Una Scelta Difficile: La Dilemma delle Decisioni Importanti

Scelta difficile

Io, Andrea, stavo di nuovo a fare gli straordinari. Lina, la mia compagna, era seduta al tavolo a fissare la cena ormai fredda. Il profumo del pollo al forno e delle erbe si mescolava allaroma della candela accesa da due ore la cera colava a gocce irregolari, come lacrime. La televisione borbottava qualcosa sul meteo, ma lei non ascoltava. Invece, faceva orecchie attente al cigolio dellascensore nel palazzo, al passo sul pianerottolo era forse il mio?

La porta non si apriva.

Poteva chiamare. Dire: «Dove sei?» o «Mi preoccupo». Ma perché? Io risponderei sempre allo stesso modo: un secco «Presto» o un irritato «Non disturbarmi». E poi arriverei, incollerò il telefono, e tra noi si poserà quel silenzio pesante come se fossero due persone singole, non una coppia.

Conviviamo da cinque anni.

Ieri la mia amica Fiorella mi aveva mandato una foto della cresima del figlio. Sullo sfondo: volti felici, un abito elegante, il marito di Fiorella che teneva il bambino in braccio. Oggi invece, nella sua bacheca, è comparsa unaltra foto di matrimonio dei nostri amici comuni.

Quando vi sposate? chiedevano.

Non cè fretta, sbuffava Andrea.

Ma Lina era stanca di quel «non cè fretta».

Vuoi davvero sposarti con me? ha chiesto, stringendo la forchetta come fosse la prima volta che la vedeva.

Io ero appena rientrato, ho tolto la giacca e mi sono diretto al frigo per una birra. La domanda mi ha colto alla sprovvista la mano si è fermata a metà.

Certo, lo voglio, ho risposto, ma la voce era rauca, come se le parole fossero rimaste bloccate in gola. Non è il momento migliore per parlarne.

E quando sarà migliore? ha replicato, impugnando la forchetta come se fosse una spada. Quando comprerai un appartamento? Quando otterrai una promozione? O quando avremo entrambi quarantanni?

Mi sono voltato, cercando rifugio nella bottiglia.

Non agitarti, ok? Sono stanco.

Anchio, ha sussurrato lei.

Io ero già in doccia, lasciando dietro di me un silenzio spesso come nebbia, in cui ci siamo persi tutti questi anni.

Sono cresciuto osservando una famiglia che si frantuma.

Ricordo mio padre comera prima: buffo, forte, mi lanciava in aria quando avevo cinque anni fino al soffitto. E comè diventato dopo: sguardo vuoto, odore di alcol permanente, piatti lanciati contro la madre.

Meglio non avere un padre così, ho detto a un amico una volta.

In quel momento ho promesso a me stesso: se avessi messo su una famiglia, non sarebbe stata una di quelle. Solo quando sarei stato certo di non ripetere quellerrore.

Ma la certezza non è mai venuta.

Lina è lopposto della mia madre calma, paziente, mai incline a capricci. Eppure

Ogni volta che lei accennava con cautela al matrimonio, mi prendevo a pensare:

«E se mi sbaglio? E se dentro di me dorme il mostro?»

Vedevo le mie mani stringersi a pugni dopo una giornata dura proprio come quelle di mio padre. Sentivo lirritazione salire quando Lina chiedeva qualcosa. Eppure non lavevo mai alzata né alzato la voce; la paura abitava da qualche parte in fondo a me:

«E se fosse solo linizio?»

Una sera, dopo una discussione particolarmente tesa, Lina ha chiesto direttamente:

Hai paura di diventare come tuo padre?

Non lo sarò, ho risposto bruscamente.

Allora qual è il problema?

Che non so se potrò essere allaltezza di quel vuoto.

Lei è rimasta in silenzio, poi ha preso la mia mano:

Nessuno ti chiede di essere perfetto. Voglio solo che ci provi.

Io sapevo, però, che per me provare significava rischiare di distruggere unaltra vita. Quella paura era più forte persino dellamore.

Devo prima mettermi in piedi, ho detto uscendo dalla doccia, avvolto in un asciugamano, gli occhi pieni di stanchezza dopo dodici ore di lavoro. Voglio che tutto sia perfetto per noi.

