**Ma almeno è vero**
“Mamma, come fai a crescere una bambina così?” ripeteva spesso Marina alla sorella Anastasia. “È una femmina, non un maschio!”
Anastasia e Marina erano sorelle, entrambe sposate con figli. Anastasia aveva una figlia, Alice, e un maschietto, mentre Marina aveva solo la sua adorata Loretta.
Si vedevano spesso, soprattutto Marina che andava a trovare la sorella nella sua casa in campagna, con un giardino curato dove rilassarsi sotto la pergola e far giocare i bambini. Marina, invece, viveva in un appartamento in città.
Era convinta che la sua Loretta fosse più intelligente, più bella e più talentuosa di Alice, anche se la differenza d’età era di un solo anno, con Alice maggiore.
“Anastasia, guarda, la tua Alice è di nuovo sull’albero! Ma come si fa?” cercava di influenzare la sorella sull’educazione della nipote.
“E che c’è di male?” rispondeva Anastasia, sorridendo. “È una bambina, deve crescere libera.”
“Ma mica arrampicandosi come un maschiaccio! Le femmine devono comportarsi diversamente!” insisteva Marina, senza successo.
Le due cuginette andavano d’accordo, anche se a Loretta sarebbe piaciuto giocare con la stessa libertà di Alice. Ma la madre la teneva sotto controllo: niente alberi, niente giochi troppo movimentati.
Alice non aveva mai invidiato la cugina, anche se zia Marina era sicura che dovesse farlo. Da bambina e poi a scuola, Alice se ne infischiava. Era vivace, indipendente, sempre in movimento.
Era una piccola caparbia, non si faceva mettere i piedi in testa dai maschi, li seguiva sugli alberi, a volte si azzuffava per difendere sé stessa e il fratellino, e qualche volta saltava il recinto con loro per rubare mele nel frutteto del vicino. Le bambole non la interessavano, né i vestiti, né i fiocchi. Preferiva passare il tempo con il padre in garage, tra chiavi inglesi, bulloni e viti, e soprattutto a riordinare tutto.
“Piccola, non serve che metti tutto a posto, poi non trovo più niente! Piuttosto, passami la chiave da sedici,” le diceva il padre, e lei gliela porgeva subito, orgogliosa di saper riconoscere ogni attrezzo.
Loretta era l’opposto di Alice. Vestita come una bambola, sempre con abiti eleganti, calzini bianchi con i fiocchetti e enormi fiocchi tra i capelli. Ad Alice quei vestiti pieni di pizzi e volant non piacevano per niente.
E non faceva che sentire i rimproveri di zia Marina:
“Loretta, non entrare nella sabbiera, sporchi i calzini! Non stare vicino alla porta, c’è corrente! Non toccare i giochi degli altri, sono sporchi! Perché hai preso quella mela? È piena di germi!”
Alice trovava insensato tutto questo e non sopportava la zia per come trattava la figlia. Con Loretta non ci si poteva divertire. E poi, oltre il cancello non poteva neanche uscire.
“Ma dove vai, tesoro? Ci sono cani randagi, i ragazzi potrebbero essere maleducati… Lascia che vada Alice, tu resta qui con noi.”
Alice la compativa. “Zia Marina, lasciala venire con me, nessuno le farà niente!”
Ma la zia la fulminava con lo sguardo. “No, Loretta non esce dal giardino.”
A scuola, Alice faceva atletica, giocava a pallavolo e poi si appassionò alle arti marziali. La zia Marina sbiancava ogni volta che lo scopriva.
“Ma come si può educare una ragazza così?” chiedeva alla sorella.
“Lascia che faccia quello che le piace. Troverà la sua strada,” rispondeva Anastasia, difendendo la figlia.
Intanto Loretta studiava pianoforte, faceva danza classica e la madre provò a farla appassionare alla pittura, ma a lei non interessava. Lasciò perdere.
Al primo anno di università, Alice conobbe Lorenzo durante un allenamento di arti marziali. Lui era lì per lo stesso motivo. Non era un Adone, ma aveva un bel sorriso.
“Ciao,” le disse avvicinandosi. “Ti osservo da un po’. Sei bravissima. Io sono Lorenzo, ma tu già lo sai, vero?” Rise, spontaneo.
La sua sincerità la conquistò. Era come se si conoscessero da sempre.
“Tu non frequenti la mia università, vero?”
“No, lavoro come meccanico e studio ingegneria meccanica da non frequentante,” spiegò.
Da quel giorno, iniziarono a frequentarsi. Andavano agli allenamenti insieme, passeggiavano al parco, al cinema. Avevano molti interessi in comune.
“Mamma, papà, domani vi presento Lorenzo. Lui mi ha già fatto conoscere sua madre,” annunciò Alice una sera.
“Va bene, portalo a cena,” risposero i genitori.
Lorenzo e il padre di Alice si intesero subito, parlando di motori e macchine. Al padre piaceva che fosse un ragazzo concreto, che lavorava e studiava.
Passò il tempo, e al secondo anno di università Alice annunciò:
“Voglio andare con Lorenzo in un appartamento nostro.”
Anastasia non era d’accordo: “Tesoro, è troppo presto! Pensa agli studi!”
Ma il padre la sorprese sostenendola. Gli piaceva Lorenzo. Quando venivano a trovarlo, passavano ore in garage a riparare la vecchia Fiat, e poi guardavano la partita insieme tifando per la stessa squadra.
Quando zia Marina lo seppe, fu scandalo.
“Santo cielo, Anastasia! Come avete permesso ad Alice di andare a vivere con un ragazzo senza nemmeno sposarsi?”
“E che problema c’è?” rispose Anastasia, come sempre tranquilla.
Un anno dopo, però, Loretta fece lo stesso: andò a vivere con Massimo, più grande di lei, già laureato e benestante. Marina non si lamentò affatto, anzi, vantava il futuro genero.
“Loretta ha trovato un uomo meraviglioso! Bello, intelligente, educato, ricco, di buona famiglia.”
Poco dopo, a un compleanno di Loretta, Alice e Lorenzo furono invitati. Alice non aveva voglia di ascoltare i continui elogi di zia Marina su Massimo, ma non volle mancare.
Massimo era esattamente come descritto: affascinante, brillante, pieno di complimenti per tutti.
“Davvero un bel tipo,” pensò Alice, e per la prima volta sentì un pizzico d’invidia.
Loretta aveva preparato tutto perfettamente: cibo raffinato, vino pregiato, tavola elegante. Massimo era galante, riempiva i bicchieri, raccontava barzellette.
“Che fortuna ha Loretta,” pensò Alice, osservando Lorenzo, silenzioso e un po’ a disagio. “Lui almeno non parla a vanvera.”
Ma dopo un’ora, il chiacchiericcio incessante di Massimo le diede il mal di testa.
“Oddio, mi sta scoppiando il cranio,” sbatté le palpebre.
Zia Marina se ne andò: “Ragazzi, io vado. Divertitevi!”
Poco dopo, Alice cambiò idea su Massimo.
“Che rompiscatole. Se fosse sempre così, non lo sopporterei,” pensò, guardando Lorenzo, che invece era tranquillo, sobrio.
Poi Massimo si alzò goffamente e barcollò verso la camera da letto. Dopo cinque minuti, un urlo:
“Loreeeee! Portami l’acqua! Mi sento male!”
“Non dovevi bere così tanto,” rispose lei.
“Stai zitta, stupida! Portami l’acqua!”
“Fallo da solo!” urlò Loretta, ma poi andò in cucina e gliela portò.
Alice rimase sbal