— Vai pure, io arrivo dopo.
— Ma dove sei?
— Alla casa al mare. Mamma ha avuto un’improvvisa necessità.
Alla casa al mare. Nel giorno in cui tuo figlio inizia la scuola per la prima volta…
Beatrice stava in piedi davanti al lavandino della cucina, strizzando una spugna tra le dita. Le tremavano. Non per l’acqua fredda, ma per la rabbia. Sul fornello, la farina d’avena stava già attaccandosi alla pentola, mentre in camera da letto, la televisione mormorava notizie senza senso. E nella sua testa, domande si accavallavano come titoli di giornale: «La casa al mare? Adesso? Perché?»
…Suo marito era uscito presto. All’inglese. Solo lo schiocco della porta, e la casa era tornata silenziosa. Aveva pensato: forse è andato in macchina, forse ha una commissione. Suo figlio si era già svegliato, si era strofinato gli occhi e, in pigiama, si era trascinato verso il bagno.
Tutto sembrava normale. Tranne una cosa: papà non era tornato.
— Dario, ma sei completamente fuori di testa?! — gli aveva chiesto quando, finalmente, era riuscita a raggiungerlo.
— Senti, era un’urgenza di mamma, — si giustificava lui. — Voi andate avanti, io arrivo.
— Ah, certo. Un’urgenza. Proprio oggi. Alle otto di mattina. Il primo giorno di scuola, — la voce di Beatrice era diventata più fredda dell’iceberg che affondò il Titanic.
— Dai, lo so che è brutto… Ma lei mi ha chiesto. Sarà veloce.
Beatrice non aveva risposto. Perché se avesse aperto la bocca, la diga del suo autocontrollo avrebbe ceduto. E una scenata di prima mattina non era esattamente l’ideale per un bambino che iniziava la scuola. Invece di parlare, aveva semplicemente chiuso la chiamata.
Che se la cavassero da soli.
— Mamma, dov’è papà? — suo figlio era in piedi, con la camicia bianca nuova, e cercava di abbottonarsi da solo. Si arrabattava, era nervoso, ma non si lamentava.
— La nonna aveva bisogno di andare alla casa al mare. Papà l’ha accompagnata, — rispose Beatrice, senza sarcasmo né menzogne.
— E poi viene? — chiese il bambino, speranzoso.
— Non lo so, amore. Penso di no.
— Ma lo sapeva che oggi era un giorno speciale?
Ne avevano parlato tutta la settimana. Ma suo figlio, evidentemente, non riusciva a capire quel gesto da parte di suo padre.
— Lo sapeva, — sussurrò Beatrice.
Il bambino abbassò lo sguardo, tacque. Si sedette a tavola e si immerse nel telefono. Nel vaso, c’era un mazzo di fiori che avrebbe portato a scuola. Alla porta, uno zaino nuovo con le macchinine. Tutto era pronto per il grande giorno.
Tutto, tranne la famiglia.
Alla cerimonia, il bambino cercava di mantenere la compostezza. Non sorrideva, non piangeva, stringeva solo più forte la mano della madre, mentre intorno a loro bambini, nonni e padri con le macchine fotografiche brulicavano come formiche. Per tutti gli altri, era una festa.
Anche Beatrice lo fotografava, cercando di incoraggiarlo. Aveva un nodo in gola, ma sorrideva per due. Forse anche per tre. Ma non bastava.
Quando uno studente più grande portava in spalla una bambina con i fiocchi e una campanella, arrivò il primo messaggio della suocera: «Fai tante foto. E mandamele. Voglio vedere». Il secondo, quindici minuti dopo: «Di’ a Matteo che mi saluti. Sono con voi col pensiero!»
«Col pensiero?» Beatrice serrò i denti. «Col pensiero» era comodissimo. Non richiedeva nessuno sforzo.
Non rispose. Non perché temesse una lite. Semplicemente… non aveva nulla da dire a quella donna.
