**Diario Personale**
Un’altra giornata complicata…
“Giulietta, su, vieni con me, per favore,” implorava Simona.
“Non ne ho voglia. Non conosco nessuno lì. Vai da sola o chiama Marta o Beatrice,” rispose Giulietta. “Tra poco ci sono gli esami, devo studiare.”
“Marta sta studiando, Beatrice senza il suo Luca non si muove, e da sola sembro disperata, come se corressi dietro a Valerio.”
“E non è così?” chiese Giulietta.
“Giulietta, ti prego…” Simona incrociò le mani in segno di supplica.
“Va bene. Ma se mi lasci sola lì, te la farò pagare,” avvertì Giulietta, alzandosi dal divano.
I genitori di uno degli studenti più anziani erano partiti per un anno in Africa per lavoro, lasciando libero l’appartamento. Il sabato si organizzavano feste, frequentate soprattutto da studenti degli anni successivi, ma anche da ragazzi di altre facoltà e persino da alcuni già laureati. Si vantavano della loro esperienza, guardando con sufficienza i più giovani.
Simona era finita lì per caso. Aveva frequentato per un po’ uno di loro, che l’aveva introdotta nel gruppo. Poi si erano lasciati, e lei si era messa in testa Valerio. Per questo aveva supplicato Giulietta di accompagnarla, sperando di incontrarlo di nuovo. Con la sessione estiva in corso, all’università era impossibile.
Giulietta indossò jeans e una camicia bianca oversized, infilata solo da un lato. Alta e magra, le stava benissimo. Si truccò gli occhi, lasciò sciolti i capelli e si rivolse a Simona, che aspettava impaziente.
“Allora? Stiamo aspettando qualcuno?” chiese Giulietta.
“Ah, quel trucco ti dona. Sembri una donna misteriosa, orientale.”
“Però, patto chiaro: se Valerio non c’è, ce ne andiamo,” impose Giulietta.
“D’accordo,” rispose subito Simona.
Ad aprire fu una ragazza con jeans, una camicia da uomo e una sigaretta tra i denti, i capelli ricci e arruffati. Soffiò il fumo, studiandole, poi le fece cenno di entrare senza parlare. Dentro, musica bassa e chiacchiere.
“Non toglierti le scarpe, qui non si fa,” sussurrò Simona mentre Giulietta stava per slacciarsi le ballerine. Si muoveva come se fosse di casa, anche se era evidentemente impacciata quanto l’amica.
In mezzo al soggiorno, un tavolo con avanzi di cibo e bottiglie semivuote di vodka e vino economico. Sul divano, un ragazzo con due ragazze, mentre altri due discutevano animatamente. Una coppia ballava davanti alla finestra, se così si poteva chiamare quel dimenarsi in uno spazio minuscolo. Nessuno prestò attenzione alle due.
Quando suonò il campanello, entrò la stessa ragazza della porta con due ragazzi dietro. Tutti li accolsero con entusiasmo, salutandosi con strette di mano.
“Eccolo!” esclamò Simona, avvicinandosi a uno dei due. Lui rispose a monosillabi, annoiato. L’altro, invece, osservava intensamente Giulietta. Era più grande degli altri, alto, atletico, con occhi grigi intelligenti. Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata.
“Ciao. Ti annoi?” le chiese, sedendosi accanto a lei. Da vicino sembrava ancora più maturo. “Non ti ho mai vista. Vieni a ballare?” Le tese la mano.
Si spostarono davanti alla finestra, dove ballavano già altri due. La musica non copriva le conversazioni. Lui le chiese del corso, della facoltà, se viveva con i genitori o in un dormitorio… Di tanto in tanto arrivavano nuovi ragazzi. Giulietta sospettò che l’appartamento avesse stanze nascoste.
Poi arrivò Simona, visibilmente sconvolta, e annunciò di volersene andare.
