La Nuova Vita di Giulia: dal Giudizio all’Accettazione
Fausta scese lentamente dall’autobus. Le gambe erano intorpidite, le articolazioni doloranti, e la valigia sembrava il doppio più pesante. I passeggeri afferravano frettolosamente le loro cose, disperdendosi, lasciandosi dietro solo il fruscio dei passi e il rombo del mezzo che ripartiva. Fausta, come al solito, non aveva fretta. A casa nessuno l’aspettava. Si fermò un attimo più in là, respirò a fondo l’aria carica dell’odore di foglie bagnate, e per la prima volta dopo tanto tempo sentì di non tornare semplicemente in un appartamento, ma a se stessa.
La sua amica del liceo l’aveva invitata da tempo. Avevano passato una settimana in campagna: natura, silenzio, chiacchiere infinite. Ma verso la fine Fausta capì: le mancava il suo letto, la sua tazza per il tè, perfino il ticchettio dell’orologio in cucina.
Il marito era morto sette anni prima. All’inizio si era sentita persa, senza sapere come vivere da sola. Poi si era abituata. La figlia si era sposata, era partita per Milano e non telefonava spesso. La solitudine era diventata familiare, come uno scialle vecchio con cui coprirsi nelle sere d’inverno.
“Signora, è suo?” le chiese l’autista, indicando la valigia rimasta sola vicino al bus.
“Mio,” annuì Fausta, spingendola verso la fermata cittadina.
L’autobus sfrecciava sull’asfalto bagnato, le pozzanghere riflettevano brandelli di cielo. La città la accoglieva con le sue case conosciute, i paesaggi noti, i pioppi argentati ai lati della strada. Era cresciuta lì, si era sposata, aveva avuto una figlia. E ora tornava, come dopo un grande giro, allo stesso punto.
All’ingresso del palazzo, come sempre, sedevano le due perpetue guardiane: Natalia e Nina. Entrambe paffute come bomboloni, sempre a commentare e a squadrare ogni passante con sguardi sospettosi.
“Da dove vieni, Faustina?” le chiesero quasi in coro, aggrappandole gli occhi addosso.
“Ero da un’amica,” rispose breve, tendendo già la mano verso il portone, ma loro la fermarono.
“Mentre non c’eri, lì dentro è successo di tutto… Nella quarantesima è entrata una nuova! Una ragazza altissima, magra come uno spago!”
“Hanno portato mobili nuovi! Arrivati con un SUV! E ha un gatto, bianco e peloso!”
“Si vede subito che è una mantenuta! L’uomo che frequenta potrebbe essere suo padre!”
Fausta le ascoltò in silenzio—le vicine, come sempre, sapevano tutto di tutti. Avresti potuto chiedere loro chi fosse sepolto al cimitero e perché. L’importante era che avessero fatto i lavori senza di lei: almeno i muri non avevano tremato per i trapani.
L’appartamento l’accolse con silenzio e l’odore familiare della polvere. La teiera sul fornello, la doccia calda, la tazza preferita: tutto al suo posto. Si era appena seduta davanti alla televisione quando suonarono alla porta.
Sulla soglia c’era la famosa “spilungona”. La ragazza era, effettivamente, bellissima: abbronzata, capelli chiari, shorts corti, braccia sottili. Ma negli occhi c’era qualcosa di più: stanchezza, cautela, malinconia.
“Buonasera, sono la sua nuova vicina. Ho sentito passi e ho voluto presentarmi. Mi chiamo Giulia.”
Il nome suonò inaspettatamente semplice. Non Melania, non Angelica—Giulia.
Fausta la invitò per un tè. La ragazza si rivelò educata, intelligente. Senza affettazione, senza arroganza.
“Immagino abbiano già raccontato di me, vero?” chiese Giulia con un sorriso.
“Qualcosina,” rispose onesta Fausta. “Ma credo a quello che vedo.”
Piano piano, Giulia si aprì. Raccontò la sua storia: il padre alcolizzato, la fuga dal paesino natale, l’uomo che l’aveva accolta, offrendole una casa e un’istruzione. L’unico uomo della sua vita. Sì, era sposato. Ma lei non aveva tolto niente a nessuno.
“La gente giudica dalle apparenze,” disse piano Fausta. “Ma non guarda mai dentro. Non preoccuparti, ti capisco.”
Tra loro nacque un legame—silenzioso, caldo, quasi familiare. Fausta invitò persino Giulia al suo compleanno. Le vicine sbuffarono: “Hai invitato anche lei?” ma poi si presentarono comunque. In abiti scintillanti, con stuzzichini e diffidenza.
Giulia aiutò a tagliare le verdure per l’insalata, vestita con semplici pantaloni e una camicetta—modesta, gentile, accogliente. Persino Natalia e Nina si sciolsero poco a poco. E quando Giulia intonò “Bella ciao”, tutte si unirono. A fine serata, il marito ubriaco di una delle due cominciò a fare complimenti a tutte e tre. Ma nessuna se la prese. Quella sera, erano quasi amiche.
Poi iniziò la vera vita. Giulia trovò lavoro, si sposò, ebbe una bambina. Nina le faceva da baby-sitter, Natalia le portava la minestra.
Il passato fu dimenticato. Rimase solo una donna sincera di nome Giulia—con un buon cuore, con uno sguardo autentico. E alla fine, non è questo che conta?
Ognuno ha bisogno di una seconda possibilità. A volte, basta solo qualcuno che dica: “Ti capisco”.