— Giulia, suvvia, non è niente, stringiti un po’. È tua sorella, dopotutto, — la voce della madre era ferma, intrisa di un’autorità che non ammetteva repliche.
— Mamma, cosa significa ‘stringermi’? Questa è la nostra casa, io e Marco viviamo qui! Dove dovremmo farle posto? — Giulia tratteneva a stento la rabbia.
— E lei dovrebbe stare in quel lurido dormitorio? Affittare un appartamento non possiamo permettercelo, hai visto i prezzi? Basta, deciso: Valeria vivrà da voi. Così starò più tranquilla, la bambina sarà sotto controllo.
— Mamma, non era questo l’accordo!
— Ora lo è. Siamo una famiglia, dobbiamo aiutarci.
— Famiglia? Davvero? E tu ricordi quando…
— Basta, non ho tempo. Comprerò i biglietti e ti avviso.
La conversazione si interruppe. Giulia rimase in piedi in cucina, stringendo il telefono come se potesse darle risposte. Era sbalordita dall’arroganza della madre. Ma perché stupirsi?
Giulia era sempre stata la figlia meno amata. Quando la madre si risposò e nacque Valeria, a sei anni, Giulia dovette crescere in fretta.
— Sei già grande, devi aiutare con tua sorella, — ripeteva la madre. E su Giulia piombò un carico di compiti: passare l’aspirapolvere, lavare i pavimenti, cambiare i pannolini, fare la spesa, giocare con Valeria e, più tardi, imparare a cucinare. Il patrigno se ne andò poco dopo la nascita di Valeria, lasciandole sole.
La madre adorava Valeria, la viziava in ogni modo. Il cioccolatino più buono? Per Valeria. Vestiti nuovi? Per Valeria. Al ristorante si ordinava ciò che voleva Valeria, al cinema si sceglieva il film che preferiva lei. Cresciuta tra coccole e privilegi, Valeria non aveva mai toccato una scopa.
Valeria lasciava tutto in disordine, non puliva mai, pretendeva e si lamentava:
— I genitori di Anna le hanno comprato un telefono nuovo, lo voglio anch’io!
— Cosa c’è per cena? Ancora gli avanzi? Ordiniamo sushi!
— Dov’è il mio jeans preferito? Giulia, non l’hai lavato? Devo farlo io? Ma io non so, perché dovrei?
— Pulire? No, ho mal di testa. Fallo tu.
La madre non contraddiceva mai Valeria. Giulia provava a protestare, ma la risposta era sempre la stessa:
— Valeria è cresciuta senza padre, è dura per lei.
— Anch’io sono cresciuta senza padre, mamma!
— Lo so. Ma tu sei forte, Valeria è delicata come un fiore. Ha bisogno di più cure.
La madre spendeva lo stipendio intero per Valeria, faceva debiti per i suoi capricci. Quando Giulia aveva bisogno di scarpe nuove o di una giacca, la madre le consigliava irritata di cercare qualcosa in saldo o usato. Non le chiedeva mai come andava a scuola, cosa faceva.
Giulia, stanca delle ingiustizie, promise a se stessa di scappare via il prima possibile. Studiò fino a notte, lavorò come fattorina, distribuì volantini, scrisse articoli. Guadagnava poco, ma ogni euro lo metteva in una scatola di latta nascosta in armadio.
Un giorno, tornata stremata dal lavoro, aprì la scatola e quasi svenne: era vuota.
— Valeria! Hai preso i miei soldi?
— Quali? — rispose lei, sbadigliando.
— Quelli della scatola!
— Ah, quei spiccioli? Sì, li ho presi. Dovevo pagare la consegna dei vestiti e delle scarpe nuove. E ho ordinato sushi.
— Sei pazza?! Sono i miei risparmi! Chi ti ha permesso?!
— Ma che saranno mai? Due soldi. Non li regali a tua sorella?
