Una donna viveva in una città, convinta di condurre una vita dignitosa.

Nella città di Torino viveva una donna di nome Giulia Salvini. Si riteneva una persona rispettabile: un appartamento pulito e ordinato, un lavoro dignitoso come contabile in una fabbrica di mobili. A cinquant’anni, guardava la sua vita con soddisfazione, soprattutto confrontandola con quella dei suoi eccentrici vicini.

Sullo stesso pianerottolo abitava un’anziana signora, Adriana, ormai vicina alla pensione, che si tingeva i capelli di un blu sgargiante e vestiva jeans attillati e magliette stravaganti. Che vergogna! Tutti ridevano di lei. «Una pazza senz’altro», pensava Giulia, compiaciuta della propria rispettabilità.

Poi c’era la terza vicina, una ragazzina di ventun anni, Margherita, che già aveva una figlia di cinque. «Una scandalosa», giudicava Giulia. «Chissà a che età è rimasta incinta!» E per di più, Margherita se la intendeva con l’eccentrica Adriana, che a volte badava alla piccola Sofia mentre lei lavorava.

Infine, l’ultimo vicino: un uomo sui trent’anni, completamente tatuato. Che orrore! «Come può un uomo ridursi così?» sbuffava Giulia. «Certo, senza cervello, ci si deve pur distinguere in qualche modo.»

Ogni giorno, nell’ascensore, Giulia si crogiolava nei suoi giudizi, poi li ripeteva alla sua unica amica al telefono. Non avevano altro di cui parlare.

Una sera, però, tornando dal lavoro con un terribile mal di testa e un ronzio assordante nelle orecchie, le gambe cedettero. Stremata, si lasciò cadere sulla panchina del cortile. Fu allora che sentì una carezza sulla mano. Alzando lo sguardo, vide l’insopportabile Adriana con i capelli blu.

«Che succede? Sta male?»

«Mi duole la testa…»

«Venga, andiamo da Luca. È a casa oggi.»

«Luca?»

«Il suo vicino, quello del terzo piano. È cardiologo. Non lo sapeva?»

Quando la porta si aprì, Giulia si ritrovò davanti l’uomo tatuato che tanto disprezzava. Con gesti precisi, lui le misurò la pressione, le somministrò una pastiglia e le sorrise:

«Si riposi. Anche le signore giovani come lei devono controllare la pressione.»

Giulia arrossì, ricordando le parole sprezzanti dette su di lui.

Più tardi, a casa sua, bussarono alla porta. Adriana era lì, con la piccola Sofia per mano.

«Volevo assicurarmi che stesse bene. Scusi se porto la bambina, Margherita è al lavoro… E poi, mi sembrava il momento buono per conoscerla. Lei è sempre così riservata.»

Giulia, senza pensarci, la fece entrare. Mentre preparavano il tè, Adriana si aprì:

«A quattordici anni cominciai ad accudire mia madre malata. Morì quando ne avevo già trenta. Non ho studiato, non ho avuto amori… Solo la sua stanza d’ospedale. Poi Margherita… La bambina è sua sorella, sa? I genitori morirono in un incidente. Lei lasciò l’università per crescerla. Luca, il dottore, a volte li aiuta. Ma sono tutti così forti…»

Quando Adriana se ne andò, Giulia rimase a fissare il vuoto. Forse poteva offrirsi per badare a Sofia. E quei capelli rossi che desiderava da anni? Perché no? Domani ne avrebbe parlato con Adriana. E poi, doveva assolutamente invitare Luca a cena, per ringraziarlo. Con delle buone sfogliatelle, magari.

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Una donna viveva in una città, convinta di condurre una vita dignitosa.