Un viaggio fatale verso casa
Quella gelida mattina di dicembre, Beatrice e suo marito Lorenzo partirono per raggiungere il paesino di Monticello, dove i genitori di Beatrice li attendevano. La neve scricchiolava sotto i loro piedi, e il cielo, oscurato da nuvole pesanti, minacciava tempesta. Davanti a loro c’era una lunga strada, piena di ansie e imprevisti. I genitori li accolsero con abbracci calorosi ed esclamazioni di gioia non appena la macchina si fermò davanti alla casa familiare. Tutti insieme entrarono in quel rifugio accogliente, dove sul tavolo fumavano già piatti caldi. L’aria era intrisa dell’odore di dolci appena sfornati, e nel camino scoppiettava la legna, creando un’atmosfera di serenità.
Il padre di Beatrice, Giuseppe, portò Lorenzo in salotto per discutere di “cose da uomini”: politica, automobili, pesca. Beatrice, invece, si ritirò in cucina con sua madre, Maria, dove, come da tradizione, sorseggiando una tazza di tè, iniziò a confidarle i suoi pensieri più intimi. Maria era preoccupata: perché i due giovani non pensavano ancora a un figlio? Beatrice sorrise, cercando di tranquillizzarla:
“Tutto a suo tempo, mamma, non preoccuparti. Ancora un anno, e ne parleremo.”
Ma nella sua voce c’era insicurezza, e nel cuore un’inquietudine indistinta. La notte avvolse la casa, e il vento ululava fuori dalla finestra, annunciando l’arrivo di una bufera. Beatrice si strinse a Lorenzo, e il suo abbraccio era dolce come nei primi tempi del loro amore. Si addormentò sentendosi al sicuro, ma nel profondo del cuore covava un presentimento di sventura.
La mattina seguente, li svegliò il profumo del caffè appena fatto e delle frittelle dorate. Beatrice si lavò il viso con acqua fredda, scrollandosi di dosso gli ultimi residui di sonno, e si avvicinò al marito. Lorenzo, massaggiandosi una spalla, improvvisamente sussultò dal dolore. Il suo viso si contorse, e Beatrice si bloccò, paralizzata dalla paura: qualcosa non andava.
“È di nuovo la spalla,” borbottò lui, cercando di sorridere. “Passerà, come sempre.”
Maria, sentendoli parlare, portò un unguento fatto in casa e una sciarpa di lana. Con gesti esperti fasciò la spalla del genero, sussurrando che tutto si sarebbe sistemato. Ma Beatrice vedeva come Lorenzo si contorceva dal dolore, e il cuore le si strinse d’angoscia.
“Bea, credo che dovrai guidare tu,” le disse Lorenzo sottovoce quando rimasero soli.
Lei annuì, anche se dentro di sé tutto si ribellava. Il viaggio di ritorno sarebbe stato difficile, e dopo la nevicata della notte, l’idea la spaventava ancora di più. Ma non c’era alternativa.
Quell’anno era stato una prova per Beatrice e Lorenzo. Non poterono festeggiare il Natale con i genitori: Lorenzo aveva insistito per un incontro di lavoro cruciale con dei partner che avrebbero potuto aprire nuove porte per la sua azienda. Beatrice, pur comprendendone la necessità, non riusciva a liberarsi dal senso di colpa verso i suoi genitori. Decisero di far loro visita due settimane prima delle feste, portando regali e spiegazioni. I doni — un nuovo smartphone per il padre e stivali caldi per la madre — erano impacchettati con cura, e nel bagagliaio c’erano frutta, vino e dolci. Tutto secondo la tradizione di famiglia.
Ma l’atmosfera si oscurò con una notizia inaspettata. La sera prima della partenza, Beatrice ricevette un messaggio: era morta la sua collega Sofia, con cui aveva lavorato per oltre dieci anni. Le lacrime le rigarono il viso, e il cuore le si spezzò dal dolore. Lorenzo la strinse tra le braccia, cercando di consolarla, ma lei sapeva: la vita è fragile, e quel pensiero non le dava pace.
