La stanza d’ospedale era piccola, ma pulita, con una finestra luminosa e una finestra leggermente aperta. L’aria fresca del mattino penetrava nel piccolo spazio, riempiendo la stanza del profumo della primavera imminente. Rita era sdraiata sul letto e pensava: «Riuscirò a vedere la primavera?…»
La porta della stanza si aprì cigolando leggermente, e sulla soglia apparvero l’ex suocera Elisabetta e la cognata Nadia. Certo, la loro visita era prevedibile, ma comunque dolorosamente sgradevole. Soprattutto quella della suocera.
Rita le guardò con uno sguardo indifferente, vuoto e distaccato, e pensò: «Chissà se si interesseranno alla mia salute o cominceranno subito a parlare dell’appartamento?».
Ma questi pensieri non le provocavano né dolore né sofferenza. Nell’anima tutto si era da tempo placato e i rancori, verso la suocera in particolare, si erano attenuati, superati dalla calamità che incombeva su di lei. Non era chiaro quale sarebbe stato l’esito dell’intervento previsto. Il suo cuore avrebbe retto?
I medici non si pronunciavano e non facevano promesse vane. Oggi si sarebbe riunito un consulto e avrebbero deciso. Nel frattempo, aveva solo da aspettare i risultati degli esami e la decisione dei luminari della medicina.
Elisabetta e Nadia sedevano accanto al letto della malata con volti tristi e cupi, un’espressione che doveva sostituire il sentimento di compassione. Insomma, erano venute a farle visita, non erano poi degli estranei… Ma restarono in silenzio, evidentemente non sapendo come iniziare quella discussione strappalacrime.
Da Nadia proveniva un profumo economico, mentre l’ex suocera, come al solito, emanava un odore di spezie. Probabilmente aveva cucinato qualcosa quella mattina.
– Vedi, – disse finalmente. – Ti ho portato una tortina fresca e fatto una composta di albicocche secche. È buona per il cuore…
Sempre io, mai noi. Nella sua abitudine. Sicuramente Nadia le aveva suggerito di portare queste prelibatezze. Rita rimase in silenzio.
«Va bene, parliamo». pensò, invitandole con lo sguardo a cominciare il discorso.
– Rita, – iniziò infine la suocera. – Non puoi negare che, nonostante il tuo divorzio con Eugenio, ti abbiamo sempre trattato bene e, naturalmente, anche il nostro caro nipote Giacomo…
«Ah, come parla bene… E dov’eri, amorevole nonna, quando portavo nostro figlio da psicologi dopo che tuo figlio lo aveva abbandonato per un’altra famiglia?!»
– …ci dispiace tanto per Giacomino, – proseguiva con parole ben apprese, – il nostro angioletto. Vero, Nadia? Perché stai zitta? – la suocera si asciugò teatralmente le lacrime con un fazzoletto ricamato.
Rita non poté trattenere un sorriso ironico, mentre le parole della suocera restavano sospese in aria, senza risposta o conferma. La cognata sedeva con le spalle basse, guardando altrove. Improvvisamente, lanciò uno sguardo di compassione e chiese:
– Come stai, Rita? Cosa dicono i medici?
La donna osservava in silenzio le loro figure tristi e non trovò altro da dire se non un asciutto: nulla di nuovo. Questo rispondeva sia al suo stato di salute che alle informazioni dei medici.
– Sono così preoccupata per Giacomino. Con chi è? Ho proposto a Nadia di prendere un permesso e stare con lui, cosa ne pensi? – continuò la suocera con una voce preoccupata.
Rita si voltò verso la finestra. Si trovava in ospedale da alcuni giorni dopo un attacco, e il figlio era stato accolto da una vicina, una pensionata sola, che lo portava all’asilo, lo riprendeva, lo nutriva e lo curava. Che Dio la benedica! E lui, probabilmente, restava alla finestra la sera, aspettando il ritorno della mamma dal lavoro…
E che ne sarà di lui, se accadesse il peggio? Quei due si erano precipitati, come avvoltoi in cerca di preda. Rita provava disgusto, soprattutto verso la suocera. Era chiaro che la silenziosa e docile Nadia era stata portata lì per conferire maggiore credibilità: tutta la famiglia riunita in un momento difficile.
– Abbiamo pensato che…, – riprese Elisabetta senza staccare il fazzoletto dagli occhi, – il tuo appartamento…
Ma Nadia le afferrò energicamente la manica e la spinse leggermente con la spalla:
– Rita, perdonaci, va bene? Per non essere venute prima e non averci occupate di Giacomo. Egoismo e indifferenza. Sono sempre stata sotto il tallone, prima di mamma, poi di mio marito, e ora di nuovo. Ma mi preoccupo per voi e voglio aiutare…
Il volto di Elisabetta si contorse a quelle parole. Era chiaro che non le si aspettava dalla sua figlia sempre obbediente e silenziosa. Elisabetta si alzò in tutto il suo imponente fisico e dichiarò:
– Andiamo, Nadia, prima che tu dica altro di assurdo.
