Oggi mi è venuto in mente un ricordo che mi ha fatto riflettere. Vent’anni di matrimonio con mia moglie Luisa, e mai le ho fatto un regalo. Neanche quando ci siamo conosciuti. Ci siamo sposati dopo un mese, senza tanti giri. Ai tempi, andavo a trovarla nel paesino dove abitava, le fischiavo sotto la finestra e lei scendeva. Ci sedevamo sulla panchina vicino al cancello, parlavamo poco, ma bastava.
Il primo bacio glielo ho dato solo dopo il fidanzamento ufficiale. Poi il matrimonio, e via con la vita. Io diventato un bravo contadino, tanti animali, terra che rendeva. Lei instancabile, l’orto invidiato dalle vicine. Poi i figli: pannolini, vestitini, malattie. I regali? Mai pensati. Le feste passavano così, tra una tavolata e l’altra. Una vita semplice, forse banale, ma tranquilla.
Un giorno, prima dell’8 marzo, andai al mercato con il vicino a vendere patate e lardo. Avevo svuotato la cantina, deciso a liberarmi del superfluo. Il tempo buono, l’aria già di primavera. Vendemmo tutto in un batter d’occhio. “Che giornata fortunata,” pensai, “Luisa sarà contenta”.
Messi via i sacchi nel furgone, andai in paese per qualche commissione. Prima, come da vecchia abitudine, entrai in un’osteria a brindare al successo. Non sono un ubriacone, ma credevo che senza un bicchiere per celebrare, la prossima volta sarebbe andata male. Bevuto il necessario, uscii di buon umore.
Fu allora che li vidi: una coppia giovane davanti a una vetrina. La ragazza, fresca come un fiore, fissava un vestito in mostra.
“Gina, andiamo, che ti fissi così?”
“Guarda che bello, sarebbe perfetto per me.”
“Ma è solo un straccio!”
“Sei un allocco, Marco! È di moda, retrò. Regalamelo per l’8 marzo?”
“Gina, sai che siamo a secco. Se lo compro, poi come mangiamo?”
“Ce la caveremo, no? È un anno che siamo sposati, e non mi hai mai fatto un regalo, neanche a Natale!”
Marco si arrese, scrollando le spalle. Lei lo baciò sulla bocca senza vergogna, trascinandolo nel negozio. Uscirono poco dopo, Gina ridendo felice.
Qualcosa si mosse nel mio cuore. Forse la nostalgia della giovinezza, o forse quel che eravamo stati io e Luisa. E mi venne da pensare: “Non ho mai fatto un regalo a Luisa. Troppo occupato, troppo frugale. Eppure quel ragazzo è pronto a digiunare pur di far felice la moglie. Lo fa per amore. E io amo davvero Luisa? Una volta credevo di sì. Poi tutto si è spento, tra le faccende di ogni giorno. Che vita sciocca.”
Entrai deciso nel negozio. Una commessa mi venne incontro.
“Posso aiutarla?”
“Vorrei quel vestito in vetrina.”
“Oh, è l’ultimo grido, stile retrò, pura seta! Sua figlia sarà contenta.”
“Non è per mia figlia, è per mia moglie,” risposi asciutto.
“Che fortuna per lei!” esclamò la ragazza, incartando il vestito. Quando nominò il prezzo, sussultai. “Perché così caro?”
“È di un famoso stilista.”
Esitai, ma il ricordo del viso felice di Gina mi convinse. Pagai e uscii col pacchetto. Il vicino mi raggiunse per tornare a casa.
“Com’è andata?”
“Bene.”
“Quanto hai guadagnato?”
“Che t’importa?” ringhiai.
A casa, Luisa non c’era ancora. Sistemai gli animali, poi entrai in cucina e bevvi due bicchieri di vino per calmarmi. Quando arrivò, mi trovò seduto a tavola.
“Allora, com’è andata?”
“Bene. Ecco i soldi.” Li contò con sospetto.
“Pochi, vero? Hai speso il resto qui?”
“No, guarda nel sacchetto.”
Luisa tirò fuori il vestito.
“Cos’è? Per Natalina? Ma è troppo grande!”
“È per te. Per l’8 marzo.”
“Per me?” Lo guardò incredula. “Davvero?”
“Sì, proprio per te.”
Si asciugò le lacrime e corse in camera. Dopo dieci minuti tornò, disperata.
“Non mi entra, son diventata troppo grossa.”
“Ma com’è possibile? Era uguale a quello che portavi quando ci sedevamo sulla panchina.”
“Scemo, sono passati vent’anni!” disse ridendo tra i singhiozzi.
“Guardando quei fiori, ho rivisto tutto. Eri così magra, e le stelle nel cielo sembravano grano sparso.”
“Eh, Sè, che bei tempi.”
Poco dopo arrivò Natalina, la maggiore.
“Ma che fate al buio?” Accese la luce e vide il vestito. “Mamma mia! È l’ultimo modello! Di chi è?”
“Tuo padre l’ha preso per te,” disse Luisa.
“Papà, ti voglio bene!” Lo baciò e corse a provarlo. Le stava a pennello. Se ne uscì con aria da diva, dicendo “Vado da Letizia!” e sparì.
Ai più piccoli avevo portato dolci. Quella notte fu dolce. La mattina dopo, Luisa mi svegliò carezzandomi i capelli.
“Alzati, Sè. La colazione è pronta.” Mi guardò con quegli occhi limpidi che mi fecero sciogliere.
“È già mattina? Allora… buon 8 marzo, moglie mia.”
“Me l’hai già regalato ieri. Grazie.”
“Ma che dici…” arrossii.
Facemmo colazione insieme, come non capitava da anni. Che Dio ce ne conceda ancora tante di quelle mattine.
La lezione? Che a volte basta un gesto tardivo per riaccendere ciò che il tempo aveva spento.