Un raggio di sole dopo la pioggia…

Il sole dopo la pioggia…

— Francesca, vieni un attimo. Mio marito è stato in cantina e ti ho preso delle patate.
Francesca si avviò verso il cortile della vicina.
— Oh, grazie, zia Rosa, te le restituirò appena posso.
— E con cosa? Povera te. Prima dovevi pensarci, quando hai fatto tutti quei figli. Marco non è mai stato un uomo per bene.

Francesca ingoiò le parole offensive. Sapeva che mancava ancora una settimana alla paga, e col solo latte non avrebbero resistito a lungo. Se fosse stata sola, pazienza, ma a casa l’aspettavano tre bambini. Marco, di cui parlava la vicina, era suo marito, ormai ex, perché l’anno prima aveva scoperto che lo Stato non gli avrebbe regalato né una macchina né una casa solo perché aveva tre figli. Aveva fatto le valigie in fretta, dicendo che non avrebbe mai vissuto in quella miseria. Francesca stava lavando i piatti e lasciò cadere un piatto per lo shock.

— Marco, che stai dicendo? Sei un uomo! Cerca un lavoro decente, ben pagato, e non saremo più poveri. Sono i tuoi figli! Hai sempre detto che volevi una famiglia numerosa!

— Lo volevo, ma non sapevo che lo Stato avrebbe trattato così male le famiglie numerose. E lavorare per niente non ha senso per me, — rispose Marco.

Francesca lasciò cadere le braccia.
— Marco, e noi? Come farò da sola con loro?
— Francy, non lo so. E poi, perché non hai insistito per fermarci al primo figlio? Sei una donna, dovevi capire che poteva succedere.

Francesca non fece in tempo a rispondere, perché Marco uscì di corsa e si diresse verso la fermata dell’autobus. Le lacrime le bruciavano gli occhi, ma poi vide tre paia di sguardi fissarla. Il più grande era Luca, che quell’anno sarebbe andato a scuola. Matteo aveva cinque anni, e la piccola stella della famiglia, Alice, ne aveva due. Francesca deglutì e sorrise.
— Allora, chi vuole le frittelle?

I bambini esultarono, e solo quella sera Luca le chiese:
— Mamma, papà non tornerà più?
Francesca cercò le parole giuste, ma alla fine disse solo:
— No, piccolino…
Luca sbuffò un po’, poi aggiunse:
— Pazienza, ce la faremo senza di lui. Io ti aiuterò.

Quando Francesca tornava dalla mungitura serale, sapeva che i piccoli erano già a letto e sazi. Si stupiva sempre di quanto in fretta suo figlio fosse cresciuto.

***

Dopo aver ringraziato per le patate, si avviò verso casa. “Dio, quando finirà questo freddo? Che inverno anomalo quest’anno.” Le patate sarebbero bastate, ma una notte il gelo era stato così intenso che anche quelle nelle cantine erano andate a male. I paesani li compativano. La gente del villaggio era buona, ma non perdeva occasione per ricordarle quanto fosse stupida. Ma stupida perché? Ora non riusciva nemmeno a immaginare la vita senza uno dei suoi bambini. Per quanto fosse difficile, se la cavavano. Avrebbero voluto vestiti nuovi e giocattoli, ma i bambini non chiedevano mai. Sapevano che la mamma avrebbe comprato tutto appena possibile. Quell’anno, lei e Luca avevano persino progettato una grande serra—di plastica per il momento—ma avevano già calcolato quante più conserve di pomodori e cetrioli avrebbero potuto fare per l’inverno.

Francesca spostò il secchio dall’altra parte e vide una piccola folla. Beh, per il villaggio, anche tre persone erano una folla. Si avvicinò, perché quel gruppetto era radunato proprio davanti al suo recinto. Ancora a distanza, sentì:

— È enorme, dev’essere un cane da caccia.
— Forse un cinghiale l’ha ferito. No, non sopravviverà.

