Una donna in una casa incantevole tra fiori mozzafiato.

Oggi scrivo di una donna che viveva in una bella casa a Firenze. Accanto, nell’aiuola, fiorivano ortensie e petunie. Quel tripudio viola era da togliere il fiato.

Si sedeva sull’altalena del giardino con le gambe accavallate, leggendo un libro. Nel forno, una crostata di albicocche stava quasi pronta. Il profumo si mescolava all’aroma di menta dei cespugli vicini, e sembrava di respirare l’aria del paradiso.

Sapeva sempre esattamente quando lui sarebbe arrivato. Quel giorno, aveva impastato la pasta frolla fin dal mattino. Inventava ripieni sempre nuovi per le sue torte. Tutte quelle cose pesanti, ragù e minestre, non le sopportava. La magia era nell’impasto, che docile si plasmava sotto le sue mani esperte.

Ironia della sorte. Una volta erano solo le nonne a fare le crostate. Ora toccava a lei. E non era certo una nonna.

Lui non sapeva mai quando sarebbe partito. Passava un po’ di tempo, e poi sentiva il bisogno bruciante di vederla. E le telefonava sempre dall’auto.

Non aveva niente e nessuno. Solo una vita passata, due matrimoni falliti, un figlio lontano, un trasloco a Milano, le sue cose ammassate nel bagagliaio, un mucchio di ricordi confusi, e la lenta risalita dal pozzo nero della disperazione.

Si erano conosciuti in modo banale. A una festa in spiaggia a Rimini. Lui trascinato da un amico, lei dalla sorella. Nessuno dei due voleva esserci, ed erano rimasti ai margini, estranei a quel festoso caos. Poi lui l’aveva invitata a ballare. E, chissà perché, le aveva comprato una rosa kitsch da una fioraia ambulante. Infine, l’aveva accompagnata a casa, attraversando mezza città.

E tutto si era mischiato. E lui si era spaventato. Perché torturarsi di nuovo il cuore?

Ma ogni volta che il vuoto diventava insopportabile, entrava in macchina e partiva. Solo per affondare il viso nei suoi capelli e sussurrarle all’orecchio: «Ehi, ciao…»

Aveva persino cominciato a pensare di poter restare lì, con lei, per sempre.

Una volta glielo aveva detto. I suoi occhi avevano brillato per un attimo, poi si erano spenti: «Fai come credi».

E ogni volta che si lasciavano, era come strapparsi via un pezzo di pelle. Lui già oltre il cancello, ma poi si voltava, tornava a baciarla. Riprovava ad andarsene. E tornava di nuovo.

Peccato averla incontrata troppo tardi. Ma almeno l’aveva incontrata.

Lei intanto versava il tè in una tazza alta, tagliava la crostata e si sedeva di fronte a lui. Niente di speciale. Nella sua vita c’erano state passioni violente e notti frenetiche. Ma si era scoperto bisognoso di quell’amore quieto, profumato di menta e confettura di fragole. O lamponi. O arance amare. E di quelle chiacchierate fino all’alba. E della curva del suo fianco. E del suo sorriso assonnato. E del suo respiro nella cornetta, attraverso chilometri e satelliti.

Non aspettò il weekend. Le telefonò, come al solito, dalla strada. Spense il telefono, alzò il volume della musica, e non sentì l’urto.

Lei non saprà mai che stava arrivando da lei per sempre.

Lui non saprà mai che sua figlia ha gli occhi di un blu così intenso…

La lezione? A volte il destino si diverte a spezzare proprio ciò che sembrava finalmente tornare a posto.

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