Un Regalo con un Retrogusto di Dolore

**Un regalo con un retrogusto amaro**

Nella cucina di casa, Elisa e suo marito, Matteo, cenavano in tranquillità. La sera era calma, il bollitore sul fornello si raffreddava lentamente, e dall’esterno entrava un fresco preludio d’autunno. Ma all’improvviso, il telefono squillò. Matteo guardò lo schermo: un numero sconosciuto.

«Chi mai potrebbe volermi a quest’ora?» borbottò, incuriosito.

«Rispondi e lo scoprirai,» sorrise Elisa, senza darci peso.

Matteo si alzò e si allontanò nel corridoio. Tornò dopo qualche minuto, pallido, lo sguardo vuoto, come se avesse visto qualcosa che sfuggiva alla normalità.

«Che succede, Matteo?» si alzò Elisa, preoccupata. «Sei bianco come un foglio!»

«Elisa… ho una figlia. E devo prenderla con me.»

Un tempo, aveva avuto una famiglia. La sua prima moglie, Francesca, gli aveva dato una bambina: Sofia. Ma già due anni dopo la nascita, il matrimonio si era incrinato. Francesca era sempre nervosa, lo rimproverava per tutto: guadagnava poco, non le dedicava tempo, “non aiutava abbastanza”.

Lui aveva provato a fare di più, per Sofia, per la famiglia. Molti gli dicevano che forse Francesca aveva una depressione post-partum. Che sarebbe servito un medico. Ma Matteo sapeva che Francesca era sempre stata così. Solo che, dopo Sofia, era peggiorata.

Non sorrideva mai. E quando giocava con la bambina, sembrava più un dovere che un gesto d’amore. Matteo si sentiva il cuore stretto ogni volta.

Quando, disperato, le propose di vedere un terapeuta, Francesca esplose:

«Secondo te sono pazza?!»

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Chiese il divorzio. E Francesca, quasi per vendetta, portò Sofia in un’altra città. Senza lasciare indirizzi. Senza chiedere gli alimenti. Sparì.

Lui aveva cercato. Ma i ricordi delle discussioni con lei erano così pesanti che, a un certo punto, si arrese. Si convinse che per Sofia sarebbe stato meglio restare con la madre. Non immaginava quanto si sbagliasse…

Francesca non aveva mai perdonato. Né lui, né la vita. La rabbia che covava dentro aveva avvelenato tutto. Anche Sofia.

La bambina era cresciuta in una casa senza feste, senza abbracci, senza gioia. Sentì parlare per la prima volta dei compleanni all’asilo.

«Mamma, oggi è il compleanno di Luca! Gli hanno regalato una macchinina! E a me cosa mi regalano?»

«Niente,» tagliò corto Francesca. «Sono io che ti ho partorita. Se c’è qualcuno che dovrebbe festeggiare, sono io. Non fare più domande sciocche.»

Natale? Non si festeggiava. Ridere era proibito. Le caramelle, un lusso. Neanche i cartoni animati erano ben visti. La vita era grigia, tesa, e nessuno sospettava che la piccola Sofia sognasse in segreto, da grande, di comprarsi un sacchetto intero di dolci.

I vicini evitavano Francesca. Non la sopportavano, ne avevano paura. Dicevano: «C’è qualcosa che non va in lei.» E, a quanto pare, avevano ragione.

Un giorno, Francesca si sentì male. Non si fidava dei dottori e chiamò l’ambulanza troppo tardi. La portarono via senza fare promesse. Prima di uscire, diede alla vicina il nome del padre di Sofia, il suo cognome e la città.

Sofia rimase con quella donna. Silenziosa, chiusa in sé, non capiva che la mamma non sarebbe tornata.

I servizi sociali trovarono Matteo in fretta. Lui, ormai da sei mesi, era sposato con Elisa. Quando scoprì di poter riabbracciare sua figlia, non esitò un attimo.

«Parto. Devo riportarla a casa,» disse a Elisa.

«Certo. Verrò con te, se vuoi. O resterò qui, se è meglio. Ma tu deviMa quando Sofia lo vide sulla soglia con un gigantesco orsacchiotto di peluche e un sacchetto di caramelle, capì subito che la sua vita stava per cambiare.

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