Va bene, facciamo il test del DNA dissi sorridendo alla suocera. Ma anche il suo marito dovrebbe verificare la paternità del bambino
Va bene, facciamo il test del DNA ripeté, ancora più beata, la mia suocera Lidia. Ma che sia anche suo marito a controllare se davvero è il padre di tuo figlio
Quando uscii dallospedale con il neonato fra le braccia, la madre di Lidia, la Signora Beatrice, sbottò appena varcata la soglia dellappartamento: Arturo non somiglia affatto a noi.
Mi gelai, stringendo il piccolo tra le mani. Era davvero il momento di far scattare quel dubbio?
Basta, Lidia intervenne con voce dolce il suocero Vincenzo, un uomo di mezza età dal volto rugoso, che mi condusse in unaltra stanza, lanciandomi uno sguardo di compassione.
Rimasi sola con Arturo. «Non somiglia?» fissai il figlio: capelli biondi, occhi azzurri, nasino minuto. Proprio come il nonno Giuseppe da bambino. Dovevo chiedere a mia madre le vecchie foto per fare confronti.
Il richiamo della mamma mi ruppe il pensiero. La sentii sulla terrazza del nostro terrazzo a Napoli, al telefono con suo padre: Hai avuto un nipotino, eppure non ci sei mai stato!
Chiuse la cornetta con un gesto brusco, poi mi guardò e sospirò: Scusa, Cinzia, ti ho rovinato la giornata. Speravo che tuo padre venisse, ma neanche il nipote lo distoglie dalla bottiglia.
Non è colpa tua, mamma la stringetti. Non è colpa tua.
Quella sera, al cenone di famiglia, i parenti più stretti si radunarono attorno al tavolo. Lidia trattenne a stento la sua irritazione, mentre Vincenzo e il marito di mia figlia, Massimo, cercavano di alleggerire latmosfera. Quando gli ospiti se ne andarono, Massimo mi abbracciò: Grazie per il nostro bambino.
Il tempo scorse veloce: i primi passi, le prime parole, le notti insonni. Compremmo un appartamento in via Duomo, cambiammo la vecchia Fiat 127 con una nuova Fiat 500, e Arturo iniziò la scuola materna.
Una sera, con il cuore in gola, confidai a Massimo: Temo che la scuola sia troppo dura, i genitori si radunano, le riunioni
Tutto andrà bene mi rassicurò.
Ma la pace fu interrotta dalla suocera, che al villaggio di Caserta cominciò a comportarsi in modo sempre più strano: evitava Arturo, lo osservava con occhi gelidi e pieni di sospetto.
Guardalo sibilò mentre lavavamo i piatti insieme. Rosso, con le lentiggini Sei sicura che sia figlio di Massimo?
E voi siete sicuri che Vincenzo sia il padre di vostro nipote? ribellai.
Lidia rimase impietosa. Come osi!
E voi? scattai fuori di casa, presi le cose e, con Arturo al braccio, tornai a casa.
Il giorno dopo mandammo il campione per il test del DNA. I risultati furono chiari: Arturo era nostro figlio. Non lo dissi a nessuno, lo riposi solo nella borsa.
Lidia non si placò. Al compleanno di Vincenzo le tornò a parlare: La nipote è una copia della nonna! E noi? fece cenno a Arturo con un gesto sprezzante.
Senza parole, tirai fuori il referto e lo posai davanti a lei: Leggi. I tuoi sospetti erano sbagliati. Forse ora ti occuperai dei tuoi scheletri nellarmadio?
Il suo viso sbiancò.
Qualche giorno dopo Massimo tornò a casa sconvolto. Cinzia si sedette sul pavimento, stringendo la testa fra le mani. Io e il padre abbiamo fatto il test. È risultato che non è mio sangue.
Lo abbracciai, senza parole.
Più tardi arrivò Vincenzo. Vado a chiedere il divorzio da Lidia dichiarò con decisione. Però tu, Massimo, resterai sempre per me il figlio. Il sangue non è ciò che conta.
