Uno strano connubio: come genero e suocera divennero una squadra
Anna Maria Rossi sistemò con cura in una borsa a quadri patate bollite, sottaceti e qualche vasetto di marmellata, poi partì per andare a trovare la figlia e il genero. “Elena, sono sul treno. Che Vittorio mi venga a prendere in stazione, la borsa è pesantissima,” telefonò alla figlia. “Certo, mamma, ti aspettiamo,” rispose Elena. La mattina dopo, appena scesa dal treno, Anna sentì: “Mamma, siamo qui!” Si voltò… e rimase senza parole. Accanto alla figlia incinta c’era un uomo curato, elegante, e di certo non era quel camionista trasandato e scontroso con cui non era mai riuscita a trovarsi in sintonia.
Eppure, Vittorio non aveva mai avuto fretta di sposarsi. A trentasette anni era ancora scapolo e ripeteva agli amici durante le gite in montagna che non aveva ancora incontrato colei che gli avrebbe “acceso la scintilla”. Alcuni lo invidiavano: “Niente moglie, niente problemi.” Altri sospiravano: “Che bello, però, essere aspettati a casa.” Lui, intanto, rideva: “Almeno ho un vantaggio: niente suocera.”
Poi, un fulmine a ciel sereno. Alla pompa di benzina, la vide. Elena. La ragazza con gli occhi azzurri e il cartellino sul petto sembrava uscita da un suo sogno. Gli sorrise… e lui fu spacciato. La sera dopo si ripresentò con la stessa Jeep, nascondendo dietro la schiena un mazzo di fiori, mentre balbettava: “Ciao, Elena… Ti andrebbe di prendere un caffè?”
Da lì, tutto precipitò come un temporale. E poi… il matrimonio. Vittorio, per la prima volta dopo anni, correva a casa invece che in un albergo. Tornava dai viaggi come se avesse le ali. Si sentiva, per la prima volta, non solo un uomo, ma un marito. E poi… un futuro padre. Tutto andava a meraviglia… finché non arrivò il momento di conoscere la suocera.
Anna Maria non era certo una donna timida: raffinata, un po’ fredda, di impeccabili maniere. Al primo incontro accolse il genero con cortesia glaciale. E quando Vittorio, con bonarietà, la chiamò “mamma”, lei rispose seccamente: “E chi ti ha detto che io sia tua madre?”
Lui non si offese. Capì solo che avrebbe dovuto guadagnarsi la sua fiducia.
Passò un anno. Elena era all’ultimo trimestre di gravidanza. Vittorio tornò da un viaggio, e la moglie gli disse preoccupata: “Mamma viene a stare da noi qualche giorno…” “Oh! Credevo fosse una brutta notizia!” rise lui. “La mamma è la mamma. Solo che…” e si grattò la barba con fastidio.
“Solo che,” completò Elena, “tagliati i capelli e fatti la barba. A lei non piace che sembri un nonno.” “E a te?” “A me va bene, ma la mamma è la mamma…”
E Vittorio obbedì. Si tagliò i capelli, si rasò, si guardò allo specchio… e non si riconobbe. In stazione, Anna Maria quasi inciampò: davanti a lei non c’era un camionista trasandato, ma un uomo in forma, con un’aria giovane. Un sorriso caldo e stupido le illuminò il viso. E Vittorio si accorse di essere… contento di vederla. Qualcosa in lei era cambiato. E forse, anche in lui.
A cena, sparì in camera per guardare la partita. La teneva bassa per non disturbare. Ma all’improvviso, una voce alle spalle: “Vittorio, alza il volume! Anche a me piace il calcio! E anche la pallacanestro.”
Si girò. Anna Maria lo guardava con sincero interesse. E mentre tifavano per la stessa squadra, capì che quella non sarebbe stata una semplice visita.
Il giorno dopo, lui ed Elena si preparavano per una gita in montagna. Tendina, attrezzi da pesca, provviste. Anna Maria chiese: “Casualmente state andando a pescare? Ci vengo anch’io! Prendete la tenda di Vittorio, vi faccio una zuppa che non vi scorderete più!”
All’aria aperta, la suocera era nel suo elemento: falò, legna, perfino un tavolo ricavato da ceppi. Rideva, scherzava, sembrava ringiovanita di vent’anni. La zuppa era così buona che Vittorio ne chiese il bis. E il tris. Poi iniziarono a darsi del “tu”. E scherzarono sul fatto che, se da vecchia Elena fosse stata come sua madre, lui sarebbe stato un uomo felice.
Anna abbracciò la figlia e sussurrò: “Che bello averti…”
E in quel momento, Vittorio capì: nessun campionato del mondo avrebbe potuto eguagliare questa felicità semplice, autentica, tutta sua.