Una figlia per me

Ecco la storia adattata alla cultura italiana:

Vittoria entrò in casa e si fermò ad ascoltare. Si tolse in fretta il cappotto e le scarpe, poi corse nella stanza della mamma.

La donna era distesa sul letto, sopra la coperta. Occhi chiusi, braccia incrociate sul petto.

“Mamma!” gridò Vittoria, spaventata.

“Che vuoi urlare?” La mamma aprì lentamente gli occhi.

“Mi hai spaventata. Stavi lì come se…” Vittoria si interruppe.

“Non vedi l’ora che muoia, eh? Pazienza, non manca molto,” borbottò la donna con tono seccato. “Perché sei tornata così tardi?”

“Mamma, perché dici così? Davvero mi hai fatto paura. Sono passata in negozio dopo il lavoro. Solo un quarto d’ora in più,” si giustificò Vittoria. “Hai bisogno di qualcosa? Vado a preparare la cena.”

La mamma era sempre stata malata, fin da quando Vittoria aveva memoria. Andava in ospedale come fosse un lavoro. Tornava a casa lamentandosi dei dottori, che erano buoni a nulla, incapaci di diagnosticare o curare davvero.

Aveva avuto Vittoria tardi, a quarant’anni. “Per me stessa”, come si suol dire. Di papà, nessuna traccia. La mamma tagliava corto ogni domanda su di lui. Crescendo, Vittoria aveva frugato negli album di famiglia—ce n’erano due—ma non una foto di uomini.

“Le ho bruciate. Perché tenere immagini di un traditore?” rispose la mamma. “Figlia mia, non fidarti degli uomini. Stai alla larga.”

Gite scolastiche di più di un giorno? Mai permesse.

“Soldi non ne abbiamo. Quando sarai grande, viaggerai. E se mi sento male e tu non ci sei? Morirò, e resterai sola al mondo,” diceva la mamma.

Al minimo problema, si aggrappava al cuore. Vittoria correva sempre a prendere le medicine, sapendo già cosa servisse per il cuore e cosa per i nervi. Per questo, fin da piccola, aveva sognato di diventare medico.

Ma nella loro città non c’era una facoltà di medicina. E andare altrove? Impensabile. Con chi sarebbe rimasta la mamma? Vivevano già con il minimo, e con la pensione della madre, a malapena arrivavano a fine mese. Dopo il liceo, Vittoria si mise a lavorare.

Vicino a casa c’era un piccolo studio notarile. Nessun annuncio, ma Vittoria entrò lo stesso, chiedendo se avessero bisogno. Fortuna volle che sì.

Nello studio lavoravano poche persone. All’ingresso, una ragazza incinta gestiva appuntamenti, chiamate e faccende varie, ma doveva anche pulire i locali. Si lamentava con la titolare: serviva una donna delle pulizie. Vittoria arrivò al momento giusto. Educata e discreta, fu assunta subito.

All’inizio spazzava e lavava, ma presto imparò a usare il computer e ad aiutare con i documenti. Quando la segretaria andò in maternità, Vittoria prese il suo posto, raddoppiando lo stipendio. Un sogno!

A scuola, le piaceva un ragazzo del quartiere. Uscirono qualche volta, finché la mamma non la mise in guardia: “I ragazzi vogliono solo una cosa. Approfitteranno e poi spariranno. E tu ti ritroverai sola con un figlio, come me.”

“Il papà ti ha tradito? Per questo hai bruciato le foto?” intuì Vittoria.

La mamma esitò, poi si riprese. “No, tra me e tuo padre è stato diverso. Ci amavamo, ci siamo sposati, sei nata tu. Ma alla fine mi ha lasciata per una più giovane. Tutti gli uomini sono così, Vittoria. Non fidarti.”

Naturalmente, ometteva di averla avuta “per sé”, senza marito.

Dopo il liceo, il ragazzo si trasferì per l’università. Poi, un giorno, lo incrociò con un’altra. Lui distolse lo sguardo. “Tutti traditori,” ricordò Vittoria.

