«Vendi l’appartamento dei tuoi genitori, o me ne vado»: come mio marito mi ha messo di fronte alla scelta tra il passato e il matrimonio
Non avrei mai pensato che la persona con cui condividi il tetto e il pane potesse trasformarsi all’improvviso in uno straniero. Che colui che giurava di essere il tuo sostegno un giorno ti spingesse in un angolo, al punto da toglierti il respiro. Eppure, eccomi qui. Mi chiamo Bianca, ho trentotto anni, e mi trovo davanti a un ultimatum spietato da parte di mio marito, che un tempo sembrava l’uomo più affidabile del mondo.
Con Alessandro ci siamo sposati sei anni fa. Lui era già divorziato e aveva due figli dal precedente matrimonio. Sapevo fin dall’inizio che entravo in una storia complicata, ma non mi spaventava. Ho accolto i suoi bambini con affetto, cercando di essere sempre presente e gentile. Lui li aiutava economicamente, e io non mi sono mai opposta. Aveva degli obblighi, e non volevo mettermi in mezzo.
Vivevamo in un appartamento in affitto a Verona, lavoravamo entrambi, ma i soldi non bastavano mai. Io facevo la contabile, lui il meccanico. A un certo punto, la situazione è diventata critica: debiti, bollette in ritardo, risparmiare su tutto. Sognavo un figlio, ma la gravidanza non arrivava. Dopo i trentacinque, abbiamo iniziato gli esami. La diagnosi dei medici è stata dura: infertilità. È stato un colpo, ma ho cercato di reagire.
Allora Alessandro ha proposto di trasferirci dai suoi genitori in un paesino vicino a Firenze. Diceva che avevano bisogno di aiuto con la casa e che avremmo risparmiato. Ero titubante, ma ho accettato. Meglio che contare gli spiccioli fino alla fine del mese. Ci siamo trasferiti nella loro vecchia ma spaziosa casa. C’era silenzio, aria pulita, l’orto e le galline… ma fin dal primo giorno mi sono sentita un’intrusa. Mia suocera non mi accettava, come se fossi un peso. Ogni mio gesto veniva commentato, ogni parola criticata.
Poi, un anno fa, è morto mio padre. Io e mia madre abbiamo perso l’uomo più importante della nostra vita. Lui mi ha lasciato in eredità il suo appartamento a Bologna, un bilocale in un bel quartiere. Quando ho firmato i documenti, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sono sentita di nuovo al sicuro. Ho proposto ad Alessandro di trasferirci lì. Gli ho detto: «È l’occasione per ricominciare. Vivere da soli, costruire qualcosa di nostro.» Ma lui ha tagliato corto:
«Non lascerò i miei genitori. Contano su di me.»
All’inizio ho cercato di capirlo. Ma un mese dopo mi ha detto una cosa che mi ha fatto mancare la terra sotto i piedi:
«Dobbiamo vendere l’appartamento. Useremo i soldi per ristrutturare la casa dei miei. Rifaremo il tetto, il bagno, isoleremo le pareti. Tanto viviamo qui.»
Non credevo alle mie orecchie.
«Alessandro, è l’appartamento di mio padre! È il suo lavoro, il suo ricordo. Come puoi pensare una cosa del genere?»
«E come facciamo altrimenti? Vuoi un figlio, ma qui non abbiamo nemmeno le condizioni! Preferisci tenere quell’appartamento vuoto mentre viviamo in una casa umida con il soffitto che cade?»
Gli ho spiegato che non potevo sbarazzarmi così di ciò che mio padre mi aveva lasciato. Non erano solo metri quadri: erano il suo amore, la sua cura. Alessandro prima ha taciuto, poi ha iniziato a insistere. Ogni giorno diventava più pressante. Non lo proponeva più, lo pretendeva. Finché non ha detto:
«O vendi quell’appartamento, o me ne vado.»
Sono rimasta senza parole. Mi aveva lanciato un ultimatum. Mi stava ricattando. Distruggeva i miei ricordi, il mio affetto, il mio passato. Tutto per investire soldi nella casa dei suoi genitori, non nella nostra. Non nel nostro futuro. Ma in quella vita dove, in fondo, nessuno mi aveva mai veramente voluta.
Ora cammino per la stanza senza sapere come respirare. Mia madre è in lacrime. Dice che mio padre non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Che tra loro era sempre stato tutto perfetto, e quell’appartamento era il suo ultimo modo di dire «ci sono». E io? Sono a pezzi. Ho la testa confusa. Il cuore spezzato, perché amo ancora Alessandro. Ma lui mi guarda come se fossi un conto in banca da svuotare.
Non so che fare. Vendere mi sembra un tradimento. Non vendere e restare sola? Ma una persona che ti mette davanti a un ultimatum non è già un tradimento? Si può davvero vivere quando l’amore si misura in metri quadri e preventivi per la ristrutturazione?
Ora mi sento in un vicolo cieco. Per la prima volta nella vita, non so cosa scegliere. Ma di una cosa sono certa: non sono più disposta a sacrificarmi per la comodità degli altri. Nemmeno se quell’«altro» è mio marito.