Un raggio di sole dopo la pioggia…

Il sole dopo la pioggia…

“Ginevra, passa un attimo. Mio marito è stato in cantina e ti ha preso delle patate.”
Ginevra si diresse verso il cortile della vicina.
“Oh, grazie, zia Marina, te le restituirò senz’altro.”
“E con cosa? Ah, povera me. Restituirà, sì. Dovevi pensarci prima, quando hai avuto quei bambini. Peppino non è mai stato un uomo per bene.”
Ginevra ingoiò l’amarezza delle parole perché sapeva che mancava ancora una settimana alla paga, e col solo latte non sarebbe andata lontana. Lei poteva anche resistere, ma a casa l’aspettavano tre bambini. Peppino, di cui parlava la vicina, era suo marito, ormai ex, perché l’anno prima aveva scoperto che lo Stato non gli avrebbe regalato né una macchina né una casa solo per aver avuto tre figli. Aveva fatto i bagagli in fretta e se n’era andato, dicendo che non voleva vivere nella miseria. Ginevra stava lavando i piatti e lasciò cadere un piatro per lo shock.
“Peppino, cosa stai dicendo? Sei un uomo. Cerca un lavoro vero, che paghi bene, e la miseria sparirà. Sono i tuoi figli! Hai sempre detto che ne volevi tanti, che li amavi!”
“Li volevo, ma non sapevo che lo Stato se ne fregasse delle famiglie numerose. E lavorare per niente non ha senso,” rispose Peppino.
Ginevra abbassò le braccia.
“Peppino, e noi? Come farò da sola con loro?”
“Ginevra, non lo so. E poi, perché non hai insistito che uno bastava? Sei una donna, dovevi capire che poteva finire così.”
Ginevra non fece in tempo a replicare: Peppino uscì di corsa e corse alla fermata dell’autobus. Le vennero le lacrime, ma poi vide tre paia di occhi che la fissavano. Sandro era il più grande, quell’anno sarebbe andato a scuola. Michele aveva cinque anni, e la piccola stella, Margherita, ne aveva due. Ginevra deglutì e sorrise.
“Allora, chi vuole le frittelle?”
I bambini esultarono, e solo quella sera Sandro chiese:
“Mamma, papà non tornerà più?”
Ginevra cercò le parole, ma alla fine disse solo:
“No, tesoro…”
Sandro annusò e poi dichiarò:
“Be’, pazienza. Ce la faremo senza di lui. Io ti aiuterò.”

Quando Ginevra tornava dalla mungitura serale, sapeva che i piccoli erano già a letto. E si stupiva di quanto suo figlio fosse cresciuto in fretta.

Ringraziando per le patate, si avviò verso casa. “Dio, quando finirà questo freddo? Che inverno assurdo.” Le patate sarebbero bastate, ma una notte il gelo era stato così intenso che anche quelle in cantina si erano rovinate. I paesani le compativano. In paese la gente era buona, ma non perdevano occasione per ricordarle quanto fosse stupida. Ma stupida perché? Ora non riusciva neanche a immaginare la vita senza uno dei suoi figli. Per quanto fosse dura, ce la facevano. Vorrebbero vestiti nuovi e giocattoli, ma i bambini non chiedevano. Sapevano che la mamma avrebbe comprato, appena possibile. Quell’anno, lei e Sandro avevano persino progettato una grande serra, di plastica per ora, ma già calcolavano quante più conserve di pomodori e cetrioli avrebbero potuto fare. Ginevra spostò il secchio nell’altra mano e vide una piccola folla. Per il paese, anche tre persone erano una folla, soprattutto in quel periodo. Si avvicinò, perché quella folla era davanti al suo recinto.

“È enorme, deve essere un cane da caccia.”
“Probabilmente un cinghiale l’ha ferito. Non sopravvivrà.”
Ginevra guardò dove tutti fissavano e sussultò. “E voi che fate? Bisogna aiutarlo!”
La gente si voltò. Un vicino disse:
“Ma cosa dici, Ginevra? Vedi quei denti? Chi si avvicina? Tanto è spacciato.”
“Come spacciato? È venuto qui per chiedere aiuto!”
Sulla neve giaceva un cane, enorme, ferito gravemente al fianco. Ginevra non ne sapeva di razze, ma vedeva il dolore nei suoi occhi. La gente rise e se ne andò. Nessuno voleva guai.
Ginevra accarezzò la testa del cane.
“Aspetta, aspetta un po’. Ti porto una coperta e ti portiamo a casa.”
Dietro di lei, un rumore.
“Mamma, ho preso la coperta. E possiamo usare la porta del vecchio frigorifero come barella.”
Sandro era lì, con gli occhi lucidi. Il cane morse la coperta e guaì piano. Si calmò mentre Ginevra gli medicava la ferita. Poi svenne. I più piccoli osservavano dal divano.
“Mamma, sopravviverà?”
Sandro accarezzò la testa del cane, che aprì gli occhi annebbiati.
“Deve farcela. Ci prenderemo cura di lui.”

Il giorno dopo, alla stalla, le altre donne la circondarono.
“Ginevra, ma cosa ti è saltato in mente? Portare un cane enorme in casa, con i bambini?”
“Già. Come se non avesse già sette bocche da sfamare. E poi, che senso ha? Morirà comunque, o peggio, azzannerà qualcuno.”
Ginevra alzò la voce:
“Non avete problemi vostri, invece di ficcarvi nei miei? Zina, ieri Caterina diceva che ti strapperà i capelli perché qualcuno le ha detto che tuo marito ti corre dietro. E tu, Tania, sistema la tua casa prima di criticare la mia. Il tuo Enrico ieri era di nuovo a bere birra al bar, e ha solo quattordici anni.”
Le donne tacquero, indietreggiarono. Ginevra non aveva mai reagito così. Prese il latte. “Forse Rex lo berrà.”
Sandro aveva chiamato il cane Rex. Non lo lasciava mai: acqua, coperte, tutto per farlo stare meglio.

La sera, il randagio bevve un po’ di latte.
“Bravo, ce la farai…”
Rex guarì. Ginevra lo nutriva come i bambini, privandosi lei stessa. Dopo tre settimane, barcollava ancora, ma camminava. I bambini lo accarezzavano, ma con cautela. Rex dormiva sul tappeto accanto al letto di Sandro. Ginevra sapeva che in paese continuavano a sparlare, ma ignorava. Lasciava che parlassero: le lingue sono fatte per muoversi.

La primavera arrivò all’improvviso. Ginevra e Sandro decisero di coprire un’aiuola con la plastica per scaldare il terreno. Da quando aveva preso il cane, il paese aveva smesso di aiutarla. Pazienza: se poteva mantenere un cane, poteva cavarsela da sola. Non se la prendeva. Aveva scelto di avere figli, aveva scelto di salvare Rex. E nessuno era colpevole se non aveva isolato la cantina.

Mentre lavoravano nell’orto, Rex e i bambini giocavano. Ridevano così forte che i vicini si affacciavano.
“Graf!”
Il cane si fermò, guaì e scavalcò il recinto. Si lanciò su un uomo sconosciuto, leccandogli il viso. L’uomo lo strinse forte. Ginevra e i bambini lo fissavano a bocca aperta. Anche i vicini si avvicinarono.

Dopo quindici minuti, l’uomo guardò Ginevra.
“Buongiorno, signora. Cercavo il mio cane da sei mesi. Credevo fosse morto dopo quello scontro.”
Sandro annusò, capendo

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