Massimo piangeva, stringendolo in un abbraccio.
Così la nostra famiglia superò quel colpo. Lidia rimase sola, mentre noi, incredibilmente, diventammo più uniti.
Ironia del destino: se non fossero stati i suoi tormenti, la verità sarebbe rimasta nellombra.
Passarono sei mesi dal divorzio di Vincenzo e Lidia. La vita sembrava stabilizzarsi: Massimo si allontanò gradualmente dalle tentazioni di sua madre, Arturo trascorreva i weekend felice con il nonno Giuseppe e con il papà, e io non mi spaventavo più per ogni squillo del telefono.
Una sera, mentre lavavo i piatti, squillò un numero sconosciuto.
Cinzia? la voce maschile, rauca, sembrava incerta. Sono il tuo compagno di classe.
Il cucchiaio cadde nella lavandiera.
Stefano? non lo vedevo da dieci anni, da quando avevamo lasciato la piccola città di Salerno per Napoli.
Dobbiamo parlare. È importante.
Di cosa?
È per tua suocera.
Ci incontrammo in un piccolo bar allaperto, sotto il cielo di Napoli. Lidia mi ha cercato disse Stefano, girando la bottiglia dacqua. Ha detto che Arturo era mio figlio perché era così rosso di capelli, come me. Ha persino offerto dei soldi.
Cosa?!
Era convinta che arrossì. Che tra noi ci fosse qualcosa
Dio, è malata! urlai. Credeva davvero di aver avuto un figlio con te?!
Stefano annuì. Sapevo che un tempo gli ero piaciuta e che aveva sofferto per il mio matrimonio, bevendo per dimenticare.
Ho rifiutato i test. Ho detto che non potevo aiutare un bambino che non era mio. E anche se ancora ti voglio bene, non distruggerò la tua famiglia.
Le mani tremarono. La suocera non stava solo sospettando, stava costruendo trame per umiliarmi.
Raccontai tutto a Massimo. Il suo volto impallidì: Allora mentiva non solo al papà voleva distruggere anche la nostra famiglia.
Il giorno dopo Vincenzo fece irruzione, sbattendo le porte: Lidia ha intentato una causa! Chiede metà della casa di campagna!
Con che fondamento? ribatté Massimo. Dice che non ha più nulla, la pensione è poca, vuole vendere la villa.
Quella sera squillò ancora Lidia, per la prima volta dopo mesi. Siete felici? la sua voce era colma di odio. Avete distrutto la famiglia, ora vi rottamerò. È tutta colpa tua, sporca bambina!
Hai mentito al marito! Hai rifiutato il nipote! scoppiò io.
Arturo non sarà mai il mio nipote sibilò, sospendendo la chiamata.
Una settimana dopo arrivò una lettera dal suo avvocato: voleva vietare a Vincenzo di vedere Arturo, sostenendo che non era un parente di sangue.
È vendetta sussurrò Massimo, stringendo i documenti. Non è più sana di mente.
Vincenzo, invece, sorrise: Che provi a fare.
Il giudice respinse tutte le richieste. Anzi, dopo aver ascoltato la nostra storia, ammonì Lidia per diffamazione.
Il giorno della sentenza Vincenzo mostrò una vecchia fotografia: un piccolo Massimo sulle sue spalle, entrambi ridenti.
Questa è la vera famiglia disse. Non è il sangue, né il nome. È lamore.
Arturo, correndo, abbracciò il nonno: Sei il migliore!
Lidia rimase sola.
Un anno dopo la incontrammo casualmente in un parco. Era seduta su una panchina, occhi persi, sola. Arturo, senza rancore, le salutò con la mano.
Lei si allontanò.
È un peccato per lei? chiese Massimo.
No, risposi con sincerità. È triste per tutti quelli che ha ferito.
E noi ci avvicinammo al nonno, che dondolava Arturo sullaltalena del giardino.
La nostra vera famiglia, quella che conta davvero.