— Se fosse per qualcosa di importante, certo! Ma per sushi e vestiti? Guarda come sono vestita io!
— Beh, comprati qualcosa allora! Chi te lo impedisce? Perché urli?
Giulia si chiuse in camera e pianse di rabbia.
Quella sera, la madre rientrò e scatenò un litigio:
— Come osi rimproverare Valeria per due soldi? Li ha presi, e allora?
— Mamma, li ha spesi in cose inutili!
— Ti dispiace? Siamo una famiglia, Giulia! Vergognati di essere così avara!
— E a lei non fa vergogna rubare?
— È una ragazzina! Tu sei adulta, dovresti capire.
— E chi capisce me?
— Basta piagnistei! Lava i piatti!
Giulia si laureò con lode in economia e trovò lavoro in una grande città. Finalmente la vita migliorò. La madre e Valeria non si interessarono mai a lei, a parte per ricordarle i compleanni. Quando Giulia iniziò a guadagnare bene, la madre le chiese soldi più spesso. Lei dava qualcosa, ma con Marco stavano risparmiando per un mutuo.
Poco dopo si sposarono e comprarono un bilocale. Alla cerimonia, solo i parenti stretti. La madre e Valeria rifiutarono:
— Ma che matrimonio è? Senza vestito bianco, solo un abito… E i biglietti costano troppo.
— Mamma, è il mio giorno importante. Hai sempre detto che siamo una famiglia.
— Non possiamo. Porto Valeria in vacanza, non ho soldi.
Due anni dopo, la madre annunciò che Valeria avrebbe vissuto con loro durante l’università. Senza chiedere. Non c’era spazio, e Giulia non aveva voglia di ospitarla. Ma una paura la assalì: se non da loro, dove sarebbe andata?
Marco accettò, purché fosse temporaneo.
Valeria arrivò quella sera e subito si lamentò:
— Che quartiere miserabile! Non potevate trovare qualcosa in centro? Come faccio ora ad arrivare all’università?
— Benvenuta, — disse secca Giulia. — Lascia le cose, lavati le mani, c’è la cena.
— Che buco che avete! — Valeria guardò in giro con disgusto. — Una gabbia.
— Affittati un palazzo in centro, allora, — ribatté Giulia.
— Dammi i soldi e lo farò. Sai com’è la nostra situazione.
— Dormirai qui, — Giulia indicò il materasso gonfiabile. — I vestiti sullo scaffale.
— Per terra? Che accoglienza!
— Non questa volta. Non c’è spazio, te l’ho detto.
Con Valeria, Giulia rivisse l’infanzia. La sorella sporcava, non aiutava, sprecava luce e acqua. La madre chiedeva solo se Valeria mangiava bene e non aveva freddo.
Una mattina, Marco chiese:
— Giulia, hai preso i soldi dalla scatola? Quelli del pagamento in contanti.
— No, perché?
— Strano. Dov’è finito tutto?
— Quanto c’era?
— Quasi tremila euro. Tre rate del mutuo.
La scatola… i soldi… Giulia capì.
— Aspetta! — Corse da Valeria, che dormiva. — Hai preso i soldi? Svegliati!
— Che vuoi? Lasciami dormire!
— Valeria, li hai presi?
— Sì, e allora?
— Dove sono? Ridammeli subito!
— Non ci sono più. Li ho spesi. I soldi vanno usati, non tenuti lì.
— Per cosa? È una fortuna!
— Un telefono nuovo. Basta con quel robivecchi.
— Li hai rubati!
— Rubati? Presi da mia sorella! Mamma dice sempre: siamo famiglia, ci aiutiamo.
Giulia tremava. Non avrebbero pagato il mutuo per mesi. Chiamò la madre, che sbuffò:
— Li ha presi, pazienzaGiulia chiuse la porta in faccia a Valeria per l’ultima volta, sentendo finalmente il peso degli anni svanire come neve al sole.