Francesca guardò dove indicavano e trattenne un grido.
— Perché state lì a guardare? Dobbiamo aiutarlo!

La gente si voltò verso di lei. Un vicino fece una smorfia:
— Ma che dici, Francesca? Vedi quei denti? Chi si avvicina? Tanto ormai è spacciato.
— Come spacciato? È venuto da noi perché cerca aiuto!

Sulla neve giaceva un cane enorme, forse da caccia, forse no. Francesca non era un’esperta, ma vedeva che aveva una ferita grave al fianco. Nonostante le dimensioni, non ne aveva paura. Vedeva solo il dolore nei suoi occhi. La gente rise e se ne andò. A nessuno servivano guai.

Francesca accarezzò delicatamente la testa del cane.
— Resisti, resisti ancora un po’. Ti porto una coperta e cerchiamo di arrivare a casa.

Dietro di lei, un fruscio.
— Mamma, ho portato la coperta. E possiamo usare la porta del vecchio frigorifero come barella.

Francesca si voltò di scatto. Luca era lì, con le lacrime agli occhi. Il cane afferrò la coperta tra i denti e guaì piano. Si calmò mentre lei gli medicava la ferita. Se i cani svengono, quello era il momento. I più piccoli osservavano tutto dal divano a occhi sgranati.
— Mamma, sopravvivrà?

Luca accarezzava la testa del cane, che finalmente riaprì gli occhi annebbiati.
— Deve farcela. Ci prenderemo cura di lui.

Il giorno dopo, appena arrivata nella stalla, le altre donne la circondarono.
— Francy, ma cosa ti è passato per la testa? Portarti a casa un cane enorme, per di più ferito, coi bambini in casa?
— Già. Come se non avesse già sette bocche da sfamare. E poi, a che pro? Morirà comunque, se non li azzanna prima.

Francesca alzò la voce, cosa che non faceva mai:
— Non avete problemi vostri invece di ficcarvi nei miei? Gina, ieri Caterina diceva che ti strapperà i capelli perché le hanno riferito che tuo marito va da te passando dagli orti. E tu, Tania, sistema prima la tua casa prima di giudicare la mia. Tuo figlio Enrico ha bevuto di nuovo birra dietro al negozio, e ha solo 14 anni!

Le donne ammutolirono e fecero un passo indietro. Francesca tornò al lavoro. “Devo ricordarmi di prendere altro latte. Forse Rex berrà qualcosa.” Rex era il nome scelto da Luca per il cane. Non lo lasciava mai solo: acqua, cuscini, tutto per renderlo comodo.

Quella sera, il trovatello bevve un po’ di latte.
— Bravo, ce la farai…

E infatti ce la fece. Francesca lo nutriva come i bambini, privandosi lei stessa. Dopo tre settimane, barcollava già per casa. I bambini lo accarezzavano, ma evitavano di stringerlo troppo. Rex aveva scelto il suo posto: un tappeto accanto al letto di Luca.

Francesca sapeva che in paese continuavano a sparlare, ma ignorava tutto. Lasciava che chiacchierassero, tanto era il loro mestiere.

***

La primavera arrivò all’improvviso. Francesca e Luca decisero di coprire un’aiuola con la plastica per scaldare il terreno. Dopo l’episodio del cane, i paesani avevano smesso di aiutarli. Pazienza. Se poteva mantenere un cane, poteva cavarsela da sola. Non si lamentava. Aveva scelto di avere figli, aveva scelto di salvare Rex. E se il gelo aveva rovinato le patate, era colpa sua per non aver isolato la cantina.

Mentre lei e Luca lavoravano nell’orto, Rex giocava con Matteo e Alice. I bambini non sembravano notare i denti affilati del cane. Lo cavalcavano, rotolavano nell’erba secca riscaldata dal sole

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

two × four =

Un raggio di sole dopo la pioggia…