Buona fortuna
Cinque giorni prima di Capodanno, Ginevra ricevette una tale dose di offese, delusioni e umiliazioni che faticò a riprendersi. Ci riuscì solo per non rovinare le feste ai bambini.
Massimiliano, ultimamente, era sempre insoddisfatto di tutto. Non gli piaceva nulla di ciò che faceva la moglie o dicevano i figli. Sfogava la sua rabbia su di loro, tanto che Antonino, di nove anni, disse alla madre:
“Mamma, perché papà è diventato così cattivo?”
La piccola Angelica, in prima elementare, forse non se ne accorgeva, ma il fratello maggiore aveva capito benissimo cosa non andava.
“Tesoro, non farci caso, è solo stanco per il lavoro. Ne parlerò io con lui,” disse Ginevra, abbracciando il figlio e baciandolo sulla testa.
Ginevra si era accorta che il marito non riusciva più a trattenersi. Ultimamente c’era qualcosa di strano in lui: distratto, arrabbiato senza motivo, persino con i bambini quando facevano chiasso. Prima, invece, faceva a cuscinate con loro per tutta la casa, e toccava a lei calmare tutti.
Quel giorno, Antonino e Angelica giocavano, correndo per il salotto.
“Basta correre come matti, o vi punisco!” ringhiò Massimiliano, e i bambini rimasero impietriti da quel tono.
Sparirono in fretta nella loro camera, sbattendo la porta.
“Massì, cosa ti prende? Potresti essere più gentile,” chiese Ginevra, vedendo lo sguardo dei bambini.
“Nulla,” rispose lui, aspro.
“Non mentire, non è la prima volta. Non ti accorgi di come ci tratti? Cosa ti abbiamo fatto?”
Ginevra non si aspettava la reazione di lui e quasi si pentì di aver iniziato la discussione. Ma poi pensò:
“Che differenza fa, ora o dopo…”
Massimiliano balzò dal divano, esitò, poi, spostandosi da un piede all’altro, parlò:
“Non volevo parlarne prima di Capodanno, ma visto che insisti…”
“Perché?” chiese lei, confusa.
“Per non rovinare le feste.”
“E come potresti rovinarle?”
“Ginevra, cosa vuoi che ti dica? Ho incontrato un’altra donna. Mi sono innamorato,” disse lui, buttandolo fuori.
“Cosa? Quando? È uno scherzo?”
“No, Ginevra, non scherzo. Me ne vado. Vedrò i bambini nei weekend. Pagherò gli alimenti.”
Ginevra rimase pietrificata. Cercò di parlare, ma lui la anticipò.
“Glielo dico io ai bambini, non dirgli nulla.”
“Non ora,” mormorò lei, sapendo che per loro sarebbe stato un colpo.
Accennò un cenno di assenso e si sedette sul divano, le spalle curve, cercando di digerire le parole del marito. Massimiliano sparì in camera, tirò fuori una valigia e iniziò a riempirla. Poco dopo, la porta si chiuse alle sue spalle.
“Mai capito come si sentono le donne lasciate,” pensò. “Ora lo so. È terribile, umiliante, come se la vita fosse crollata. Eppure devo trovare la forza per i bambini.”
Avrebbe potuto rimanere lì, a rimuginare, ma Angelica sbucò dalla stanza:
“Mamma, papà è uscito? Dov’è?”
“Papà? È partito per un viaggio di lavoro.”
“Quando torna?”
“Non lo so, tesoro.”
“E a Capodanno non ci sarà?” chiese Antonino, uscendo a sua volta.
“No, lo festeggeremo noi tre. Ma sarà comunque bello, con l’albero, i regali, tutto come sempre,” rispose la madre, forzando un sorriso.
Quella notte, Ginevra quasi non dormì. Lo stress fece il suo corso, e le parole del marito le rimbombavano in testa. Non voleva accettarlo…
Il 31 dicembre si costrinse a prepararsi per la festa. La sua paura più grande era che i bambini capissero qualcosa. Decise di cucinare tanto, almeno quello sapeva fare bene.
