Un Segnale Fortunato

Buon Segno

Cinque giorni prima di Capodanno, Ginevra ricevette una tale dose di umiliazione e delusione che stentò a riprendersi. Ci riuscì solo per non rovinare le feste ai bambini.

Matteo, ultimamente, esprimeva continuamente la sua insoddisfazione per qualsiasi cosa. Niente di ciò che faceva la moglie o dicevano i figli gli andava bene. Perdeva la pazienza con loro, tanto che Edoardo, di nove anni, un giorno le chiese:

“Mamma, perché papà è diventato così cattivo?”

La figlia Viola, appena in prima elementare, forse non se ne era accorta, ma il fratello maggiore aveva colto perfettamente il problema.

“Tesoro, non fartene una colpa, è solo che al lavoro non va tutto bene. Tornerà come prima, parlo io con lui,” disse Ginevra abbracciando il figlio e baciandolo sulla testa.

Ma Ginevra sapeva che qualcosa non andava. Matteo era distratto, si arrabbiava senza motivo, persino coi bambini quando facevano chiasso, anche se prima giocava con loro facendo un baccano che riempiva tutta la casa.

Quel giorno, Edoardo e Viola stavano correndo per il salotto.

“Basta urlare come pazzi, altrimenti vi punisco!” ringhiò Matteo, e i bambini rimasero impietriti dal tono.

Sparirono in camera loro e chiusero la porta.

“Matteo, che succede? Puoi essere più gentile?” chiese Ginevra, notando lo sguardo dei piccoli.

“Nulla,” rispose lui, brusco.

“Non mentire, non è la prima volta. Perché sfoghi la rabbia con noi? Che male ti abbiamo fatto?”

Ginevra non si aspettava la reazione che seguì, e per un attimo si pentì di aver sollevato l’argomento. Ma poi pensò:

“Che differenza fa, ora o dopo…”

Matteo si alzò dal divano, esitò, poi parlò:

“Non volevo parlarne prima di Capodanno, ma visto che insisti…”

“Perché?” chiese lei, confusa.

“Per non rovinare le feste.”

“E come potresti rovinarle?”

“Ginevra, ma davvero non capisci? Ho incontrato un’altra donna. Me ne sono innamorato,” disse lui, buttandolo fuori.

“Coosa? Da quando? È uno scherzo?”

“No, non scherzo. Ti lascio. Vedrò i bambini nei weekend. Pagherò gli alimenti.”

Ginevra rimase pietrificata. Lui continuò:

“Glielo dirò io, non dirgli nulla.”

“Non ora, almeno,” sussurrò lei, sapendo che sarebbe stato un colpo per loro.

Matteo entrò in camera, infilò delle cose in una borsa, e poco dopo la porta si chiuse alle sue spalle.

“Non avevo mai capito come si sentissero le donne lasciate,” pensò Ginevra. “Ora sì. È come se il mondo crollasse. Ma devo trovare la forza, per i bambini.”

Stava ancora fissando il vuoto quando Viola uscì dalla camera:

“Mamma, papà è uscito? Dov’è?”

“È partito per lavoro. Tornerà… non so quando.”

“E Capodanno? Lo festeggiamo senza di lui?” chiese Edoardo.

“Sì, saremo noi tre. Ma avremo l’albero, i regali, tutto come sempre,” rispose lei, sorridendo forzatamente.

Quella notte non chiuse occhio. Le parole di Matteo le rimbombavano in testa. Non voleva arrendersi.

Il 31 dicembre si costrinse a prepararsi per la festa. Temeva che i bambini sospettassero qualcosa, così cucinò ogni ben di Dio. Era brava, e almeno quello la distraeva.

Mentre lavorava l’impasto, si ricordò che mancava qualcosa.

“Mamma, dove vai?” chiese Viola.

“Al supermercato.”

“Io vengo con te!”

“Mamma, compra le patatine!” chiese Edoardo. “Io resto qui. Viola, ricordaglielo!”

Nel pomeriggio i bambini uscirono a giocare. L’albero era addobbato, la tavola pronta, al centro un vaso di frutta. Ginevra era in cucina quando sentì Edoardo:

“Mamma, vieni subito!”

Accorse e lo vide reggere un gattino nero con una macchia bianca sulla fronte. I bambini sorridevano felici.

“No, assolutamente no,” disse lei.

“Ma mammaaa,” iniziò a piagnucolare Viola.

“L’avete trovato per strada, è sporco. Mettetelo nel corridoio con una ciotola di latte.”

“Fa freddo! Lo laveremo!” supplicarono.

“Niente discussioni. Tornate a lavarvi le mani.”

Edoardo chiuse la porta in silenzio. Lei si sentì in colpa, ma non voleva un gatto in casa. Con tutto quello che stava succedendo…

Poco dopo suonò il citofono. Era la vicina, Annunziata.

“Ginevra, hai un visitatore!” disse, indicando il micio sul tappeto. “Porta fortuna, un gatto a Capodanno!”

I bambini lo acchiapparono mentre scappava sotto il divano.

“Credimi, è di buon auspicio,” aggiunse Annunziata prima di andarsene.

Ginevra lo lasciò stare, ma poi lo riportò fuori.

“Mamma, sei cattiva,” disse Edoardo. “Papà direbbe di sì.”

I bambini si chiusero in camera, rifiutando la cena. Lei decise di aspettare che si calmassero.

Mentre preparava la cena, sentì un silenzio insolito. Avvicinandosi alla loro camera, sentì:

“Viola, prendi lo straccio! La mamma lo vedrà!”

Spalancò la porta: il gatto era lì, accanto a una pozzanghera. Lo riportò fuori di corsa, tra le proteste dei bambini.

Esausta, si sedette. Odiava quel Capodanno.

Poi suonò di nuovo. Aprì di scatto, pronta a sfogarsi con Annunziata, ma davanti a lei c’era Matteo.

“Ho chiesto di non dire nulla ai bambini,” sussurrò.

“Ginevra, non posso vivere senza di voi. Ho capito che sei tu la mia vita.”

“Papà è tornato!” gridò Edoardo col gattino in braccio.

“Può restare? Per favore!” implorò Viola.

Matteo la guardò.

“I gatti portano fortuna. Che ne dici, Ginevra?”

“Fate quello che volete,” rispose lei, sorridendo mentre si voltava per nascondere gli occhi lucidi.

Quella notte festeggiarono in quattro. Cercarono i regali sotto l’albero, accesero le candele, risero insieme. Solo il gattino, battezzato Nerino, dormiva stanco in camera dei bambini, finalmente al caldo.

A volte, la felicità arriva quando meno te l’aspetti. Basta lasciare che entri dalla porta, anche se è una zampetta nera.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

19 + eighteen =

Un Segnale Fortunato