«Una madre finge una malattia per scoprire chi dei suoi figli la ama davvero: il risultato è sorprendente»

Quando squillò il telefono al mattino, Giulia stentò a capire se era ancora a letto o già sveglia. Sullo schermo lampeggiava: “Mamma”. Il sonno svanì all’istante. La voce della madre era allegra, quasi spensierata:

“Dormivi ancora, pigrona? Io ho già infornato i cannoli! Domani venite tutti e due, te e Marco. Dobbiamo parlare. No, non dell’orto. Del testamento! Non voglio che vi azzuffiate al mio funerale per la casa e quattrini. Presentatevi, senza scuse!”

Giulia si irrigidì. Testamento? Funerale? Ma la madre parlava con tale sicurezza che discutere era inutile.

Intanto, Carmela, mamma di Giulia e Marco, sedeva al tavolo aggiustandosi lo scialle di lana. Accanto a lei, la vicina Pina la fissava preoccupata:

“Carmè, ti senti male? Perché parli di queste cose tetre? Mi spaventi…”

“Tranquilla, Pinella, voglio solo vedere i miei figli. Un anno che non si fanno vivi, ognuno per i fatti suoi. E se domani mi succede qualcosa, chi glielo spiega? E poi, voglio metterli alla prova. Vedere come mi trattano davvero.”

Così dicendo, chiuse la porta alla vicina e andò a riposare. Domani sarebbe stata una giornata importante.

Il mattino era grigio, come il suo piano. Sistemò la casa, indossò una vestaglia logora, si lavò il viso e si sedette in poltrona trattenendo il fiato. Dopo un’ora, bussarono alla porta.

Prima entrò Giulia, rossa in volto e agitata. “Mamma! Cosa succede? Stai male? Questo testamento?!”

Dietro di lei, più composto, arrivò Marco. “Dai, mamma, ci hai fatto prendere un colpo. Vuoi già andartene? Non è presto?”

“Sedetevi, figli miei,” disse Carmela con calma. “E chiamate i vostri compagni. Elena, Luca, entrate pure.”

Quando furono tutti a tavola, parlò. “Ascoltate senza interrompere. La vecchiaia non è una gioia, e io vivo sola. Le malattie non avvisano. Perciò ho deciso: parlerò ora. Ma prima, aiutate una vecchia. La legna da spaccare, il pranzo da preparare…”

Giulia ed Elena annuirono e si misero all’opera. Carmela osservava: l’impasto si attaccava alle dita, le patate tagliate troppo grosse, le pentole che sbattevano. “Cittadini inetti,” pensò, ma non disse nulla. Non era quello il punto.

Dopo pranzo, chiese a Luca ed Elena di uscire, restando sola con i figli.

“Sentite bene. La casa dove siete cresciuti la lascio a Pina, la vicina. Lei è qui, lei mi aiuta se serve. Marco, a te lascio la rimessa e gli attrezzi. Fanne ciò che vuoi. E a te, Giulia, i risparmi. Ho messo da parte la pensione, quasi nulla speso.”

Un silenzio pesante calò nella stanza.

“La casa a un’estranea?” sbottò Marco. “Ma sei seria?”

“E perché no? Non venivate da un anno. Pina passa ogni giorno. Tu, Marco, non mi hai invitata al tuo matrimonio— ti vergognavi di tua madre paesana? E tu, Giulia, non ti vedevo da quando ti sei risposata con Luca. Ricordi quando ti dissi che Stefano non faceva per te? Avevo ragione…”

“Mamma, basta…” mormorò Giulia.

“Non mi sento bene. Vado a riposare,” sospirò Carmela, chiudendosi in camera.

Fuori scoppiò la lite.

“È colpa tua!” sibilò Marco. “Potevi venire a trovarla! Ora la casa è di Pina!”

“Ma certo! Io lavoro tutto il giorno! E tu con Elena cosa fate? Lei sta a casa, poteva passare!”

Gridavano, si sovrapponevano. Carmela li ascoltava dalla poltrona, guardando fuori dalla finestra, gli occhi lucidi. Dov’erano i bambini che correvano scalzi in cortile? Dov’era la loro gentilezza?

Quando rientrarono, lei non era a letto— era seduta, composta, ma gli occhi tradiscevano tutto.

“Mamma, come stai? Sei malata…” iniziò Marco.

“Meglio,” rispose cupa. “Ora ho capito. Non servo a nessuno. Il testamento? Ci sarà. Più tardi. Quando deciderete a cosa vi serve questa casa: amarla o spartirla?”

A colazione regnò il silenzio, rotto solo dal rumore delle posate. Fu Giulia a parlare per prima:

“Perdonaci, mamma… Abbiamo sbagliato. Verrò più spesso, lo prometto. Siamo una famiglia…”

Carmela annuì. Un caldo silenzio avvolse la tavola.

Da allora, cambiò tutto e niente. Marco quasi non si faceva vedere, ma mandava soldi. Giulia passava più spesso: minestra, marmellate, aiuto in giardino. Del testamento, nessuno chiese più.

E nessuno sapeva che giaceva già nel cassetto, firmato e timbrato. Tutto diviso in parti uguali. Perché Carmela amava ancora i suoi figli. Anche se loro a volte lo dimenticavano.

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«Una madre finge una malattia per scoprire chi dei suoi figli la ama davvero: il risultato è sorprendente»