Una Nuova Opportunità

La Seconda Possibilità

Il cuore di Fiorenza era pesante, come accade sempre dopo una visita al cimitero. Nell’autobus con lei c’erano altre poche persone, ognuna immersa nei propri pensieri.

L’autobus deviò dalla circonvallazione verso la città. Fuori dal finestrino sfilavano le case basse della periferia, alcune a un solo piano, altre a due. Presto anche queste sarebbero scomparse, sostituite da nuovi quartieri con strade larghe e palazzi alti.

Fiorenza, spinta da un impulso, scese alla fermata più vicina. E se la prossima volta che fosse tornata, il quartiere della sua infanzia non esistesse più? Camminò tra le viuzze con le case basse, la vernice scrostata dal tempo, e un’ansia crescente le serrò il petto: forse non avrebbe più ritrovato la sua casa, dove aveva vissuto i momenti più felici della sua vita.

La maggior parte delle finestre erano vuote, i vetri rotti, i portoni spalancati come bocche spalancate in un urlo muto. Gli abitanti erano già stati trasferiti in nuovi appartamenti. Tutto era deserto, solo macchine e autobus passavano veloci. Eccola, la sua casa. Fiorenza la riconobbe e il cuore le si strinse, come davanti a un vecchio amico.

Senza vita dentro, la casa sembrava più piccola, quasi fragile. Rimaneva solo la panchina all’ingresso, annerita dagli anni. E a due case di distanza, già si scorgeva la freccia di una gru. Anche questo edificio sarebbe presto caduto.

Fiorenza chiuse gli occhi e per un istante rivide sua madre affacciata alla finestra del secondo piano, che la cercava con lo sguardo tra le bambine che giocavano a campana nel cortile. Dalle finestre aperte arrivavano il rumore di piatti e posate, l’odore di cipolla soffritta. In qualche appartamento, la televisione sussurrava notizie. Dalla casa di zia Natalina, la voce stridula che rimproverava il marito ubriaco.

*”Fiore, a tavola!”* risuonò nella sua mente la voce cristallina di sua madre, lontana nel tempo.
Fiorenza trasalì e riaprì gli occhi. Niente madre, nessuno, solo finestre vuote che la fissavano impassibili.

Ma ormai i ricordi la travolgevano, e lei non riusciva più a fermarli…

***

*”Fiore, a tavola!”* gridava sua madre dalla finestra.

E lei correva su per le scale consunte, raggiungeva il secondo piano, entrava in casa e già nell’ingresso sentiva sua madre dire: *”Lavati le mani e siediti!”* E suo padre, seduto tra il tavolo e il frigorifero, leggeva il giornale in attesa che tutti si mettessero a tavola…

Fiorenza lo ricordava con tale nitidezza da sentire ancora l’odore della minestra aspra. Le lacrime le rigavano il viso, scivolando sulla pelle. Le asciugò con la punta delle dita, sfiorandosi sotto gli occhi.

Ed eccola lì, con lo zaino in spalla, sulla strada per la scuola. Non aveva fatto nemmeno pochi passi che sentì il rumore dei piedi di Giorgio che correva.

*”Fio, aspetta!”* le gridò.
La raggiunse e camminarono insieme.

*”Mi fai copiare i compiti di matematica?”*

*”Perché non sei venuto ieri sera?”* chiese Fiorenza.

*”Tua madre mi guarda come se temesse che le rubi qualcosa.”*

*”Non dire sciocchezze.”* Fiorenza girò appena la testa e lo osservò di profilo.
Com’era cambiato quell’estate, cresciuto all’improvviso. I capelli neri schiariti dal sole, la pelle olivastra ancora più scura. Dal collo della camicia spuntava una vena sottile che pulsava. Le sembrava di vederla, anche se sapeva che era impossibile. Ma l’aveva notata una volta, e non l’aveva più dimenticata.

