Vent’anni insieme. Vent’anni con lo stesso cognome, lo stesso indirizzo, lo stesso tragitto per andare al lavoro. E adesso? Diete separate. Non solo piatti diversi—frigoriferi diversi. Pentole diverse. Persino il sale è diviso. Ecco a cosa siamo arrivati.
All’inizio c’erano litigate—scenate, porte sbattute, urla. Poi rappacificazioni, stanche e senza gioia. Poi… più niente. Niente litigi, niente pace. Solo vuoto. Lei dormiva nella stanzetta che una volta era lo studio. Lui, nella camera da letto, rimasta immutata dai tempi in cui eravamo un “noi”. Adesso, solo due persone che dividono lo stesso appartamento.
Del divorzio non si parlava. A che pro? Sembrava tutto già chiaro. Lui viveva la sua vita. Lei la sua. Lui andava da solo in un centro termale vicino a Firenze, dove aveva conosciuto una donna. Alessia. Sorridente, tranquilla. Gli scriveva lettere. Lui rispondeva. Lì c’erano parole che a casa non sentiva mai: “ti capisco”, “ti aspetto”, “abbi cura di te”. Gli sembrava di aver ritrovato uno scopo.
E lei? Lei taceva. Guardava fuori dalla finestra. Lavava le camicie. Tornava dal lavoro e non accendeva la TV—per non disturbare. Cucinava per sé—riso, insalata, a volte del pesce. Non c’era più niente da dire. Quando tutto è già stato detto, resta solo il silenzio. E in quel silenzio, un dolore che nessuno dei due vuole più condividere, o curare.
Poi, una mattina qualunque. Gennaio, un freddo leggero, fuori la neve scricchiolava. Lei si era alzata prima. In cucina faceva fresco. Si era infilata una vecchia vestaglia con un bottone a penzoloni, aveva acceso il gas. Appoggiato la piccola padellina, quella regalata quando si erano trasferiti. E dentro, un uovo. Piccolo. Perfetto, con un tuorlo dorato al centro. Come un simbolo. Un ricordo.
Stava lì, davanti ai fornelli, minuta, magrolina, con i capelli stanchi di tinte chimiche, a guardare l’albume che si rapprendeva lentamente ai bordi. E all’improvviso, sulla porta della cucina, apparve lui. Assonnato, barba lunga, con una tazza in mano. Voleva farsi un tè. Niente di speciale.
Ma il suo sguardo lo era. Triste. Silenzioso. E in quegli occhi, nessun rimprovero, nessuna accusa. Solo una richiesta. Quasi infantile. Sollevando appena la padella, gli chiese:
—Vuoi un uovo?
Così semplice. E così spaventoso.
Lui si bloccò.
È come se gli avessero rovesciato addosso i ricordi, una valanga di emozioni. La stanza in quel minuscolo appartamento a Milano. Un solo materasso. Una pentola. Un uovo diviso a metà. Una forchetta, un bicchiere. E lei—una ragazzina con una codina, che rideva, correndo verso di lui in quella vestaglia coi fiori. E la sua voce: «Presto, mangia prima che si fredda!»
Allora non lo guardava con dolore—aveva una luce negli occhi. Come un pony con una frangetta buffa. Leggera, innamorata, spavalda. E lui, felice. Senza un euro in tasca, ma col cuore pieno di futuro.
E adesso? Due frigoriferi. Due letti. Due vite.
Appoggiò la tazza sul tavolo. Si avvicinò. Prese con cautela la padellina dalle sue mani e la rimise sui fornelli. Poi—l’abbracciò. Senza una parola. Forte. Con delicatezza.
Lei non capì subito. Rimase immobile. Non respirava nemmeno.
Lui sussurrò:
—Perdonami. Non so cosa mi sia successo. Era come una nebbia nella testa. Un torpore. Ma mi sono svegliato. Solo adesso. Perdonami.
Lei non rispose. Si limitò a nascondere il viso contro il suo petto. E lui… forse piangeva. Lei non lo vedeva. Lui era alto, e lei così piccola. Non aveva bisogno di vedere. Sentiva.
E sui fornelli, restava quell’unico uovo. Solitario, col tuorlo dorato, nella padellina minuscola.
La vita è una cosa strana. A volte tutto crolla. Ma a volte—torna in mente. Il cuore ricorda ciò che la mente dimentica. Basta uno sguardo. Una domanda. Un uovo.
A volte l’amore è solo un vezzeggiativo. Sembra piccino. Una parola, un gesto, una padellina. Ma è enorme. Si è solo nascosto nella routine, nella stanchezza, nel silenzio.
E se un giorno sbuca fuori, minuscolo—afferralo. Non lasciarlo andare. Perché quello è l’amore vero.