Lina era ancora al tavolo, ad aspettarmi. Nei suoi occhi cera una mescolanza di comprensione e stanco disincanto ne stavamo discutendo da centinaia di volte.

E cosa per te è perfetto? ha chiesto, senza accusa, solo con sincero interesse.

Mi sono fermato. Avevo usato spesso quella parola, ma non ne avevo mai esplorato il significato. Nella mente correvano immagini: un ampio trilocale in centro (anche se già affittavamo una accogliente duerooms vicino alla metro), una macchina sportiva di fascia alta (anche se la mia usata Fiat 500 era affidabile da cinque anni), una posizione da direttore (anche se guadagnavo già il triplo della media milanese).

Non ho risposto. Perché ho capito allimprovviso che il mio perfetto era come un cartellone pubblicitario: lucido fuori, vuoto dentro. Aspettavo un momento magico in cui le stelle si allineassero, le finanze raddoppiasero e io mi trasformassi in quel marito ideale, padre ideale, capofamiglia ideale.

Lina osservava i miei cambiamenti di espressione. Conosceva quel mio tratto la capacità di intrappolarsi in aspettative irrealistiche.

Sai, ha iniziato alla fine, scegliendo le parole con cura, il momento perfetto non arriverà mai. Possiamo essere felici qui, ora, così come siamo.

Ho guardato il nostro appartamento le mensole piene di libri che avevamo collezionato insieme, le foto dei viaggi, il gatto che sonnecchiava sul divano. Per la prima volta ho pensato: forse perfetto non riguarda le condizioni, ma noi due. Ma la paura di fare il salto verso lignoto mi ha tenuto in silenzio.

Ho preso il telecomando, spento la TV e ho afferrato il cellulare, facendo capire che la discussione era finita.

Io amavo Lina.

Amavo il suo sorriso quando rideva alle mie battute storte a colazione. Amavo il modo in cui brontolava nel sonno quando, con delicatezza, le strappavo la coperta a destra. Amavo anche il suo vizio di lasciare tazze di tè semibevuto ovunque ogni piccola traccia mi faceva sorridere.

Ma amavo soprattutto il silenzio.

Quel silenzio che scendeva quando Lina partiva da casa per un weekend dai genitori. Amavo le mie abitudini spargere i calzini per terra, non accendere la luce, restare sveglio a giocare fino alle tre del mattino, scattare allimprovviso a una battuta di pesca con gli amici senza lunghe spiegazioni.

Perché dovremmo mettere il timbro sul passaporto? chiedevo in quei momenti, stringendola alle spalle mentre lavava i piatti. Siamo già insieme. Non è abbastanza?

Lina voleva qualcosa di più.

Non cercava anelli di diamanti, né una sontuosa cena in ristorante. Desiderava qualcosa di quasi intangibile ma fondamentale la sensazione di scelta. Che ogni mattina si svegliasse decidendo consapevolmente di stare con me, non per inerzia, non perché «è così», ma perché lo voleva davvero.

Il timbro non è una promessa, mi diceva guardandomi dritto negli occhi. È la conferma che, tra tutte le vite possibili, scegli quella con me. Con noi.

Io distoglievo lo sguardo. Sapevo di aver già scelto lavevo fatto da tempo. Ma la parola per sempre mi spaventava ancora, come se firmare al comune seppellisse luomo spensierato che poteva scappare in un attimo verso qualsiasi meta.

E se divorziassimo? è esploso improvvisamente, come se lavessi tenuto dentro per ore. Mi trovavo alla finestra, di spalle a Lina, a guardare la città al tramonto, ma nella mente vedevo altre scene fatture di avvocati, divisioni di beni, stanze vuote.

Cosa? Lina è rimasta immobile.

Beh è costoso. Mutuo, alimenti ho parlato metodicamente, come se calcolassi un business plan, non la fine di una storia. Sai comè il collega mio, ha dovuto cedere metà appartamento e ancora paga per il figlio

Lina si è alzata silenziosa e ha riso amaramente, quasi senza suono. Quella risata somigliava più a un sospiro, allultimo soffio daria di una nave che affonda.