“Anch’io devo andare,” disse Giulietta, con un sospiro di dispiacere.
“Vi accompagno,” propose lui, “ditemi solo dove abitate.”
Uscirono.
“Che idiota,” borbottò Simona, riferendosi a Valerio.
Giulietta era troppo immersa nei suoi pensieri per ascoltarla. Lui uscì poco dopo e si avvicinò.
“Allora, facciamo le presentazioni? Sono Carlo.”
“Carlo De Santis? Il capitano della squadra di calcio? Ora capisco dove ti avevo visto!” esclamò Simona, euforica.
“A te piace il calcio?” chiese lui, sorpreso.
“Ho frequentato un tuo fan. Non perdeva una partita.” Simona ridacchiò. “Incredibile, racconterò a tutti che ho conosciuto Carlo De Santis!”
Cercava di attirare tutta la sua attenzione su di sé. Carlo lo capì subito.
“Simona, dove abitate?”
“Ti faccio strada,” rispose lei, chiacchierando senza sosta.
Giulietta camminava in silenzio accanto a loro.
“Ecco casa mia, poi c’è quella di Giulietta. Ci rivedremo?” domandò Simona.
“A dopo,” disse Giulietta, dirigendosi verso il portone accanto.
“Giulietta, aspetta!” la chiamò Carlo.
Simona lo guardò andarsene con rabbia. Aveva sperato in un’altra occasione.
La sera portava un po’ di frescura dopo il caldo del giorno. Carlo e Giulietta rimasero a chiacchierare davanti al suo palazzo, senza volersi separare. Lui le raccontò del suo lavoro in un piccolo giornale, del sogno di diventare giornalista televisivo.
“Sapranno tutti il mio nome, prima o poi,” disse con sicurezza. “E tu vuoi fare la maestra? Tipo, ami i bambini?”
“Che c’è?” s’irritò Giulietta.
“Niente, solo una domanda.” Lui si scusò. “Dammi il tuo numero.”
Lei lo diede, e lui compose il suo per far squillare il telefono. Il cuore di Giulietta accelerò: si sarebbero rivisti.
“Non me l’aspettavo da te, proprio tu, la timida, che ti fai Carlo De Santis!” la chiamò Simona quella sera. “Allora, racconta. Siete usciti? Vi siete baciati?”
“No, sono tornata a casa subito. Devo preparare l’ultimo esame.” Tacque dello scambio di numeri.
Carlo chiamò due giorni dopo, proprio quando Giulietta stava per perdere le speranze. Aveva appena finito l’ultimo esame. L’estate era cominciata, ed era il momento perfetto per uscire. Lui la invitò sui pedalò, poi in un bar…
Si vedevano quasi ogni giorno. Giulietta si era innamorata. Lui aveva una vecchia macchina, e spesso scappavano in campagna a nuotare e passeggiare…
Una volta, sotto la pioggia, lui la portò a casa di un amico. Lei si irrigidì quando aprì la porta con le sue chiavi.
“Dov’è l’amico? Porti spesso ragazze qui?” chiese Giulietta, indietreggiando verso le scale.
“Stiamo solo un po’ a chiacchierare. Dove vai con questo tempo?” la trattenne.
Lei rimase. Era innamorata. Se doveva succedere, che succedesse. Bevvero un tè, poi tutto accadde naturalmente. Carlo era dolce e premuroso…
Da allora si vedevano spesso in quell’appartamento. Poi lui partì per un viaggio di lavoro.
Un giorno noioso, Simona le fece visita.
“Ti manca? Vi ho visti insieme. Ma lo sai che è sposato?”
“Lo dici per invidia,” reagì Giulietta.
“No, davvero. Ha un figlio piccolo.”
GiEppure, anni dopo, mentre teneva in braccio sua figlia, circondata dall’affetto di Nicolò, Giulietta capì che la vera felicità era fatta di certezze silenziose, non di passioni tempestose.