Un pasto inaspettato che lascia senza parole

**Diario di un marito umiliato**

“Qui almeno mangio decentemente, non la tua brodaglia!” sibilò l’uomo accanto al buffet. Ma la mia risposta, servita sul suo piatto, lo fece impallidire.

Chi è sposato da anni sa che i mariti sono di due tipi. Alcuni mangiano tutto ciò che prepari e ringraziano pure. Altri, come il mio Massimo, trovano in ogni piatto un motivo per criticare.

In trent’anni di matrimonio, ho sentito solo: “La minestra è troppo salata”, “Le patate sono crude”, “La mamma faceva le polpette morbide, non queste suole di scarpe”. Un vero tesoro, che carattere!

A dire il vero, avevo iniziato a credere di non saper cucinare. Ma mi impegnavo, ragazze, come una pazza! Compravo libri di ricette, guardavo programmi di cucina.

Gli preparavo di tutto: sformati in cocotte, anatra alle mele a Capodanno, ragù che cuocevo per ore. E in cambio? Smorfie e paragoni con sua madre defunta.

Negli ultimi anni, un altro problema: il peso. Massimo aveva la pressione alle stelle, colesterolo fuori controllo.

Il medico, un vecchietto severo, gli disse chiaro: “Massimo, un altro attacco e potresti non rialzarti. Niente fritti, grassi o salati. Solo dieta.” E chi doveva controllare? Io, ovviamente.

Cucinavo al vapore, senza olio, sale solo nel piatto. Lui brontolava: “Mi affami con questa erba!” Ci voleva una pazienza infinita!

Quando partimmo per un hotel all-inclusive, sospirai di sollievo. Finalmente riposo dalla cucina e dai suoi commenti. Che mangiasse pure fuori, avrebbe visto che il ristorante non è sempre meglio. Ma mi sbagliavo…

Dal primo giorno, la vacanza diventò un inferno gastronomico. Al buffet, Massimo perse la testa. Il suo piatto era un’opera d’arte: risotto al burro, arrosto, insalata con maionese e pure una fetta di pizza.

Io timidamente ricordavo: “Massì, il dottore ha detto… la pressione…” Lui mi zittiva: “Non rompere! Sono in vacanza! Ho pagato, mangio quello che voglio! Finalmente cibo vero, non i tuoi intrugli!”

E così, mentre lui ingozzava pancetta, io stuzzicavo insalata, sentendomi più badante che moglie. Ridicolo e triste.

Passarono giorni. Lui mangiava, io tacevo. Lui lodava gli chef, io serravo i denti. Finché una sera non ne potei più.

Mentre assaggiava un arrosto untuoso, esclamò: “Ecco il vero cibo! Saporito, succulento! Non come la tua brodaglia insipida!”

Ragazze, quasi lasciai cadere la forchetta. Trent’anni ai fornelli, e questa la ricompensa?

La rabbia esplose. “Ah sì? Vuoi cibo ‘vero’? Eccotelo!”

La sera dopo, sorridente, mi avvicinai al buffet. “Massì, siediti. Oggi cucino io per te.”

Presi un piatto enorme. Vi ammucchiai costolette fritte, patatine, insalate strapiene, salse piccanti e salsicce in crosta. Il cuoco mi fissava come fossi matta.

Lo posi davanti a lui, sorridendo: “Mangia, amore! Tutto il meglio per te. Buon appetito!”

La gente intorno rise. Lui impallidì, poi arrossì. Nei miei occhi vide non amore, ma ghiaccio.

“Cosa… cosa fai?” sussurrò.

“Non ti piace? È il cibo che volevi, no?”

Rimase pietrificato. Scandalo? Impossibile, ero la moglie premurosa. Mangiare? Un suicidio.

Dopo cinque minuti, spinse via il piatto. Per il resto della vacanza, mangiò solo petto di pollo e verdure. E mi guardava con timore.

Morale della storia: a volte, una lezione servita nel piatto è più efficace di mille parole.

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