Una sera piovosa di ottobre…

**28 Ottobre**

Una sera piovosa d’ottobre…

La messa serale era finita. In chiesa c’era poca gente. Verso sera aveva iniziato a piovere, con fiocchi di neve bagnata che si mescolavano alla pioggia. La maggior parte dei parrocchiani aveva preferito rimanere a casa per il maltempo.

La chiesa si svuotò poco a poco, le porte si aprivano di continuo per lasciar uscire i fedeli. Le correnti d’aria facevano oscillare le fiammelle dei ceri, lasciando sottili volute di fumo. Alla fine, i passi smisero di riecheggiare sul pavimento di marmo. Solo Bianca era rimasta.

Uscì dal banco della sagrestia e percorse la navata vuota, spegnendo i ceri e ripulendo con un pennello i resti di cera dai candelabri. Poi spense le lampade votive davanti alle icone. Dalle strette finestre con vetri ondulati penetrava appena la luce dei lampioni. Nell’edificio rimase accesa solo una lampada sopra il banco delle candele, il cui bagliore si rifletteva sulle cornici dorate delle icone più vicine.

Dalla cappella laterale uscì don Michele, con un giubbotto nero sopra la tonaca.

«Il custode è già arrivato?» chiese, avvicinandosi a Bianca.

«Non ancora. Devi dirgli qualcosa?»

«No. A domani.» Fece un cenno di saluto e si avviò verso l’uscita.

Bianca prese un secchio d’acqua e una scopa, iniziando a lavare il pavimento. Amava trovare la chiesa pulita al mattino. Improvvisamente, una corrente d’aria fece sbattere la pesante porta. Si voltò. Il custode si segnò, le annuì e proseguì verso il suo piccolo ripostiglio. Bianca non l’aveva mai sentito parlare, anche se don Michele insisteva che non fosse muto.

Riposto il secchio, Bianca indossò il cappotto e controllò un’ultima volta le lampade, soffermandosi su ogni icona e mormorando: «San Nicola, prega Dio per noi…», «Santissima Madre di Dio, aiutaci…», «Gesù Cristo, Figlio di Dio…»

«Me ne vado!» gridò al custode, la voce risuonando sotto le volte.

Spense la luce e spinse la porta. Sulla soglia si fermò ad ascoltare. Non sentì passi, ma il chiavistello scattò: il custode aveva chiuso dall’interno. Poi udì un lieve pianto.

Abbassò lo sguardo, aspettandosi di vedere un cucciolo nascosto sotto il portico per ripararsi dalla pioggia, ma invece scorse un fagottino bianco nella penombra, da cui proveniva quel suono sottile.

«Una bambina! Chi può averla lasciata qui?» Si chinò, sollevò il fagottino leggero come una piuma e scostò un lembo della coperta. Vide un visino rugoso.

«Signore, che cuore deve avere una madre per abbandonare una creatura con questo tempo!»

Cosa fare? Bussare alla chiesa? Chiamare i carabinieri e l’ambulanza? Sarebbe stato la cosa giusta, ma spinta da un impulso, decise di portare la bambina a casa sua e chiamare don Michele per chiedere consiglio.

Non fece in tempo a scendere i gradini che una donna le si avventò addosso dall’oscurità.

«Ridammela!» gridò, strappandole il fagottino.

Dalla voce, si capiva che era giovanissima.

«È tua figlia? È un peccato abbandonare un bambino. Poteva ammalarsi!» disse severa Bianca.

«Non l’ho abbandonata, l’ho lasciata solo un momento!» rispose la ragazza, soffocando i singhiozzi.

«Perché non l’hai portata in chiesa?» domandò Bianca, più dolcemente.

La ragazza non rispose e si allontanò.

«Hai un posto dove andare?» le gridò dietro Bianca.

La giovane rallentò, voltandosi appena.

«Vedo che non ne hai» mormorò Bianca. «Aspetta!» Si affrettò verso di lei. «Vieni a casa mia. Abito qui vicino. La piccola piangerà, sarà bagnata o affamata. E tu sei fradicia.» Senti la tensione nella donna. «Non aver paura.»

La ragazza accettò. Per strada, Bianca parlò senza sosta: le raccontò di suo marito morto, di come il Signore non le avesse dato figli. «Domani comprerò pannolini e vestiti. La mia vicina ha una bambina…»

«Ecco, siamo arrivate.» Aprì il portone e lasciò entrare per prima la giovane con la bambina. «Abito al sesto piano…» In ascensore notò che i vestiti della madre erano zuppi, le labbra violacee per il freddo.

A casa, Bianca le prese la bambina. «Svestiti, mettiti le mie pantofole.»

In stanza, la giovane aveva già slegato il fagottino. La piccola agitava le manine rugose, aprendo la bocca. Bianca sentì un’ondata di tenerezza.

«Ha fame. Coprila, vado a prendere i pannolini dalla vicina.»

«Lucia, prestami un paio di pannolini e qualche vestitino» disse alla porta.

«Hai ospiti?»

«Una parente lontana. Le hanno rubato la valigia in stazione.»

Lucia le diede un sacchetto pieno. «Prendi, tanto non ci servono più.»

Tornata, Bianca vide che la ragazza allattava.

«Hai il latte? Meno male, il latte in polvere costa tanto. Intanto faccio un tè caldo.» Pensò che non era un caso se il Signore aveva mandato quella donna da lei.

La bimba, sazia, si addormentò. La rivestirono e la adagiarono sul divano.

«Vieni, ti preparo una minestra. Devi pensare a tua figlia ora.»

«Mi chiamo Livia.»

«Io sono Bianca. E la piccola?»

«Maria.»

«Che bel nome» sospirò Bianca. «Mangia, poi mi racconterai. Non ti giudicherò.»

Dopo aver mangiato, Livia parlò: «Non volevo abbandonarla… Vivevo in un dormitorio, ma dopo il parto mi hanno cacciata. Stavo per buttarmi dal ponte, ma davanti alla chiesa mi sono fermata.»

«I tuoi genitori?»

«Divorziati. Mia madre si è risposata. Sono all’università… Lui mi ha lasciata.»

«Il padre lo sa?»

«Sapeva della gravidanza. Voleva che abortissi. Diede pure i soldi… Ho paura, non so come fare.»

«Restate qui. Il Signore vi ha mandate a me.»

Passarono i giorni. Maria cresceva. Livia aiutava in casa, a volte veniva in chiesa. L’anno dopo, Maria camminava e chiamava Bianca “nonna”. Livia riprese gli studi.

**Quindici anni dopo**

«Mamma, guarda, il vestito è largo in vita» disse Maria, provando l’abito per la maturità.

«Stai benissimo. Peccato che nonna non ci sia più.»

Bianca era morta un anno prima, durante la messa. Livia la pianse come una madre. Ora, nei fine settimana, vendeva candele al posto suo.

Maria si iscrisse a medicina. Un giorno, tornò pensierosa.

«Ti sei innamorata?»

«Dici anche tu… È troppo vecchio per me.»

«Un professore?»

«Ivano Rossi. Mi guarda in un modo strano…»

Livia impallidì. Afferrò il cuore.

«Mamma!»

«Niente… passerà.»

Il giorno dopo, Livia andòLivia si nascose nel corridoio dell’università, aspettando di vedere con i suoi occhi se quello era davvero l’uomo che anni prima l’aveva abbandonata, il padre di sua figlia.

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