Una cura per le sventure

La Cura per il Dolore

Lucrezia e Vittorio si conobbero all’università. Entrambi vivevano nel dormitorio. Decisero subito che sarebbero stati insieme, ma solo dopo la laurea. Come sempre, la vita modificò i semplici piani dei due innamorati. Lucrezia rimase incinta all’ultimo anno.

“Vittorio, cosa facciamo?”, chiese Lucrezia disperata, fissando l’amico. “Sai com’è severa mia madre? Non voleva nemmeno che venissi a studiare. L’ho convinta a malapena, promettendole che non avrei fatto la sua stessa fine, che non avrei avuto un figlio senza marito. E ora? Come torno a casa? Mi ucciderà.” Si morse il labbro per trattenere le lacrime.

Anche Vittorio era spaventato, ma decise di comportarsi da uomo e salvare l’onore della sua amata. I suoi genitori non gli avevano posto condizioni quando lo avevano lasciato andare a studiare in una grande città, e ora vedeva Lucrezia disperata e in lacrime. La amava, così le propose di sposarsi. Con gli esami di Stato alle porte, non c’era tempo per un matrimonio.

Chiamò i suoi genitori, confessò tutto e disse che sarebbe tornato a casa dopo la laurea, con diploma e moglie. Lo rimproverarono, ovviamente, ma non potevano farci niente. “Che vengano insieme”, dissero alla fine.

Lucrezia, impaurita, nascondeva dietro la schiena del marito la pancia ormai visibile, mentre stavano nell’ingresso stretto dei suoceri. Il padre aggrottava le sopracciglia, la madre scuoteva la testa e rimproverava i giovani per aver avuto un figlio troppo presto, per essersi sposati senza la benedizione dei genitori. “Non porterà fortuna. È questo il modo di iniziare una vita?” Brontolarono, si lamentarono, ma alla fine decisero di aiutarli. Vendettero la casa al mare, mischiarono tutti i risparmi e comprarono ai due giovani un bilocale.

“Vi abbiamo aiutato come potevamo, ora tocca a voi”, disse il padre.

Due mesi dopo, Lucrezia diede alla luce una bambina.

Vittorio lavorava, ma i soldi non bastavano mai. I suoi genitori avevano già dato tutto ciò che potevano, e vergognarsi a chiedere ancora era inutile. Era ora di cavarsela da solo. Fu allora che un vecchio amico delle superiori gli propose di vendere computer.

“È un affare serio. Ora bisogna cogliere l’attimo, i computer vanno a ruba. Ho qualche contatto con i fornitori, ci accordiamo. Sei tornato al momento giusto. Tu ci capisci, io sto ancora imparando. Insieme potremmo fare grandi cose!”, lo convinse l’amico.

Gli anni Novanta con il racket erano finiti. Il rischio c’era, ma tutto era legale, valeva la pena tentare. Vittorio accettò. Dovette però chiedere un prestito per l’avvio dell’attività e una partecipazione equa.

Acquistarono merce invenduta, ma a buon prezzo. Vittorio sistemava i computer, installava i programmi necessari, li riparava se serviva. Li rivendevano a molto di più. L’affare decollò. Vittorio riuscì non solo a ripagare il debito, ma anche a comprare un trilocale.

La bambina cresceva, era ora di iscriverla all’asilo. E Lucrezia voleva tornare a lavorare.

“Potresti stare a casa, i soldi bastano. Che ti salta in mente?”, brontolò Vittorio. “Dovremmo pensare a un altro figlio.”

“Fammi riprendere un po’. Non mi sono ancora ripresa dai pannolini. Dopo l’università non ho mai lavorato. E poi ad Angelica farà bene stare con altri bambini. Come farà quando andrà a scuola?”, lo convinse Lucrezia.

Ma all’asilo non c’erano posti. A Lucrezia fu proposto di lavorare come assistente nel nido, così avrebbero preso anche sua figlia. Non ci pensò due volte, accettò subito.