Dopo la cerimonia, andarono in una gelateria, ordinarono coni e frullati, poi fecero una passeggiata nel parco. Il piano originale era un altro: papà li avrebbe portati al parco divertimenti. Ma papà era alla casa al mare. Con i pomodori, non con suo figlio. Il programma era saltato.
— Mamma, posso non rispondere se chiama la nonna? — chiese il bambino, quando il telefono nello zaino vibrò.
— Certo, — annuì Beatrice. — Io farei lo stesso.
Non spiegò altro. Non c’era bisogno. Suo figlio la abbracciò, così forte che sembrava volerle trasmettere tutto il dolore e la delusione attraverso quell’abbraccio.
Qualcosa dentro di lei si indurì. Perciò, quando suo marito chiamò, non rispose. Né lei né suo figlio.
Si limitarono a scambiarsi qualche messaggio.
— Comportati da adulta. Rispondi. Mamma è offesa, — scrisse Dario.
— Tua moglie, sì. E tuo figlio, — replicò lei.
— Matteo è offeso?
— Sì. Perché oggi, per lui, era un giorno importante. E voi avete scelto i pomodori. Continuate pure a raccoglierli.
Dario arrivò verso le nove. Entrò in punta di piedi, come se temesse di svegliare qualcuno. O, più probabilmente, di peggiorare un’atmosfera già tesa. Il bambino dormiva già. Beatrice era in salotto con un libro, ma non leggeva. Non riusciva a concentrarsi. Lo teneva solo come uno scudo contro l’indifferenza altrui e i propri pensieri inquietanti.
— Magari domani andiamo da qualche parte? Tutti e tre, — propose Dario, sedendosi accanto a lei. — Al cinema o a mangiare una pizza. Sembra che viviamo vite separate.
Beatrice alzò un sopracciglio e lo guardò. Non era affatto contenta della proposta, né si affrettò a concordare. Si limitò a sospirare, stanca.
— Credi che i sentimenti abbiano una scadenza, come al lavoro? Che si possano rimandare? Tuo figlio aveva bisogno di te oggi.
— Non l’ho fatto apposta, — Dario si strofinò la fronte, cercando di calmarsi. — Mamma ha chiesto all’improvviso, non potevo dirle di no. Pensavo sarebbe stato veloce.
— Eh già. Peccato che al tuo «pensavo» Matteo non ci guadagni nulla. Ti aspettava. Finché tutti non se ne sono andati.
— Non esagerare… — borbottò lui. — Cosa ti prende?
Beatrice rise. Una risata secca, senza allegria, piena di ironia. Dario vedeva la situazione in modo diverso. La Terra non si era fermata, nessuno era morto. Era lei che faceva la difficile.
Non capiva che, per sua moglie, era stato un vero tradimento. O forse non voleva capirlo.
— Molte cose. Ma soprattutto che non capisci quanto hai ferito tuo figlio. Che pensi che tutto si sistemerà da solo.
Una volta, era diverso. Ricordava quando, durante la gravidanza, Dario aveva detto:
— Voglio essere parte della sua vita, non solo un estraneo. Voglio essere un buon padre.
Aveva insegnato a Matteo ad andare in bicicletta, a fare aeroplani di carta, soldatini con le ghiande. Organizzavano gare con le macchinine. Gli occhi del bambino brillavano, e Dario lo guardava come si guarda il proprio senso della vita.
E anche la nonna, allora, preparava dolci. Forse più per sé che per Matteo, ma era comunque qualcosa. Di fronte al nipote, si scioglieva in complimenti, che però avevano sempre un fondo di egoismo. «Che bel bambino che ho! Tutto mio!» diceva.
LeE quella notte, mentre il vento soffiava tra le finestre semiaperte, Beatrice capì che a volte la famiglia non è il sangue ma chi ti stringe la mano quando tutto il resto ti fa male.