Nadia continuava a sedere, tenendo la mano di Rita.
– Deve riposare e riflettere. – insisté Elisabetta. – Siamo disposte a prendere in custodia Giacomo, se…
– Mamma! – alzò leggermente la voce Nadia. – Basta, ti prego. Esci. Vai dal tuo amato figlio, non dovresti avere fretta di raggiungerlo?
Rita non credeva ai suoi orecchi nel vedere la sempre obbediente Nadia parlare così con la madre! O era tutta una recita ben architettata per ottenere il suo appartamento in un angolo verde e pittoresco della città? Sì, avrebbero potuto farci pretese solo se avessero preso in custodia il nipote e il suo bambino.
L’ex marito non aveva voluto vendere il loro appartamento; con la sua nuova moglie e la figlia acquisita viveva in una casa spaziosa, senza preoccupazioni. Non aveva mai visitato il figlio. Il bambino sentiva la mancanza del padre, piangeva – anche dopo le sessioni con lo psicologo. Rita, preoccupata, una volta gli telefonò:
– Ti va di prendere Giacomo nel weekend? Passeggiate insieme, parlate, – gli chiese, al che lui rispose freddamente:
– Hai qualche impegno importante? Vai con tuo figlio e non tormentare un uomo, fallo sapere subito che hai già “un bagaglio”.
Rita interruppe la chiamata e scoppiò in un pianto disperato. Giacomo cercò di consolarla, accarezzandole la testa e promettendo di comportarsi bene, spezzandole ancor di più il cuore.
Subito dopo chiamò la suocera, che autoritariamente le disse che era ora che Rita si rassegnasse e smettesse di importunare il figlio con telefonate e stratagemmi. Non avrebbe ottenuto nulla con questo. Tutti questi ricordi le turbinavano in testa e poi sentì:
– Andiamo, Nadia! Falle riposare e riflettere…
Rita non resistette e rispose:
– Riflessioni su cosa? A chi lasciare l’appartamento? Non otterrete niente, andatevene! E per Giacomino ci sarà chi se ne prenderà cura, eventualmente…
Elisabetta rimase leggermente sbalordita, ma poi sollevò pedagogicamente un dito e sibilò:
– Come sei stata ingrata, così sei rimasta! Non pentirtene, vedrai.
Indicò l’uscita alla figlia e se ne andò, sbattendo la porta con forza.
Ma Nadia non si mosse, restava seduta con le spalle abbassate accanto a Rita. Rita si voltò dall’altra parte, e poi Nadia iniziò nuovamente a parlare:
– Sai, non sono tua nemica, Rita. E ho una proposta seria per te. Dopo l’incidente in cui è morto mio marito, mi è rimasto un appartamento dove vivo. E anche una casa di campagna. La affittava sempre e diceva: non appena nascerà il bambino, ci trasferiremo lì. Mamma non lo sa, il bambino non è mai nato, e il marito non c’è più.
– E quindi? – chiese Rita. – Cosa c’entra con me?
– La casa è grande, con tutti i comfort, Rita. Quando uscirai dall’ospedale dopo l’operazione, perché non ci trasferiamo lì? E affittiamo i nostri appartamenti. Ti aiuterò con Giacomo, sarà difficile per te da sola, capisci? Voglio davvero aiutare, e la mamma non saprà nemmeno dove siamo.
Rita osservava stupita la sua ex cognata.
– Non pensare male, non ti chiedo la custodia ufficiale, solo una questione di umanità. Pensa bene, d’accordo? Io non posso più stare con lei, odia tutti, tranne suo figlio. E la sua nuova moglie più di tutti, la tratta peggio di te…
Poi nella stanza entrò il medico, con un’espressione soddisfatta, e disse:
– Allora, signora Margherita! Le cose non sono così brutte. Il consulto è terminato, domani il professor Semerano la visiterà e decideremo come procedere con la cura. Allo stadio attuale l’operazione non è necessaria. Il cuore sta resistendo bene e con il trattamento giusto vivrà ancora a lungo. Non si preoccupi e non si agiti. I nervi vanno preservati!
Il medico fece l’occhiolino alle donne e uscì dalla stanza.
Si abbracciarono come due sorelle, e Rita scoppiò a piangere forte, singhiozzando, come una bambina. Sembrava che una pesante lastra, che premeva sul suo cuore, si fosse improvvisamente sollevata, liberandole il respiro, l’anima dalla paura e il cuore dal dolore lacerante…
Nadia le accarezzava la schiena e sussurrava delicatamente:
«Ora andrà tutto bene, andrà tutto bene, vedrai…»
E sulla porta stava Elisabetta con il fazzoletto in mano, impaziente si spostava da un piede all’altro e pensava:
«Che ci faccio qui? Lì ci sono il figlio e il notaio ad aspettarmi per questioni di appartamento… Devo chiamare e annullare l’incontro».
Poco dopo Rita fu dimessa, e Nadia si occupava già di trovare degli inquilini, senza coinvolgere la madre nei suoi piani. Avrebbero affrontato la situazione, non erano estranee…