“Con una laurea fai l’assistente? Non farmi vergognare”, sbottò Vittorio.

“Non arrabbiarti. È solo per un anno, per far entrare Angelica. Poi mi licenzio e trovo un lavoro vero. Avrò la bambina sempre sotto controllo. Non è meglio così?”, lo placò Lucrezia.

All’epoca il lavoro online non era ancora parte della vita. Internet era lento. Vittorio brontolò, ma alla fine accettò.

Il loro business con l’amico andava a gonfie vele, suscitando invidia e indignazione tra i concorrenti. Ma un giorno tutto crollò. Avevano appena comprato una nuova partita di laptop da rivendere, quando di notte li portarono via tutti, cercando di coprire il furto con un incendio. Non solo persero tutto, ma rimasero anche con i debiti.

L’amico si diede all’alcol. Vittorio no, aveva una famiglia. Ma doveva ripagare i computer acquistati. Avrebbe potuto vendere l’appartamento, ma dove avrebbero vissuto? Tornare dai genitori umiliato?

Cercò lavoro. Non voleva più avere a che fare con gli affari. Come sempre, il caso lo aiutò. Sulla strada, un’auto era rimasta bloccata. Vittorio la spinse e notò sul sedile posteriore un processore. Parlò con il conducente, che, scoprendo che Vittorio era un tecnico informatico, gli offrì un lavoro. Avevano bisogno di qualcuno per configurare e riparare i computer in azienda, installare programmi semplici. Proprio ciò che Vittorio sapeva e amava fare. Accettò.

Il debito fu ripagato poco a poco. La vita si sistemava. La figlia era cresciuta, l’anno dopo avrebbe finito il liceo e sarebbe andata all’università. Sembrava che tutti i guai fossero finiti.

Quel giorno Vittorio fece tardi al lavoro. Lucrezia preparava la cena, mentre Angelica e un’amica ascoltavano musica. Poi l’amica decise di tornare a casa.

“Mamma, l’accompagno!”, gridò Angelica dall’ingresso.

“Non tardare!”, rispose Lucrezia, ma la porta si era già chiusa dietro di loro.

Spense il gas e si sedette davanti alla TV. Stava trasmettendo un film. Lucrezia si perse nella storia, dimenticò il tempo e non si accorse nemmeno quando Vittorio tornò.

“Perché è tutto così silenzioso? Angelica è a casa?”, chiese lui, asciugandosi le mani fredde. “È tornato improvvisamente il freddo.”

Solo allora Lucrezia ricordò che la figlia era uscita. Quanto tempo era passato? Venti minuti? Mezz’ora? Sarebbe dovuta tornare. L’amica abitava nella strada accanto. Lucrezia corse nella stanza della figlia. Vuota. Chiamò l’amica.

“Angelica non è a casa? Ci siamo lasciate venti minuti fa”, rispose la ragazza stupita.

Fu chiaro che era successo qualcosa. Lucrezia si colpevolizzò. Perché l’aveva lasciata andare? Avrebbe dovuto accompagnarla. Si agitò per casa, voleva correre in strada. I genitori dell’amica chiamarono, offrendo aiuto per cercare Angelica. Vittorio però non lasciò uscire la moglie, la fece sedere e le ordinò di telefonare agli ospedali. Ma Lucrezia era incapace di parlare. Appena sentiva domande sull’arrivo di ragazze senza documenti, scoppiava in lacrime.

“Sì, un’ora fa è arrivata un’ambulanza con una ragazza senza documenti”, risposero da un ospedale.

Lucrezia pianse ancora più forte.

“È viva. Smettila di piangere! Andiamo”, la riprese Vittorio.

Angelica era viva, ma in coma. I medici non davano previsioni. LucreziaI gattino Toschino si strinse tra le braccia di Lucrezia, e per la prima volta dopo tanto dolore, lei sentì un barlume di pace mentre Vittorio usciva a comprare tutto il necessario per il nuovo membro della famiglia, sapendo che forse, finalmente, la vita stava sorridendo loro di nuovo.

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