Una ragazza povera ha portato un anello insolito al banco dei pegni per curare il suo cane randagio. Il gesto del gioielliere ha lasciato tutti senza parole

**Diario di Leonardo**

Cinque anni fa, il mondo di Leonardo Moretti crollò per poi rinascere dalle ceneri con una luce nuova e abbagliante. Sua figlia Marta, un angelo in forma umana, aveva appena sei anni quando cominciò a perdere le forze. Il suo sorriso, capace un tempo di illuminare le stanze più buie, diventava sempre più raro. I medici, prima cauti, poi freddi come il ghiaccio, emisero la sentenza: un tumore al cervello. Una parola impossibile da pronunciare senza rabbrividire. Ma per Marta non era una condanna, era una sfida che affrontò con la dignità di una principessa.

Leonardo e sua moglie, Francesca, persone il cui cuore si era spezzato prima ancora di capire che potesse spezzarsi, fecero limpossibile per dare a Marta una vita normale. Sognavano che lei potesse andare a scuola, imparare a leggere, contare, ascoltare una favola prima di dormire. Cose banali per molti, un miracolo per loro.

Assunsero uninsegnante privata, Donatella Rossi, una donna dalle mani gentili e il cuore saggio. Dopo due settimane, notò qualcosa di strano: dopo ogni lezione di mezzora, Marta aveva un mal di testa terribile. La bambina stringeva le tempie, impallidiva, ma insisteva per continuare. «Voglio imparare» diceva. «Devo farcela». Donatella, incapace di restare in silenzio, consigliò ai genitori di consultare un medico:

«Potrebbe non essere solo stanchezza. Dovete controllare. È importante, molto importante».

Francesca, con listinto di una madre, sentì che qualcosa non andava. Prenotò una visita quello stesso giorno. Il mattino dopo, tutta la famigliaLeonardo, Francesca e Marta, fragile come un fiore di primaverasi recò in ospedale. Leonardo, uomo daffari sicuro di sé, si ripeteva: «Sarà solo una fase di crescita. Passerà». Non poteva, semplicemente non poteva ammettere che sua figlia fosse malata. Marta era un miracolonata quando loro avevano ormai perso ogni speranza, a 37 anni. Ogni mattina sussurravano: «Grazie, Dio, per avercela donata». E ora, sembrava che Dio volesse riprendersela.

Tre oreuneternitàpassate in ospedale. Il medico era freddo come il vento dinverno. Il giorno dopo, lasciata Marta con la tata, i genitori tornarono per i risultati. Nello studio, li accolsero silenzio e uno sguardo grave.

«Vostra figlia ha un tumore al cervello» disse il medico. «La prognosi non è buona».

Francesca vacillò come se lavessero colpita. Il volto di Leonardo si pietrificò. Rimase lì, come in una nebbia, rifiutando di crederci. Era un errore. Un errore delluniverso. Corsero da un altro ospedale, poi un altro, ancora un altro. Ovunque la stessa diagnosi. La stessa sentenza.

Cominciò la battaglia. Una lotta per ogni giorno, per ogni respiro. Leonardo e Francesca vendettero lazienda, la casa, lauto. Volarono in America, in Germania, in Israele. Pagarono per cure sperimentali, per i migliori ospedali, per un barlume di speranza. Ma la medicina si arrese. Marta si spegneva. Lentamente, inesorabilmente. Ma sempre con un sorriso.

Una sera, mentre il sole tramontava tingendo la stanza doro, Marta disse piano a suo padre:

«Papà mi avevi promesso un cagnolino per il mio compleanno, ricordi? Vorrei tanto giocarci Farò in tempo?»

Il cuore di Leonardo si spezzò. Le strinse la manina, guardò i suoi occhi pieni di luce e sussurrò:

«Certo, piccola. Te lo regaleremo. E giocherai con lui, te lo prometto».

Francesca pianse tutta la notte. Leonardo rimase alla finestra, fissando il buio, e mormorò al vuoto:

«Perché la prendi? È così buona, così luminosa Prendi me! Io non servo a niente, ma lei lei è importante per tutti!»

Il mattino dopo, entrò nella stanza di Marta con un cucciolo tra le bracciaun golden retriever con occhi pieni di dolcezza. Allimprovviso, il cagnolino si divincolò, corse sul tappeto come un fulmine e saltò sul letto. Marta aprì gli occhi e, per la prima volta dopo tanto tempo, rise.

«Papà! È bellissimo!» esclamò, stringendoselo al petto. «Lo chiamerò Zeus!»

Da quel giorno, non si separarono mai. Zeus divenne la sua ombra, il suo protettore, la sua voce quando le parole non arrivavano più. I medici le avevano dato sei mesi. Ne visse otto. Forse fu lamore per Zeus a darle la forza. O forse un dono del cieloun dono che sarebbe sopravvissuto.

Quando Marta non riusciva più ad alzarsi, parlava piano al cane:

«Presto me ne andrò, Zeus. Per sempre. Forse mi dimenticherai ma voglio che tu mi ricordi. Ecco, prendi il mio anello».

Si tolse un piccolo anello doro dal dito e lo appese al collare. Le lacrime le rigavano il viso.

«Così mi ricorderai. Promettimelo».

Pochi giorni dopo, Marta se ne andò. Silenziosamente, tra le braccia dei genitori, con Zeus accucciato accanto. Francesca perse la ragione dal dolore. Leonardo divenne un estraneo a sé stesso. E Zeussi rifiutò di mangiare, rimase sul letto, fissando il vuoto, aspettando. Dopo una settimana, scomparve. Leonardo e Francesca lo cercarono ovunque: nei parchi, per le strade, nei sotterranei. Si sentivano in colpaperché non era solo un cane, era lultimo dono di Marta, la sua anima fatta di fedeltà e amore.

Passò un anno. Leonardo aprì un banco dei pegni e una gioielleria. Li chiamò «Zeus». In ogni gioiello cera un pezzo della sua memoria, in ogni suono della cassa, uneco della sua risata.

Una mattina, la sua assistente, Valeria, gli disse:

«Leonardo, cè una bambina qui. È in lacrime. Per favore, vieni».

Uscì nellatrio e si bloccò. Davanti a lui cera una bambina di nove anni, vestita di stracci, con occhi spaventati e identici a quelli di Marta. Stessi occhi scuri, profondi come la notte, pieni di dolore e speranza.

«Che succede, piccola?» chiese con dolcezza.

«Mi chiamo Lucrezia» sussurrò lei. «Ho un cane Balto. Lho trovato per strada, sporco e affamato. Lho salvato. Gli davo da mangiare quello che potevo a volte rubavo. Mia zia mi picchiava per quello. Vivevamo in una cantina. Lui mi proteggeva»

La voce le tremava.

«Oggi dei ragazzi lhanno avvelenato. Sta morendo. Non ho soldi per il veterinario. Prendi questo anello. Era sul suo collare. Per favore, aiutami»

Leonardo guardò il suo palmo. E sentì la terra mancargli sotto i piedi.

Nella sua mano cera lo stesso anello. Doro. Piccolo. Con un graffio allinternoil segno di un ditino.

Cadde in ginocchio. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Tutto aveva un senso. Il mondo si capovolsee tornò chiaro.

«Mettitelo» sussurrò, restituendole lanello con mani tremanti. «La sua padrona sarebbe felice che tu lo ami come lei amava Zeus».

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Una ragazza povera ha portato un anello insolito al banco dei pegni per curare il suo cane randagio. Il gesto del gioielliere ha lasciato tutti senza parole