La Nuova Vita di Giulia: dal Giudizio all’Accettazione
Lucia scese dall’autobus con lentezza. Le gambe intorpidite, le articolazioni doloranti, e la valigia che sembrava pesare il doppio. I passeggeri si affrettavano a prendere le loro cose, sparivano lasciandosi alle spalle solo il fruscio dei passi e il rombo del mezzo che ripartiva. Lucia, come al solito, non aveva fretta. A casa nessuno l’aspettava. Si fermò un attimo, respirò a fondo l’aria impregnata dell’odore delle foglie bagnate e, per la prima volta dopo tanto tempo, sentì che non stava tornando semplicemente in un appartamento—stava tornando a sé stessa.
La sua amica del liceo l’aveva invitata da tempo. Avevano passato una settimana in campagna—natura, silenzio, chiacchiere infinite. Ma verso la fine, Lucia aveva capito: le mancava il suo letto, la sua tazza da tè, perfino il ticchettio quieto dell’orologio in cucina.
Suo marito era morto sette anni prima. All’inizio si era sentita persa, senza sapere come vivere da sola. Poi ci si era abituata. Sua figlia si era sposata, trasferendosi a Milano—e non telefonava spesso. La solitudine era diventata familiare, come una vecchia sciarpa con cui coprirsi nelle serate d’inverno.
“Signora, è suo questo?” chiese l’autista indicando la valigia rimasta orfana vicino al bus.
“Mio,” annuì Lucia, spingendola verso la fermata cittadina.
L’autobus sfrecciava sull’asfalto bagnato, nelle pozzanghere si riflettevano brandelli di cielo. La città la accoglieva con le sue case conosciute, paesaggi noti, i pioppi grigi ai lati della strada. Era cresciuta lì, si era sposata, aveva avuto una figlia—e ora tornava, come dopo un grande giro, allo stesso punto.
Davanti al portone, come sempre, sedevano le due guardiane eterne—Maria e Giovanna. Entrambe paffute come bomboloni alla crema, chiacchieravano senza sosta e scrutavano ogni passante con occhio giudicante.
“Da dove vieni, Lucetta?” le agganciarono con lo sguardo all’unisono.
“Sono stata da un’amica,” rispose lei, già con la mano sulla porta, ma la fermarono.
“Mentre eri via, da voi è successo di tutto…”
“Nell’appartamento quaranta è arrivata una nuova inquilina! Una ragazza altissima, sembra uno spazzolone!”
“Hanno portato mobili nuovi! Un SUV enorme! E ha un gatto bianco, tutto arruffato!”
“Si vede subito che è una mantenuta! L’uomo che la tiene è vecchio abbastanza per esserle padre!”
Lucia le ascoltò in silenzio—le vicine, come sempre, sapevano tutto di tutti. Avresti potuto chiedergli chi fosse sepolto al cimitero e perché, e loro lo sapevano. L’importante era che avessero fatto i lavori in sua assenza—almeno i muri non avevano tremato per i trapani.
L’appartamento la accolse con silenzio e il solito odore di polvere. Il bollitore sul fornello, la doccia calda, la sua tazza preferita—tutto al suo posto. Si era appena sistemata davanti alla TV quando suonarono alla porta.
Sulla soglia c’era quella “spazzolone”. La ragazza era, in effetti, di una bellezza accecante: abbronzatura perfetta, capelli biondi, shorts corti, braccia sottili. Ma negli occhi c’era qualcosa di più: stanchezza, cautela, malinconia.
“Buongiorno, sono la sua nuova vicina. Ho sentito passi e ho pensato di presentarmi. Mi chiamo Giulia.”
Il nome suonò inaspettatamente semplice. Non Melania, non Angelica—Giulia.
Lucia la invitò per un tè. La ragazza si rivelò educata, intelligente. Senza smancerie, senza arroganza.
“Immagino abbia già sentito chiacchiere su di me?” chiese Giulia con un sorriso.
“Qualcosina,” ammise Lucia. “Ma credo a quello che vedo.”
A poco a poco, Giulia si aprì. Raccontò la sua storia: il padre alcolizzato, la fuga dal paesino natale, l’uomo che l’aveva accolta, dandole una casa e un’istruzione. L’unico uomo della sua vita. Sì, era sposato. Ma lei non aveva rubato niente a nessuno.
“La gente giudica dalla facciata,” disse piano Lucia. “Mai dentro. Non preoccuparti, ti capisco.”
Tra loro nacque un legame—quieto, caldo, quasi familiare. Lucia invitò persino Giulia al suo compleanno. Le vicine sbuffarono: “L’hai invitata pure lei?”—ma poi si presentarono comunque. Vestite con abiti luccicanti, portando antipasti e diffidenza.
Giulia aiutò a preparare le insalate, in pantaloni e una camicetta—modesta, gentile, accogliente. Persino Maria e Giovanna si sciolsero a poco a poco. E quando Giulia intonò “Volare”, tutte cantarono insieme. A fine serata, il marito ubriaco di una di loro faceva complimenti a tutte e tre. Ma nessuna si offese. Quella sera, erano quasi amiche.
Poi iniziò la vera vita. Giulia trovò lavoro, si sposò, ebbe una bambina. Giovanna aiutò con la piccola, Maria portò il minestrone.
Il passato fu dimenticato. Restò solo una donna dolce e autentica di nome Giulia—con un cuore buono e uno sguardo sincero. E alla fine, non era questo che contava?
Ogni vita merita una seconda chance. A volte, serve solo qualcuno che dica: “Ti capisco.”