Al lavoro, alcuni clienti provavano a corteggiarla, ma lei rifiutava sempre. Tra la mamma malata e le sue paure, non c’era spazio. Se un pretendente si faceva avanti, la mamma chiamava: “Vittoria, vieni subito, ho un attacco!” E lei correva, chiamava l’ambulanza… e l’uomo spariva.

Così passò la giovinezza, mentre la mamma, sempre più immobilizzata, sembrava peggiorare. Gli uomini smisero di guardarla. Senza cure, senza trucco, con i capelli raccolti, scompariva tra colleghe e clienti eleganti.

Un giorno, un’infermiera dell’ambulanza la tirò in disparte. “Non è affar mio, ma tua madre ti sta manipolando. Non ha nulla di grave. Per la sua età, sta benissimo. Devi vivere la tua vita, Vittoria. Sposarti, avere figli, prima che sia tardi.”

Vittoria si offese, ma quelle parole le rimasero in testa. Aveva quasi trent’anni e non aveva mai fatto nulla, mai visto nulla. Un solo bacio, quello del ragazzo del liceo. La mamma fingeva per tenerla legata?

Una sera, scivolò sul ghiaccio. Un uomo la afferrò. “Grazie,” disse, arrossendo.

“Ti accompagno.” Lui prese la sua borsa.

“Come sai dove abito?”

“So già chi sei. Mia zia Anna mi ha parlato di te.”

Lo guardò meglio. Piacevole. I capelli scuri, gli occhi caldi.

“Vieni a prendere un caffè con me?” propose lui.

Vittoria esitò. “…Forse.”

Lui sorrise. “Mi chiamo Michele. Allora, ci vediamo?”

Annui e scappò in casa, il cuore in gola.

“Con chi parlavi?” strillò la mamma dalla stanza.

Vittoria mentì. Ma la mama fiutò tutto: “Ti ha invitato da qualche parte? Guarda che ti faccio vedere io!”

Quella sera, la mamma rifiutò la cena. Poi, l’ennesima crisi. “Chiama l’ambulanza!”

Ma stavolta Vittoria non chiamò. Le diede solo le medicine. “Basta, mamma. Prendi queste e passa.”

Nei giorni seguenti, uscì con Michele. Lui parlava della sua vita in Israele, del Mar Morto… Poi un giorno la invitò a trasferirsi con lui.

“Mi piaci, ma non posso lasciare la mamma.”

“Portiamola con noi.”

“Non reggerebbe il viaggio, né il clima. E non verrebbe mai.”

“Allora troviamo una badante.”

Vittoria scosse la testa. “No.”

Michele partì da solo.

La mamma, intanto, non mollava: “Ti sei data a lui, eh? E se rimani incinta? Lui se n’è andato, ti ha abbandonata. Sai com’è crescere un figlio da sola?”

Vittoria la fissò. “Come sai che è partito? Non esci nemmeno di casa… Hai mentito tutto questo tempo? Per tenermi qui? Mi hai rubato la vita!”

La mamma improvvisamente impallidì, affannandosi. Vittoria chiamò l’ambulanza. In ospedale, le dissero che serviva un intervento al cuore. Rischioso, alla sua età.

“Senza operazione?” chiese Vittoria.

“Un anno, forse.”

Tornata a casa, la mamma peggiorò nel carattere. Vittoria scoprì di aspettare un bambino. Quando la mamma lo seppe, sibilò: “Perché non l’hai abortito?”

“Lo voglio. Per una volta, faccio ciò che voglio io. Michele mi aveva chiesto di sposarlo, di partire. Ho rifiutato per te. Ora almeno avrò questo bambino.”

La mamma tacque, le labbra serrate.

“Riposati.La notte in cui la mamma morì, Vittoria pianse non per il dolore, ma per la libertà che finalmente sentiva, e quando Michele tornò a prenderla, se ne andarono insieme in Israele, lasciandosi alle spalle tutte le paure e cominciando una nuova vita piena di amore e possibilità.

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