**Diario personale – Un’alleanza inaspettata**
Oggi ho riempito con cura la mia borsa a quadri con patate di campagna, sottaceti e qualche vasetto di marmellata. Sono pronta per andare a trovare mia figlia e mio genero. “Elena, sono sul treno. Fa’ in modo che Vitaliano venga a prendermi alla stazione, la borsa è pesante,” ho detto al telefono. “Certo, mamma, ti aspettiamo,” ha risposto lei.
Appena scesa dal treno, ho sentito una voce familiare: “Mamma, siamo qui!” Mi sono voltata… e mi sono bloccata. Accanto a mia figlia, ormai al settimo mese di gravidanza, c’era un uomo curato, ben vestito. Niente a che vedere con quel camionista trasandato e burbero che non avevo mai approvato.
Vitaliano non era mai stato il tipo da matrimonio. A trentasette anni, ancora scapolo, ripeteva sempre agli amici durante le loro pescate: “Non ho ancora trovato colei che mi faccia battere il cuore.” Alcuni lo invidiavano: “Nessuna moglie, nessun problema!” Altri sospiravano: “È bello essere aspettati a casa.” Lui scherzava: “Almeno non ho una suocera!”
Poi, all’improvviso, il destino lo colpì. In un autogrill, la vide. Elena. I suoi occhi azzurri e il badge sul petto sembravano usciti da un sogno. Gli sorrise, e fu la fine. Il giorno dopo, tornò con la sua Jeep, nascondendo un mazzo di fiori. “Ciao, Elena… ti andrebbe di prendere un caffè insieme?”
Da lì, tutto accadde veloce come un temporale. Il matrimonio. Vitaliano, per la prima volta in anni, correva a casa invece che in hotel. Tornava dai viaggi gonfio di felicità. Si sentiva non solo un uomo, ma un marito. E presto, un padre. Tutto era perfetto… se non fosse stato per il primo incontro con me.
Non sono certo una donna debole: educata, fredda, rigorosa. Quando Vitaliano, con gentilezza, mi chiamò “seconda mamma,” risposi seccamente: “Chi ti ha detto che sono tua madre?”
Non si offese. Capì che avrebbe dovuto guadagnarsi il mio rispetto.
Un anno dopo, Elena è quasi al termine della gravidanza. Vitaliano torna da un viaggio, e mia figlia lo guarda preoccupata: “Mamma verrà a stare con noi qualche giorno…” “Oh! Pensavo fosse qualcosa di grave!” rise lui. “Va bene, ma…” si passò una mano sulla barba.
“Ma devi tagliarti i capelli e farti la barba,” completò Elena. “A mamma non piace che sembri un nonno.” “E a te?” “A me va bene, ma mamma è mamma…”
Così obbedì. Quando mi vide alla stazione, quasi inciampai: davanti a me c’era un uomo elegante, non più quel camionista trasandato. Un sorriso affiorò sulle mie labbra, sincero e sorpreso. E lui, stranamente, fu contento di rivedermi. Qualcosa era cambiato. In me, e forse anche in lui.
A cena, scappò in camera per la partita. L’ha accesa a basso volume, per non disturbare. Ma poi sentì la mia voce: “Vitaliano, alza il volume! Anche a me piace il calcio! E la pallacanestro.”
Si girò. Io ero lì, con occhi pieni di interesse. Mentre tifavamo per la stessa squadra, capì che questa non sarebbe stata una semplice visita.
Il giorno dopo, si prepararono per una gita al lago. “State andando a pescare?” chiesi. “Ci vengo anch’io! Prendete la tenda di Vitaliano, vi preparerò un brodetto da leccarvi i baffi!”
Lì, ero nel mio elemento: legna, fuoco, persino un tavolo improvvisato. Ridevo, scherzavo, mi sentivo vent’anni più giovane. Il brodetto era così buono che lui ne chiese il bis. E poi, senza accorgercene, ci davamo del “tu”. Scherzammo persino sul fatto che, se Elena da anziana sarà come me, lui sarà un uomo felice.
Abbracciai mia figlia e sussurrai: “Come sono fortunata ad avervi.”
E in quel momento, Vitaliano capì: nessuna coppa del mondo avrebbe mai potuto eguagliare questa felicità, semplice e vera.