**Il secondo respiro**
Mario non era un Adone come Marcello Mastroianni. Lavorava come semplice ingegnere in una fabbrica di macchine edili. Non beveva, o quasi solo nelle feste comandate. Non fumava. Dopo ventidue anni di matrimonio, non si era mai lasciato distrarre da altre donne.
La figlia si era sposata e si era trasferita a Milano col marito. Di dare nipotini, però, non sembrava avere fretta. Mario non se ne crucciava troppo. I bambini erano una responsabilità, rumore e giocattoli sparsi per terra. A lui piacevano le serate tranquille, con il giornale e la televisione. Quanti anni aveva ancora? Avrebbe avuto tempo per godersi i nipoti.
Sua moglie, Anna, era perfetta sotto ogni aspetto: bella e curata, la casa sempre accogliente e ordinata, la cena pronta e saporita, e nei giorni di festa, una torta fatta in casa e la carne alla pizzaiola. Insomma, la vita era come doveva essere.
Tornava dal lavoro in macchina, strizzando gli occhi contro il sole basso, già immaginandosi una cena abbondante e la tranquillità davanti alla tv.
Appena entrato in casa, si tolse le scarpe nell’ingresso e tese l’orecchio. Di solito Anna sbucava dalla cucina dicendo che la cena era quasi pronta. Ma quella sera, nessuna voce. Un’inquietudine inspiegabile gli serpeggiò nel petto. Attraversò il corridoio e la trovò in camera, accanto all’armadio spalancato, che staccava vestiti dalle grucce e li gettava sul letto, dove un borsone rimaneva aperto.
«Dove vai? A Milano, dalla figlia? È incinta?» chiese Mario.
Anna, senza guardarlo, si avvicinò al borsone e vi infilò dentro i vestiti con movimenti decisi.
«Ma mi senti? Ti sto parlando! Dove cavolo vai?» ripeté lui, la voce che cominciava a incrinarsi.
Ella si guardò attorno, controllando di non aver dimenticato niente, poi cercò di chiudere la borsa. Ma era troppo piena, la cerniera minacciava di rompersi.
«Invece di piantarti lì a fare domande stupide, potresti aiutarmi.» Anna si raddrizzò, soffiandosi via una ciocca ribelle dai occhi.
«Ho chiesto dove vai con tutti questi vestiti. È una domanda stupida?» Mario tratteneva a fatica l’irritazione che gli ribolliva dentro.
«Dove, dove? Me ne vado. Ti lascio.» Disse la moglie con un tono di sfida.
«Perché?» Mario alzò un sopracciglio.
«Ne ho avuto abbastanza. Allora, mi aiuti o no?» Indicò il borsone con il mento.
«Abbastanza di cosa?» Lui si avvicinò, premete sulla borsa e con un gesto secco chiuse la cerniera.
«Di tutto. Di te, di stare ai fornelli. Di passare ogni sera in casa a fissare il televisore.»
«Potevi dirlo prima. Avremmo potuto variare, andare al teatro o qualcosa del genere,» disse lui, la prima cosa che gli venne in mente.
«E farmi vergognare mentre russavi in platea? Un giorno uguale all’altro, e la vita che passa.» Nella voce di Anna sentì disperazione e insoddisfazione.
«Ma questo non dipende da noi. Andiamo avanti o restiamo fermi, il tempo passa lo stesso,» osservò lui, filosofeggiando.
«Non fare il sapientone. Io, alla fine, voglio avere qualcosa da ricordare. E che avrò? Polpette in padella? Lavare i piatti? Te col giornale davanti alla tv?» La voce di Anna si incrinò in un urlo.
«Credi che non abbia altro posto dove andare oltre che da nostra figlia? Me ne vado da chi mi vede come una donna, una dea, una regina. Da chi mi dedica poesie…» Alzò gli occhi al soffitto, lo sguardo annebbiato.
«E io?» chiese Mario, improvvisamente consapevole.
«Tu continua pure come sei abituato. Solo che ora dovrai cucinare, lavare e stirare da solo. Hai smesso di notarmi. Mi sono tagliata i capelli due mesi fa, ho cambiato look. Te ne sei accorto?» Anna sorrise amaramente, posò la borsa a terra, estrasse il manico e la trascinò verso l’uscita, lasciando due solchi sul tappeto chiaro.
Mentre Anna si infilava il cappotto con un fruscio, Mario fissava quelle due strisce schiacciate sul tappeto. Gli pareva che la borsa gli fosse passata sul cuore, lasciandovi lo stesso segno.
Solo quando la porta d’ingresso sbatté e la serratura scattò, Mario trasalì e distolse lo sguardo dal tappeto. Solo allora capì: sua moglie se n’era andata.
Doveva fare qualcosa. Per abitudine, andò in cucina. Sul fornello, il bollitore era freddo. Aprì il frigo: rimanevano una pentola di minestrone, qualche fetta di salame, due barattoli di conserve, alcune uova e mezza bottiglia di latte. Richiuse lo sportello. La fame era sparita.
Tornò in camera e si sedette sul letto, dove prima c’era la borsa. Né il giornale né la tv lo attiravano più. Avere Anna lì accanto, anche solo mentre cucinava o stirava, buttando un occhio alla tv, dava senso a tutto. C’era una famiglia, c’era un focolare…
Sospirò e rimase a fissare lo schermo spento, cercando di digerire quanto accaduto. La cosa peggiore era il silenzio, il vuoto, come se Anna avesse portato via ogni suono. Si alzò, si infilò una giacca, le scarpe e uscì. Ma il vuoto lo seguì passo passo.
Passando davanti a un bar, vide gente chiacchierare e ridere. Desiderò unirsi a loro, riempire quel vuoto dentro. Senza pensarci, entrò. Musica di sottofondo, voci ovattate. Ordinò un bicchierino di grappa. Il dolore si placò. Ne prese un altro. Poi un altro ancora…
Non ricordava come fosse tornato a casa. Si risvegliò la mattina dopo con il mal di testa, ancora vestito sopra le coperte. Al tentativo di alzarsi, un campanello gli martellò il cranio e la stanza gli girò attorno.
Non capiva che giorno fosse. Con dita malferme estrasse il telefono. Sullo schermo lesse «sabato». Sabato! Andò in bagno e tornò a letto.
Quando si svegliò due ore dopo, si sentì meglio. Una doccia lo rinfrescò. Si vestì e uscì. Il sole splendeva allegro, la gente camminava, le auto sfrecciavano. Sentì un giramento passando davanti al bar della sera prima. Affrettò il passo verso il lungomare.
Una donna gli sorrise avvicinandosi. Mario si guardò attorno, ma non c’era nessun altro. Stava sorridendo a lui.
«Anche lei approfitta di questa giornata? Sembra già estate,» disse lei avvicinandosi.
«Mh,» annuì lui.
La donna si fermò. Sembrava aspettarsi una risposta più articolata.
«Scusi… ci conosciamo? Non ricordo. Oggi non sono in me,» borbottò Mario.
«Le è successo qualcosa?» La donna gli fissò gli occhi con empatia.
«Sì. Mia moglie mi ha lasciato. Per un poeta. Lui le dedica versi, io no,» aggiunse, senza capire perché.
«Sta male? Ha la fronte sudata,» osservò lei premurosa. «Sediamoci un attimo.» Cercò una panE quella sera, mentre camminavano lungo il lungomare illuminato dalle luci della città, Mario si rese conto che il suo secondo respiro era appena iniziato, e questa volta voleva viverlo pienamente, senza rimpianti.