“Mi distrarrò,” pensò. “Capodanno sarà felice, come sempre. I bambini non devono soffrire.”
Iniziò a cucinare, ma si ricordò che mancava qualcosa.
“Mamma, dove vai?” chiese Angelica.
“Al supermercato…”
“Vengo con te!” e corse a vestirsi.
“Mamma, compra le patatine,” chiese Antonino. “Io resto qui.”
“Angelica, ricordati le patatine,” ordinò alla sorellina, che annuì allegra.
Dopo pranzo, i bambini uscirono a giocare. L’albero era già addobbato, la tavola apparecchiata, una ciotola di frutta al centro. Ginevra era in cucina quando sentì Antonino:
“Mamma, vieni qui!”
“Avete finito di giocare?” uscì e vide il figlio con un micino nero tra le braccia, una macchia bianca sulla fronte.
I bambini, rossi di freddo, sorridevano.
“No, assolutamente no,” disse la madre, mentre loro la guardavano supplici.
“Mammaaa,” piagnucolò Angelica.
“No. Dov’è che l’avete trovato? È sporco.”
“Se lo dice papà, possiamo tenerlo?” chiese Antonino, sapendo che il padre amava i gatti.
“Papà è in viaggio. Mettetegli una coperta nel pianerottolo, dategli del latte e lasciatelo lì.”
“Fa freddo! Lo laveremo!” implorarono, ma Ginevra fu inflessibile. “Niente bronci prima di Capodanno. Portatelo fuori. Basta così. Andate a lavarvi le mani.”
Antonino chiuse la porta in silenzio. I bambini tornarono nella loro camera, sbattendola. Ginevra si sentì in colpa, ma non voleva un gatto in casa. Dopo che il marito l’aveva lasciata, proprio prima delle feste…
Stava per preparare la cena quando suonarono. Aprì e trovò il micino sul tappeto, che si infilò dentro veloce.
“Dove vai!” gridò Ginevra, rivolgendosi alla vicina, Speranza.
“Ginevra, il tuo ospite insistente! Miagolava davanti alla porta. È di buon auspicio, un gatto a Capodanno!”
I bambini lo presero, ma il micino si infilò sotto il divano.
“Ascolta una donna più vecchia, un gatto a Capodanno porta fortuna,” disse Speranza, sorridendo.
Ginevra non rispose. La vicina salutò. Poco dopo, il micino uscì. Lei lo prese e lo rimise fuori.
“Mamma, sei cattiva,” disse Antonino. “Se ci fosse papà, ci avrebbe lasciato tenerlo.”
I bambini si rinchiusero di nuovo, ma lei li chiamò per cena.
“Non abbiamo fame,” dissero insieme.
Capì che erano offesi. Avrebbe parlato più tardi.
Mentre impastava, la casa era silenziosa. La TV accesa, ma senza volume. Si chiese cosa stessero facendo.
Sbirciò nella loro camera.
“Angelica, prendi lo straccio e pulisci, o la mamma vede!”
“Fallo tu!”
Vide una pozza umida sul pavimento, e il micino seduto accanto, impassibile. Ginevra sobbalzò. Prese uno straccio, pulì, afferrò il gatto e lo rimise fuori.
I bambini protestarono.
Ginevra si sedette sul divano, esausta. Stanca di tutto. Di cucinare, di quel gatto…
“Perché è capitato proprio a me? E perché ho preparato così tanto? Basterebbe un dolce e un’insalata.”
Fuori era buio. Doveva apparecchiareSi alzò con un sospiro, decisa a sistemare la tavola, quando la porta si aprì di nuovo e Massimiliano rientrò con un sorriso timido, stringendo tra le braccia il micino nero che i bambini, ridendo tra le lacrime, battezzarono subito “Fortunello”, mentre fuori i primi fuochi d’artificio illuminarono il cielo della vigilia.