Da quando era diventato così? Lo riconosceva e insieme no: Giorgio, l’amico d’infanzia, il vicino del primo piano. L’aveva vista dalla finestra ed era corso a raggiungerla.

Giorgio sentì il suo sguardo e la fissò a sua volta. Fiorenza non fece in tempo a distogliere gli occhi. Quello sguardo color tè la bruciò come acqua bollente, le accese le guance e le orecchie di rossore, il cuore le batteva forte e irregolare.

I loro padri lavoravano entrambi in fabbrica, ed è per questo che avevano avuto quelle case vecchie. La madre di Giorgio faceva la contabile nello stesso posto, mentre sua madre era infermiera all’ospedale. La fabbrica era lì vicino, con i suoi alti camioni che sbuffavano fumo.

*”Dove vuoi iscriverti?”* chiese all’improvviso Fiorenza.

*”Al Politecnico. Dopo la laurea, lavoro in fabbrica come ingegnere e poi divento direttore. Cambierò tutto qui.”*

*”Davvero?”* Fiorenza lo guardò sorpresa. *”Non ho mai sentito nessuno sognare di diventare direttore di fabbrica.”*

*”Non mi credi? Vedrai,”* rispose sicuro Giorgio.

*”L’ingegnere lo capisco, ma perché la fabbrica? Tra poco la chiuderanno. I macchinari sono vecchi, i capannoni cadono a pezzi. Sarebbe più facile costruirne una nuova,”* osservò Fiorenza con noncuranza.

*”Che ne sai tu? Non la chiuderanno mai. È una delle più antiche d’Italia. Un simbolo della città. Senza di lei, migliaia di persone resterebbero senza lavoro,”* replicò serio Giorgio. *”E tu?”*

*”Io mi iscriverò all’università, ma non qui, a Roma. Farò la traduttrice, vedrò tanti paesi. Ma anche la psicoterapeuta non sarebbe male. Ho ancora un anno per decidere,”* disse Fiorenza, un po’ vanitosa.

Nell’ultima domenica di settembre, tutta la classe andò alla festa di compleanno di un compagno nella sua casa al lago. Il posto era poco fuori città, sulle ronde del Lago di Como. Sotto i piedi, le foglie dorate frusciavano, il sole basso accecava filtrando attraverso i rami ormai spogli.

Le ragazze aiutavano i genitori a preparare la tavola in giardino. I ragazzi giocavano a pallavolo. Dopo pranzo, tutti si sparpagliarono nel bosco. Fu lì che Giorgio baciò Fiorenza per la prima volta.

Che anno fu quello! Entrambi improvvisamente cresciuti, pazzi d’amore, che si abbracciavano e si baciavano fino a perdere il conto del tempo. Una volta, sua madre era di turno di notte all’ospedale e suo padre trattenuto per un’emergenza in fabbrica. Giorgio venne da lei per copiare i compiti.

Fu allora che successe tutto, veloce, goffo. Si guardarono confusi, senza sapere cosa fare. Fiorenza lo fece promettere che non si sarebbe più ripetuto. Giorgio, deluso, annuì e se ne andò. Il giorno dopo, andarono a scuola insieme, ma in silenzio, senza trovare le parole.

Passarono giorni prima che riuscissero a parlarne.

*”Finiremo le superiori e ci sposeremo,”* disse Giorgio.

*”Ma io me ne andrò,”* mormorò Fiorenza.

*”Allora non andare,”* la supplicò lui.

Fu la prima volta che litigarono.

Alla festa di Capodanno della scuola, Fiorenza li vide per caso: nella semioscurità di un’aula, Giorgio baciava Loredana. Scappò via in lacrime. Iniziò il periodo delle vacanze invernali ed evitarlo divenneE poi, in un attimo, tutto tornò chiaro, quando Giorgio le prese la mano e le sussurrò: “Non perdiamoci di nuovo,” e Fiorenza capì che, nonostante gli anni e le scelte sbagliate, il loro amore meritava davvero una seconda possibilità.

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