Hai già pensato al divorzio, ma temi il matrimonio, ha detto, senza rabbia, solo con una stanca comprensione. Sai qual è la cosa più divertente? Hai più paura del divorzio che di perderci adesso. Perché il divorzio è numeri, documenti, perdite concrete. Perdere lamore è per te qualcosa di astratto, vero?

Mi sono girato. Nei miei occhi cera confusione non mi aspettavo una risposta così chiara. Mi sarei preparato a litigare, a piangere, a rimanere offeso in silenzio. Non a questa affermazione tagliente.

Io ho iniziato, ma le parole sono rimaste impigliate in gola. Cosa avrei potuto dire? Che cercavo di proteggere entrambi? Che volevo prevedere ogni scenario? Sarebbe sembrato una scusa, e lo sapevamo entrambi.

Lina si è avvicinata lentamente, fermandosi a un braccio di distanza. Il suo volto era calmo, ma gli occhi tradivano una nuova determinazione.

Se già pensi a come divideremo le cose, ha sussurrato, significa che già ci stiamo separando. Solo che non labbiamo ancora messo per iscritto.

Si è voltata e ha lasciato la stanza, lasciandomi solo con i miei calcoli, i miei timori e una consapevolezza improvvisa: tutti i miei piani per il futuro stavano già distruggendo il presente.

Finale

Ci siamo separati in uno di quei giorni feriali insignificanti, quando la vita di solito non cambia. Senza litigi, senza piatti rotti Lina è tornata dal lavoro unora prima e ha iniziato a mettere via le sue cose. Io lho trovata al ritorno, mentre aprivo la porta.

Stai te ne vai? ho chiesto, fermo sullo stipite.

Lina ha piegato con cura nei bagagli i maglioni che amavo su di sé. I suoi movimenti erano precisi, calcolati non era una decisione improvvisa.

Sì, ha risposto, senza alzare lo sguardo. Ho preso un appartamento in centro.

Ho sentito la terra vacillare sotto i piedi. Avevo immaginato quel momento centinaia di volte, ma ora ho capito che non ero pronto. Per niente.

Possiamo ho iniziato, ma Lina mi ha interrotto:

No, Andrea. Non possiamo. Ti ho dato un mese dopo quella discussione. Non ci hai nemmeno provato.

Ha chiuso la valigia con un colpo secco. Quel suono, per qualche ragione, ha risuonato più forte della porta che sbatteva.

Lina se nè andata non perché non mi amasse più. Lamore è una cosa strana, non svanisce in un attimo. È partita perché ha capito, alla fine, che la sua paura di impegnarsi era più forte del nostro amore. Non temeva il matrimonio in sé temeva il dover fare una scelta consapevole. Temeva di dire «sì» non solo a lei, ma alla vita che sarebbe nata da quella decisione.

Non aspettavo promesse per tutta la vita, ha detto alla porta. Volevo solo una cosa: che tu scegliessi noi, qui e ora. Ma non lhai mai fatto.

Sono rimasto solo nellappartamento, improvvisamente troppo grande. Con una libertà che ora mi sembra assordante. Con il cellulare in mano, il numero di Lina già digitato e cancellato cinque volte di fila.

Sono libero. Completamente libero. Posso fare qualsiasi cosa andare via con gli amici per un weekend, restare fino a tardi al lavoro, spargere calzini dove mi pare. Ma, per qualche motivo, quella notte mi sono ritrovato sul divano a guardare il soffitto, ricordando Lina che brontolava nel sonno quando le rubavo la coperta.

E non ho mai capito cosa fosse più spaventoso perderla o perdermi. Perché ora che non cè più, ho realizzato, con orrore, che forse il vero me è quello che rideva con lei delle mie battute a colazione. E quellAndrea libero, di cui mi aggrappavo, non era altro che un ragazzino che si nascondeva dietro scuse.

Al mattino, in cucina, ho trovato la sua tazza preferita con il tè a metà. Lho pulita meccanicamente e lho rimessa nellarmadio e solo allora ho capito che non ci sarebbe più stato nessuno a lasciare tazze vuote sparpagliate in tutta la casa.

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