Rosalba, le sue fughe nel loro appartamento erano finite.

“Caterina, hai una casa tua. Dormi lì. O vai in albergo, se non vuoi tornare. Qui non è un rifugio,” disse Enzo con calma quando Caterina bussò alla porta, cercando scampo dal marito inferocito.

“Ma chi ti credi di essere?” urlò Caterina. “Hai preso il comando? Chiamo mio marito! Vedrai come ti sistema!”

“Perché?” Enzo incrociò le braccia. “Ecco che arriva il tuo adorato. Parliamo.”

Aldo, dimenticandosi della moglie, si avventò su Enzo, ma lui non si mosse. Con un semplice gesto, fece cadere Aldo a terra.

“Mi ha agg

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