Tarda sera suonò il telefono. Corsi a rispondere e udii la voce della figlia.
– Mamma, sono io, Chiara. Ho un problema terribile! Mi ha lasciato il marito. Domani mattina tornerò da voi con papà e resterò in casa vostra.
– Ascolta, Chiara, non hai più genitori né casa tua.
– Che cosa? – mi interruppe, – Che hai detto?
Come può non esserci una casa? Sono la vostra unica figlia, ho diritto a quell’appartamento! – urlò isterica al telefono Chiara.
– Esatto – risposi con calma, – Non hai alcun diritto su quell’appartamento. Lo abbiamo regalato a Francesca, che ora ne è la padrona. Non vi vogliamo più vedere. Non siete più figli miei.
Non chiamarmi più qua. Hai perso tutto! – conclusi con freddezza la conversazione. Dopo il tradimento di Chiara, avevo pieno diritto a dirle quelle parole.
Stavo vicino alla finestra quando improvvisamente pensai che anche la nostra storia era iniziata con una telefonata.
Quella maledetta chiamata suonò all’alba. Saltai dal letto e corsi al telefono fisso.
– Pronto?
Una voce tremò all’altro capo.
– Pronto, chi parla?
– Sono io, Nunzia.
– Nunziolina, che ti succede? Guarda che ore sono!
– Lo so, ma oggi devo entrare in ospedale per un’operazione e ho paura per mia figlia. Vi prego, tu e Antonio, non abbandonate Laura. Non lasciatela in un istituto.
La mia sorella Anna era sempre stata eccentrica, con una mente immaginativa e gesti inconsueti. Ma quel giorno aveva varcato ogni limite.
Con il telefono in mano, mi morsi le labbra, sentendo un grasso aprirsi, e capii che qualcosa di grave stava accadendo. Mi spaventai.
– Nunzia, perché non me ne hai parlato prima? Che ti capita? Dove ti ricoverano?
Anna soffriva da anni ma non aveva mai dato peso alla sua salute. Negli ultimi mesi il dolore si era acuito, aveva perso peso e grinta. La diagnosi era tremenda.
Però non aveva mai avuto il coraggio di parlarne a me. Anch’io l’avevo sempre soccorsa, dato denaro, sostituito la madre. Ora voleva scaricarmi addosso i suoi problemi e la piccola Laura.
– L’esito dell’operazione non è certo, per favore, non abbandonate Laura.
In un’ora eravamo già all’ospedale. L’operazione non aveva ancora iniziato, ma non riuscimmo a trovare Anna. Nella saletta d’aspetto vide la piccola Laura, rannicchiata in un angolo. Corsi a stringerla in un abbraccio.
– La mamma farà male? – chiese con gli occhi colmi di lacrime.
– No, dormirà. Non sentirà nulla.
Quattro ore dopo, il dottore ci comunicò che la mia sorella minore era morta.
Prendemmo Laura e tornammo a casa. Quando entrai nella stanza della figlia, le dissi che la madre di Laura era morta e che la bambina avrebbe condiviso la stanza con lei. Chiara mi guardò con rabbia e non disse nulla.
Dieci giorni dopo, buttarono le cose di Laura dalla stanza e le vietò di tornarci.
La conversazione con la figlia fu dura, insistette su di lei e dichiarò che avrebbe sempre buttato via le cose di Laura se si fosse sistemata lì.
Per evitare conflitti, diedi alla figliastra la nostra stanza, trasferendoci noi in soggiorno.
Laura era una bambina apatica. Da Anna non riuscimmo mai a conoscere chi fosse il padre. Ora il suo destino dipendeva solo da noi. Per questo non facemmo mai distinzioni tra Chiara e Laura. Per noi erano entrambe figlie.
I mesi passarono. Chiara terminò l’università e sposò un uomo ricco e più anziano. Le sue caratteristiche male le infastidivano, ma non gliene importò. Un mese dopo si fidanzò.
– Mamma, ti chiedo solo una cosa: che questa tua preferita non venga al matrimonio. Non voglio vederla.
– Chiara, non puoi farlo, Laura è comunque tua sorella. Non accettare inviti senza di lei sarebbe un insulto nostro.
– Non ci sarà.
– Allora neppure noi andremo.
– Perfetto, hai detto bene.
Piansi, ma riuscii a risollevarmi e a decidere di andare in un residence in Sicilia.
– Ma e il matrimonio di Chiara? – chiese Antonio.
– Non lo farò. Non ci ha invitato.
