Una ricerca di pace nell’attesa infinita

Valentina camminava avanti e indietro per il salotto, incapace di trovare pace. Era il terzo giorno consecutivo che Marco tornava a casa tardi. La sera prima era rientrato all’alba. Gli aveva rimproverato di non averla avvisata, di non aver chiamato per tranquillizzarla. Avevano litigato. E ora era di nuovo lì, a misurare la stanza con i suoi passi, controllando l’orologio di continuo.

«Mi vuole bene, ma potrebbe almeno telefonare. Prima o poi si sposerà. Devo abituarmi. Chissà che moglie troverà, avrò solo altre preoccupazioni. Meglio non pensarci. È adulto, ma il cuore di una madre non smette mai di soffrire». Valentina non riusciva a smettere di tormentarsi.

Un tempo rideva delle madri troppo apprensive con i figli grandi, e ora era diventata peggio di loro. Tutte le ragazze che Marco aveva frequentato, se gliele presentava, le trovava indegne. Come ogni madre, pensava che lui dovesse chiedere il suo parere su una scelta così importante come quella della sposa. Lei sapeva meglio di chiunque altro cosa gli serviva. I pensieri si affollavano nella sua mente senza sosta. Sperava solo che tornasse presto.

Il rumore della serratura la fece sobbalzare, anche se l’aveva aspettato e ascoltato ogni rumore. «Finalmente!» Corse nell’ingresso, ma a metà strada si fermò, tornò in cucina e si sedette a tavola, incrociando le braccia.

«Mamma, perché non dormi?» Marco era sulla soglia.
«Sai bene che mi preoccupo. Potevi chiamare», disse con tono di rimprovero.
«Mamma, sono grande, non devo rendere conto di ogni mio passo».
«Dove eri?» Lo fissò con sfida.
«Da Sofia». La voce di Marco si fece più dolce, più bassa.
«Hai un’altra ragazza, e immagino non l’ultima. Ma la madre ne hai solo una». Non riusciva a nascondere la gelosia.
«Perché un’altra? Lei è l’unica, come te, mamma». Marco si avvicinò, si chinò e le baciò la guancia. «E non parlare male di lei. Litigheremmo, e poi te ne pentiresti. E come potrei scegliere una moglie se non frequentassi nessuna? Sei tu che mi hai sempre detto di non sposare la prima che passa. O no?»
«L’ho detto», ammise Valentina. «Quindi… hai già scelto la sposa?»

Marco si accovacciò accanto a lei, cercando il suo sguardo. Il cuore di Valentina si riempì di tenerezza. Quanto assomigliava a suo padre! Lo stesso sguardo, lo stesso sorriso.
«L’ho scelta, mamma», sussurrò, appoggiando la testa sulle sue ginocchia.
«Allora presentamela», disse Valentina, già più conciliante.
«Certo, solo che…» Marco sollevò lo sguardo.
«Cosa? C’è qualcosa che non va?» Valentina temeva che volesse portare a casa una sbandata, come quando da bambino raccattava gattini e cagnolini randagi.

Avere pietà per gli animali era una buona qualità, ma non poteva salvarli tutti. Allora fingeva di avere allergia, cominciava a starnutire, e Marco li portava via, trovando loro una sistemazione. Ma ora non poteva fingere. Le parole le bruciavano sulla lingua, ma lo sguardo severo del figlio la fermò.

«Sta tutto bene, mamma. È bella e sa cucinare. A me piace, almeno. Ma non è sola».
«Ti sei innamorato di una donna sposata?»
Sul suo volto dovette trasparire il terrore, perché Marco corse a rassicurarla:
«No! Ma ha un figlio. Ha cinque anni».
«Cinque?» esclamò Valentina. «A che età l’ha avuto?»
«Mamma, non gridare. Sì, è più grande di me».
«Capisco». Valentina sentì il sangue ribollire.

Il suo cucciolo, il suo sole, l’amore della sua vita, per il quale avrebbe spostato montagne, si era innamorato di una donna più grande e con un bambino!
«Cosa capisci, mamma? Io l’amo. Ognuno ha il diritto di sbagliare. Sei sempre stata tu a dirmelo».
«Sì, ma certi errori durano tutta la vita. E le ragazze giovani e libere non ti interessano più?» sbottò con cattiveria.
«Ecco perché non te ne ho parlato prima», disse Marco, alzandosi di scatto. «Sapevo che non mi avresti capito. Ricordi quella collega sedotta e poi abbandonata? Quanto la compativi, dicevi che avrebbe trovato un uomo buono, che sarebbe diventato un padre per la sua bambina. Perché quel padre non posso esserlo io?»
«Amore mio, l’amore va e viene. Anch’io ho amato tuo padre alla follia, e lui ci ha lasciati per un’altra».
«Appunto, mamma. Non è detto che con una giovane e libera duri per sempre. Io amo Sofia. E suo figlio. È un bambino fantastico. Lo vedessi. Anche se ti opporresti, io non la lascerei. Capisci? Basta così».
«Marco, ti ho cresciuto sperando fossi felice…»
«Basta. È la mia vita, mamma. Se continui a intrometterti, me ne andrò». E se ne andò nella sua stanza.

Il mattino dopo uscì senza fare colazione. Non si parlarono per giorni. Marco tornava tardi, andava diretto in camera. Valentina non sapeva come aggiustare quel rapporto spezzato.

Le sembrava ieri di cullarlo tra le braccia, cantargli ninne nanne, curargli i ginocchi sbucciati. E ora aveva una vita propria. Non era facile accettarlo.
«Marco, parliamone», tentò una sera.
«Parleremo quando sarai pronta ad ascoltarmi davvero».

«Se lo ami davvero, perderai tuo figlio, Valentina», le disse Carmela, la più anziana tra le colleghe, durante la pausa pranzo. Valentina non aveva resistito a condividere la sua angoscia. Voleva conforto, un consiglio, solo sfogarsi.

«So di avere torto, ma non riuscivo a fermarmi, gli ho detto di tutto…» raccontò, quasi in lacrime.
«E tu volevi che restasse attaccato a te per sempre? Di cosa parlereste? Ha bisogno del tuo sostegno, della tua comprensione, e tu glieli neghi. La suocera ti ha accettata subito, te?»
«No. Ma io ero più giovane di mio marito e senza figli», singhiozzò Valentina.
«Eppure trovava sempre dei difetti in te. Le madri sono così, gelose dei figli, mai soddisfatte della loro scelta. Alcune si rassegnano e costruiscono un rapporto con la nuora, altre le dichiarano guerra. Non finirà bene. Passerà la notte scura, ma il sole tornerà. Tu hai sposato un uomo senza figli, eppure l’hai cresciuto da sola».
«Anche Marco me l’ha detto».
«Allora rassegnati. Non si è ancora sposato. Torna a dormire a casa. Anch’egli soffre. Aspetta che tu mostri saggezza e amore materno. Vai a conoscere questa Sofia, guarda chi è. E smetti di piangere. Non parte per la guerra, ma solo per sposarsi. Al cuore non si comanda».

Valentina si calmò lentamente. Erano tre settimane che vivevano come estranei. Non poteva continuare così. Decise di andare da Sofia, di parlarle, di chiederle di lasciare libero Marco. Si armò di coraggio. L’indirizzo loValentina bussò alla porta con il cuore in gola, ma quando Sofia le sorrise e il piccolo Matteo le afferrò la mano chiamandola “nonna”, capì che l’amore di suo figlio era più grande di ogni suo pregiudizio.

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