Una risposta che lo lasciò senza parole

— Basta servire, — la voce di Dario suonava monotona. Non alzò nemmeno gli occhi dal telefono. — Il tuo compito è creare un ambiente accogliente. Io mantengo la famiglia, tu gestisci la casa. È giusto così.

Rimasi immobile, il piatto ancora tra le mani. In ventitré anni di matrimonio avevo visto di tutto, ma quella frase…

Gabriella, la mia migliore amica, seduta di fronte a me, sogghignò nel suo bicchiere di vino:
— E cosa avrebbe detto di male? Molte sognerebbero di essere al tuo posto, Livia.

Lo sguardo mi scivolò verso mio figlio. Alessandro teneva la testa bassa. Il suo telefono vibrava.
— Dario, — posai il piatto sul tavolo. — Non hai mai pensato che potrei essere qualcosa di più di una domestica?

— Eccoci, — alzò gli occhi al cielo. — Ne abbiamo già parlato quando hai lasciato il lavoro.

— O quando mi hai convinta che sarebbe stato meglio per tutti?

Qualcosa nel mio tono lo costrinse a staccarsi dallo schermo. I nostri sguardi si incrociarono, e per un attimo vidi una sfumatura di paura nei suoi occhi. Credeva davvero che non avessi notato i loro sguardi furtivi, i tocchi casuali?

Alessandro si alzò di scatto:
— Posso andare? Ho un compito di programmazione.

— Certo, vai, — risposi, senza distogliere gli occhi da mio marito.

Lo sbattere della porta d’ingresso echeggiò nell’appartamento. Gabriella era già sparita. Dario raccoglieva i piatti in silenzio.

— Lascia stare le stoviglie. Siediti.

— A cosa serve questa conversazione? — rimase immobile accanto al lavandino.

— A dirti che non sono una lavapiatti. Ti ricordi cosa facevo prima che mi convincessi che «i bambini hanno bisogno della madre a casa»?

— Ecco, ricominci.

— No. Sei tu che hai deciso. Come sempre.

Il telefono di Dario emise un suono. Un messaggio.

— Non rispondi? Da Gabriella?

— Smettila. Stai esagerando.

— Io esagero? Parliamo allora di cosa sia esagerato. Raccontami del progetto con la mia migliore amica.

Lo schiaffo tagliò l’aria. Ma non fu Dario a colpirmi. Fui io a schiaffeggiare lui.

— Mamma? — la voce di Alessandro dal corridoio ci fece sussultare. — Vado da Luca, posso?

— Certo, amore.

Alle tre di notte, mi svegliai per il rumore della porta di casa. Alessandro?

— Dove sei stato? — mi bloccai sulla soglia della cucina.

Mio figlio trasalì, infilando qualcosa in fretta in tasca.

— Ale, cosa sta succedendo?

— Io… ho lasciato l’università. Due mesi fa. Non voglio fare il programmatore! È il sogno di papà, non il mio.

— E i soldi? A chi devi?

— Ho preso un prestito. Trentamila euro. Per un corso di fotografia. Ora mi minacciano di dirlo a mio padre.

— Domani risolveremo la questione, — dissi.

Non feci in tempo a finire. La chiave girò nella serratura. Dario.

— Non dormi? — la sua voce era roca. Puzzava di whisky.

— Papà, posso spiegare, — Alessandro si mise tra noi.

— Cosa? Che mio figlio è un bugiardo? Gabriella mi ha detto tutto. Dell’università.

Mi irrigidii:
— Gabriella?

— Sì, immagina. Finalmente qualcuno in questa casa che mi dice la verità.

— Basta, — dissi guardando Dario.

— Cosa «basta»? È così che l’hai cresciuto? — si voltò verso di me. — A proposito di bugie, come sta Gabriella? Non si è stancata delle vostre riunioni di lavoro?

— Stai zitto, — sibilò Dario.

— Altrimenti? Mi picchi? Davanti a nostro figlio?

Alessandro si avvicinò alla porta:
— Me ne vado. Siete fatti l’uno per l’altro.

La porta si chiuse con un colpo secco.

— ContentAllora la finestra si spalancò con un vento freddo, e capii che era finalmente arrivato il momento di ricominciare da zero.

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