– Laura, aiutami a trovare un residence.
– Andiamo in vacanza? – chiese Laura.
– Sì, tesoro, possiamo permettercelo.
– Yay! – esclamò felice, danzando per la stanza.
Rimasti in tre, Laura terminò le scuole e entrò all’università. Fu brillante e divenne studentessa di Architettura. L’arte era una conseguenza ereditata da Anna, una pittrice famosa in quel circolo.
– O forse dal padre – diceva Antonio, sospettando un uomo locale come padre di Laura.
Ma a me non importava. Laura era nostra figlia.
Dopo un anno, celebravamo il diciottesimo compleanno di Laura e in quella stessa sera a Antonio improvvisamente si aggravò la salute. Pallidissimo, perse conoscenza. Chiamammo l’ambulanza e lo trasportarono all’ospedale.
Il dottore ci spiegò che la situazione era grave. Antonio aveva bisogno di un farmaco raro, che sarebbe arrivato in tre giorni. C’era un problema: il costo era esorbitante.
Chiamai Chiara, sperando nella sua generosità.
– Chiara, tesoro. Padre ha bisogno di un farmaco. Vorrei chiederti un prestito.
Il silenzio prolungato di Chiara mi preoccupò. Appena stavo per ripetere, parlò.
– Va bene, mamma, parlerò con Vittorio e ti richiamo.
Dovetti aspettare un’ora. Chiara mi richiamò.
– Mamma, capisci, Vittorio voleva comprare una macchina costosa che mi aveva promesso. Scegli: o compra la macchina o ci aiuta con i soldi.
– Chiara, ti promettiamo di restituirli.
– Ma quando? A goccia a goccia. Non posso comprare la macchina.
– Ti senti? Tuo padre sta morendo. Non puoi aiutarci.
– Non posso fare nulla. Prendete un prestito, dài. Non è mai stato un problema.
Cadde il telefono per le mie mani. Non potevo credere alle sue parole.
– Zia Maria, che ti succede?
Laura si avvicinò per sostenere me, che stavo per svenire. Piangevo disperata.
– Ascoltami, zia, vendiamo il tuo appartamento. Non posso viverci. Cediamo il denaro per il farmaco. Lo vendiamo a un prezzo inferiore, e voi potete restituirce lo stesso costo per il farmaco.
– Figlia mia, non abbiamo il diritto di farlo. E tuo padre che direbbe se sapesse che ho approfittato della tua bontà.
– Non è il momento delle ipotesi, zia. Lo zio Antonio sta morendo.
Abbracciai Laura, grata per la sua generosità. Era l’unica speranza.
Vendemmo l’appartamento nello stesso giorno. Con il ricavato acquistammo il farmaco.
Due giorni dopo arrivò. Aiutò: Antonio guarì.
Un mese dopo fu in piedi. La nostra gioia non aveva limite.
Una volta guarito, decidemmo di donare l’appartamento a Laura. Andammo dal notaio, firmammo. Laura fu grata. I soldi rimasti li depositammo in banca.
Vivevamo felici, come un’unica famiglia, finché di nuovo squillò il telefono.
Era Chiara: Vittorio l’aveva abbandonata e l’aveva cacciata da casa.
Rifiutai.
– Ora abbiamo un’unica figlia, Laura.
Chiara tornò a richiamare, ma non risposi.
Qualche anno dopo, Laura sposò Matteo. Era un agricoltore con una grande tenuta vicino Firenze. I raccolti erano prosperosi, e voleva espandere con una serra.
Laura ci invitò a trasferirci, ma preferimmo visitarli solo il weekend.
La nostra stanza era sempre pronta, confortevole. Matteo e Antonio si apprezzarono, uscendo spesso a pesca. Antnonio gli dava mani per i lavori. Laura progettò la serra. Tutti noi eravamo una famiglia unita, anche se non insieme costantemente.
Ricordavo Chiara solo l’anniversario del suo matrimonio. In quel giorno andavamo in quel residence siciliano, lo stesso di anni prima, con i biglietti di Laura. A volte veniva lei con noi.
Ogni volta, lì capivo come avevo allevato una figlia egoista, che mise la sua bellezza su di noi. Mentre Laura, orfana senza madre, ci pregò di tutto perché sapeva il valore dell’amore.
Così capii: non sempre la discendenza biologica rappresenta l’amore. A volte l’altruismo e l’abnegazione parlano più chiaro del sangue.
Una telefonata inaspettata nel cuore della notte.
