Una ciotola di zuppa per la suocera non mi pesa, ma le sue visite mi esasperano

Oggi scrivo queste parole con il cuore pesante, come un uomo che ha bisogno di liberarsi di un peso. Viviamo in un piccolo paese vicino a Parma, dove le case in pietra si nascondono tra i gelsi, e la mia vita, a 32 anni, è diventata un’eterna danza per compiacere mia suocera. Mi chiamo Matteo, sono sposato con Alessandra, e viviamo in un appartamento proprio sopra quello di sua madre, Ginevra Rossi. Una scodella di minestra per lei non mi pesa, e può pure guardare la televisione in salotto per ore, ma l’abitudine di arrivare ogni giorno e restare fino a mezzanotte mi ruba la pace. Sono allo stremo, e non so come fermarla senza ferire mia moglie.

La famiglia in cui mi sono ritrovato.

Alessandra è l’amore della mia vita dai tempi dell’università. Dolce, premurosa, lavora come maestra e con lei mi sento al sicuro. Ci siamo sposati quattro anni fa, e credevo di essere pronto a vivere accanto alla sua famiglia. Ginevra, sua madre, sembrava una vedova gentile, che adora sua figlia e vuole starle vicina. Quando ci siamo trasferiti sopra di lei, pensavo fosse comodo: sarebbe stata lì in caso di bisogno. Invece di aiuto, ho avuto un’invasione quotidiana da cui non riesco a liberarmi.

Il nostro piccolo Leonardo, di due anni, è il centro delle nostre giornate. Io faccio l’impiegato in banca part-time per passare più tempo con lui. Alessandra spesso lavora fino a tardi, e io mi occupo di tutto. Ma Ginevra ha trasformato casa nostra nella sua seconda abitazione. Ogni giorno, senza avvisare, suona alla porta, e le sue visite non sono solo un caffè, ma un’occupazione militare.

La suocera che non se ne va.

Comincia tutto al mattino. Preparo il pranzo, e squilla il citofono: è Ginevra. *”Matteo, sono solo passata, come va?”* dice, ma un minuto dopo è già seduta a tavola, aspettando la minestra. Non sono tirchio, può mangiare quanto vuole. Ma dopo non se ne va. Accende la TV, guarda i suoi programmi per ore, commentando ad alta voce. Leonardo corre intorno, io cerco di pulire o lavorare, e lei sembra non accorgersi che sono occupato.

Verso mezzanotte, quando sono già esausto, finalmente scende da noi. Ma non è finita: può tornare su per aver *”dimenticato”* qualcosa, o chiamare Alessandra per lamentarsi di un mal di testa. La sua presenza è come un rumore di fondo che non posso spegnere. Critica come cucino, come vesto Leonardo, come tengo casa. *”Ai miei tempi, i bambini dormivano di più”*, dice, e io taccio, anche se dentro ribollo.

Il silenzio di Alessandra.

Ho provato a parlarle. Dopo una serata con Ginevra rimasta fino all’una, le ho detto: *”Alessandra, sono stanco, ho bisogno di spazio.”* Lei ha sospirato: *”È sola, si annoia. Sopporta.”* Sopportare? Lo faccio ogni giorno, ma le mie energie finiscono. Alessandra ama sua madre, e capisco che le voglia bene, ma perché devo sacrificare la mia pace? Il suo silenzio mi fa sentire solo perfino in famiglia.

Leonardo ormai è abituato alla nonna sempre presente, ma vedo che i suoi ritmi si scombussolano. Vorrei che casa mia fosse davvero mia, poter riposare, giocare con mio figlio, stare con mia moglie senza occhi indiscreti. Ma Ginevra sembra convinta che sia suo diritto stare da noi. Il suo appartamento è sotto al nostro, a due passi, eppure preferisce il nostro divano, la nostra TV, la nostra vita.

L’ultima goccia.

Ieri è stato peggio del solito. Preparavo la cena, Leonardo piangeva, e Ginevra ha alzato il volume della televisione. Le ho chiesto di abbassarlo, ma ha sbuffato: *”Matteo, non fare il permaloso, non ti disturbo.”* Non disturba? Per poco non scoppiavo dalla frustrazione. Quando Alessandra è rientrata, Ginevra si è lamentata che *”non la faccio sentire a casa.”* Mia moglie non ha detto nulla, e ho capito: se non metto un limite, non finirà mai.

Voglio parlarle seriamente. Dirle che sua madre può venire, ma non tutti i giorni e non fino a tardi. Magari proporle di stabilire due visite a settimana. Ma ho paura che Ginevra si offenda, e che Alessandra prenda le sue difese. E se mi chiama egoista? E se rovina il nostro matrimonio? Ma non posso più vivere così, sentirmi un estraneo in casa mia.

Il mio grido per la pace.

Questa storia è il mio grido per avere diritto alla mia casa. Una scodella di minestra non mi costa nulla, né la televisione, ma voglio che la mia famiglia sia solo nostra. Ginevra forse non ha cattive intenzioni, ma le sue visite mi soffocano. Alessandra forse mi ama, ma il suo silenzio è come un tradimento. A 32 anni, voglio vivere in un mondo dove mio figlio dorme negli orari giusti, dove posso respirare, dove casa mia è il mio rifugio.

Non so come convincere Alessandra, come non ferire Ginevra. Ma so una cosa: non posso più essere prigioniero delle sue abitudini. Sarà una conversazione difficile, ma sono pronto. Sono Matteo, e riprenderò possesso della mia casa, anche se dovessi lasciare un ultimatum.

La lezione? A volte, amare significa anche saper dire *”basta.”*

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