La notte prima del viaggio fu agitata. Beatrice fece sogni angoscianti, ma al mattino non riusciva a ricordarne nemmeno uno. Solo un peso sul petto le ricordava l’ansia. Decise di non dire nulla a Lorenzo per non preoccuparlo, e partirono all’alba.
Con loro grande sorpresa, la mattina si rivelò limpida. Un freddo pungente e rari raggi di sole filtravano tra le nuvole. Le strade in città erano scivolose, ma una volta imboccata l’autostrada, tirarono un sospiro di sollievo: l’asfalto era pulito. Tuttavia, dopo un centinaio di chilometri, tutto cambiò. Il cielo si oscurò, e iniziò a nevicare. L’auto avanzava lentamente nella tormenta, e Beatrice stringeva il volante con forza, cercando di non farsi prendere dal panico.
Quando finalmente arrivarono a Monticello, i genitori li aspettavano già al cancello. Abbracci, risate, la casa calda — tutto sembrò scacciare per un attimo l’ansia. A cena, Beatrice si sentì tornare bambina: gli odori familiari, le battute della mamma, i racconti del papà. Ma la conversazione sui figli le fece nuovamente sentire una fitta di colpa. La madre la guardava con speranza, e Beatrice, per tranquillizzarla, promise che presto le cose sarebbero cambiate.
Di notte, la bufera si scatenò con violenza. Il vento ululava come se piangesse sogni infranti. Beatrice, avvolta nella coperta, si strinse a Lorenzo. Le sue carezze erano così dolci che per un attimo dimenticò ogni preoccupazione. Ma il pensiero del viaggio del giorno dopo non le dava tregua.
Al mattino, dopo una colazione abbondante, Lorenzo ammise che la spalla continuava a fargli male. Beatrice, facendosi forza, si sedette al volante. I genitori li salutarono con sorrisi, ma negli occhi della madre, Beatrice colse un’ombra d’ansia. Mentre l’auto si muoveva, Maria sussurrò:
“Che l’angelo custode vi accompagni…”
Il viaggio fu un incubo. Strade non spalate, asfalto viscido, macchine che sbandavano — tutto costringeva Beatrice a concentrarsi al massimo. Lorenzo taceva, indicando solo ogni tanto la prossima stazione di servizio. Aveva promesso di sostituirla alla guida, ma lei vedeva come si contraeva dal dolore.
E poi, il disastro. Un’auto venne contromano direttamente verso di loro. Beatrice sterzò bruscamente a destra, ma la strada era come ghiaccio. L’auto sbandò, e nella sua mente balenò un pensiero: “Eccoci.” I secondi si dilatarono in un’eternità. La loro macchina uscì di strada, sprofondò nella neve alta e, inclinandosi, si fermò contro un albero.
Il motore continuava a funzionare, e dalla radio usciva musica. Beatrice e Lorenzo, allacciati alle cinture, rimasero immobili, increduli di essere vivi. Fu lui a rompere il silenzio:
“Bea, stai bene?”
Annui, sentendo le mani tremarle. Lorenzo, dimenticandosi del dolore, la strinse a sé, e in quel momento arrivarono dei soccorritori. Alcuni automobilisti si fermarono, li aiutarono a uscire dall’auto, offrendo loro caffè caldo da un thermos. L’auto non era troppo danneggiata: qualche ammaccatura e lo specchietto rotto. I soccorsi arrivarono rapidamente, riportarono l’auto sulla strada e la controllarono. Tutto funzionava.
“Siete stati fortunati,” disse uno dei soccorritori. “La neve vi ha salvato. Riuscite a ripartire?”
“Certo,” rispose Lorenzo con fermezza, mettendosi al volante.
Ripresero il viRientrarono a casa quella sera con il cuore leggero, sapendo che l’angelo custote di Maria li aveva protetti per un motivo ben più grande di quanto potessero immaginare.