Un raggio di sole dopo la pioggia…

Il sole dopo la pioggia…

“Luciana, vieni un attimo. Mio marito è stato in cantina e ti ha preparato un po’ di patate.”

Luciana si girò verso il cortile della vicina.

“Oh, grazie, zia Marina, gliele restituirò senz’altro.”

“E con cosa? Oh, povera me. Restituirà, sì. Avresti dovuto pensarci prima, quando mettevi al mondo figli. Sandro non è mai stato un uomo per bene.”

Luciana ingoiò le parole amare, perché sapeva che mancava ancora una settimana allo stipendio, e con solo il latte non si poteva andare avanti. Se fosse stata solo lei, pazienza, ma a casa l’aspettavano tre bambini. Sandro, di cui parlava la vicina, era suo marito, ormai ex, perché l’anno prima aveva scoperto che lo Stato non gli avrebbe dato né una macchina né una casa per aver avuto tre figli. Aveva fatto in fretta a prendere le sue cose e le aveva detto che non era disposto a vivere in quella povertà. Luciana stava lavando i piatti e le cadde un piatto di mano.

“Sandro, ma che dici? Sei un uomo. Cerca un lavoro serio, che paghi bene, e non ci sarà più povertà. Sono i tuoi figli. Hai sempre detto che volevi più bambini, che amavi i bambini.”

“Lo volevo, ma non sapevo che lo Stato avrebbe trattato così male le famiglie numerose. E lavorare per niente non ha senso per me,” rispose Sandro.

Luciana abbassò le braccia.

“Sandro, e noi? Come farò da sola con loro?”

“Luciana, non lo so. E poi, perché non hai insistito che un figlio era più che sufficiente? Sei una donna, avresti dovuto capire che poteva succedere.”

Non fece in tempo a rispondere che Sandro già scappava di casa, quasi correndo verso la fermata dell’autobus. Le lacrime le salirono agli occhi, ma poi vide tre paia di occhi fissarla. Alessandro era il più grande, quell’anno sarebbe andato a scuola. Michele aveva solo cinque anni, e la loro stellina Margherita ne aveva due. Luciana deglutì e sorrise.

“Allora, chi vuole le frittelle?”

I bambini si misero a ridere felici, e solo quella sera Alessandro le chiese:

“Mamma, papà non tornerà più?”

Luciana cercò parole che non trovò, e alla fine rispose:

“No, piccolo…”

Alessandro sbuffò un po’, poi disse:

“Beh, pazienza. Ce la faremo senza di lui. Ti aiuterò io.”

Quando tornava dalla mungitura serale, sapeva che i piccoli erano già a letto. E ogni volta si stupiva di come suo figlio fosse diventato grande così in fretta.

***

Dopo aver ringraziato per le patate, si incamminò verso casa. “Dio, quando farà più caldo? Che inverno assurdo quest’anno.” Le patate sarebbero bastate, ma uno di quei giorni il freddo era stato così intenso che in molti avevano perso anche quelle in cantina. I paesani li compativano. La gente in campagna è buona, ma non perdeva occasione per ricordarle che era una stupida. E perché mai? Ora non riusciva nemmeno a immaginare la vita senza uno dei suoi figli. Per quanto fosse dura, ce la facevano. Avrebbero voluto vestiti nuovi e giocattoli, ma i bambini non chiedevano. Sapevano che la mamma avrebbe comprato non appena possibile. Quell’anno, con Alessandro, avevano persino pensato a una grande serra, anche se solo di plastica, ma avevano già calcolato quante più conserve di pomodori e cetrioli avrebbero potuto fare per l’inverno. Luciana spostò il secchio da una mano all’altra e vide una piccola folla. Beh, per un paese in quel periodo, tre persone erano già una folla. Si avvicinò, perché quel gruppo era proprio davanti al suo recinto. Mentre si avvicinava, sentì:

“È enorme, sicuramente un cane da caccia.”

“Probabilmente un cinghiale l’ha ferito. No, non ce la farà.”

Luciana guardò dove guardavano gli altri e trattenne un grido. “Ma che state a fare? Bisogna aiutarlo!”

La gente si voltò verso di lei. Un vicino disse:

“Ma dai, Luciana, lo vedi che ha le zanne? Chi ci si avvicina? Tanto ormai non c’è più niente da fare.”

“Come non c’è niente da fare? È venuto qui per chiedere aiuto!”

Sulla neve giaceva un cane, forse da caccia, forse no. Luciana non era un’esperta, ma vedeva che aveva una ferita grave al fianco. Era enorme, ma a lei non faceva paura. Vedeva solo il dolore nei suoi occhi! La gente rise e se ne andò. A nessuno servivano guai.

Luciana accarezzò con cautela la testa del cane.

“Resisti, resisti un altro po’. Ti porto una coperta, ti sposto e cerchiamo di arrivare a casa.”

Dietro di lei, un fruscio.

“Mamma, ho portato la coperta. E c’è anche lo sportello del vecchio frigo, possiamo usarlo come barella.”

Luciana si voltò di scatto: c’era Alessandro, con gli occhi lucidi. Vedevano entrambi quanto il cane soffrisse. Il cane afferrò la coperta con i denti e guaì piano. Si calmò mentre lei gli puliva la ferita. Se i cani possono svenire, quello era il suo caso. I più piccoli osservavano tutto dal divano, a bocca aperta.

“Mamma, sopravviverà?”

Alessandro accarezzava la testa del cane, che finalmente aprì gli occhi annebbiati.

“Deve farcela. Ci prenderemo cura di lui.”

Il giorno dopo, appena arrivata in fattoria, le altre donne la circondarono.

“Luciana, ma cosa ti è saltato in mente? Portarti a casa un cane enorme, e pure coi bambini?”

“Già. Come se non avesse già sette bocche da sfamare. E poi, a che serve? Morirà comunque, e se non muore, ammazzerà qualcuno.”

Luciana alzò la voce:

“Non capisco, non avete problemi vostri invece di ficcarvi nei miei? Zina, ieri Caterina diceva che ti strapperà i capelli perché le hanno detto che suo marito viene da te passando per l’orto. E tu, Tania, faresti meglio a sistemare la tua casa invece di pensare alla mia. Tuo figlio Vito ieri era di nuovo a bere birra dietro al negozio, e ha solo quattordici anni.”

Le donne tacquero all’istante, indietreggiando, perché Luciana non aveva mai reagito così. E lei se ne andò a lavorare. “Non dimenticare di prendere un po’ di latte. Magari Jack lo beve.”

Jack era il nome che aveva dato Alessandro al cane. Non lo lasciava mai. Gli portava acqua, gli aggiustava la testa, gli metteva uno zoccolo sotto per farlo stare più comodo.

Quella sera, il trovatello bevve un po’ di latte.

“Bravo, ce la farai di sicuro…”

E infatti ce la fece. Luciana gli preparava da mangiare come ai bambini. Si privava di qualcosa, ma il cane non mancava di nulla. Dopo tre settimane, barcollando, già camminava per casa. I bambini lo accarezzavano, ma ancora non osavano abbracciarlo forte. Jack si era scelto un posto: dormiva su un tappeto accanto al letto di Alessandro. Luciana sapeva benissimo che in paese continuavano a sparlare di lei, ma cercava di ignorarli. Lasciateli parlare, le lingue sono fatte per muoversi.

***

La primavera arrivò all’improvviso. Luciana e Alessandro decisero subito di coprire un’aiuola con la plastica, per far scaldare prima la terra. Da quando aveva portato a

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