**Vergogna sull’autobus**
Oggi, mentre correvo verso la fermata, stringevo al petto la mia borsetta. La pioggia era appena cessata, e l’asfalto luccicava sotto un cielo grigio di ottobre. Nella borsa avevo venti euro, tutto quello che ero riuscita a mettere da parte per le medicine di mio marito. Marco si lamentava ancora del mal di schiena, e il medico aveva prescritto pastiglie così costose che la pensione non bastava neanche per mezza confezione.
L’autobus arrivò con uno stridore di freni. Salii i gradini e porsi all’autista una moneta da due euro.
“Due cinquanta,” borbottò lui senza nemmeno guardarmi.
“Come due cinquanta? Ieri costava due euro,” dissi confusa.
“Oggi è aumentato. I prezzi salgono,” rispose, battendo le dita sul volante con impazienza.
Esitai. Due euro e cinquanta voleva dire che per le medicine sarebbe rimasto ancora meno. Forse potevo andare a piedi? Ma la farmacia era a tre chilometri, e Marco mi aspettava a casa, sofferente…
“Signora, può avanzare?” Una voce proveniva dal fondo del bus. “C’è la fila dietro di lei.”
Il mio viso si arrossò. Cercai nella borsetta e tirai fuori altre cinquanta centesimi.
“Grazie,” mormorò l’autista, senza degnare le monete di uno sguardo.
Entrai nel veicolo e mi guardai intorno. Non c’erano posti liberi. Un ragazzo con le cuffie fissava il telefono, accanto a lui una ragazza digitava qualcosa senza alzare gli occhi. Al centro, una giovane madre cullava un neonato, canticchiando una ninna nanna. Il bimbo piagnucolava, e lei sembrava stremata.
“Si sieda,” mi disse all’improvviso, accennando al suo posto. “Tanto devo stare in piedi, lui non mi lascia sedere.”
“No, no, grazie, resto in piedi,” risposi scuotendo la testa.
“Ma sieda, su,” insisté. “Si vede che è stanca.”
Mi accomodai con gratitudine. Il piccolo mi fissò con occhi curiosi e all’improvviso sorrise.
“Che bel bambino,” dissi senza pensarci. “Quant’anni ha?”
“Otto mesi. Gli stanno spuntando i dentini, per questo è irritabile,” sospirò lei. “Stiamo andando dal dottore, speriamo ci dia qualcosa.”
“Anch’io vado in farmacia, per le medicine di mio marito. Ha mal di schiena.”
“Capisco. Mia suocera soffre di artrite, è la stessa cosa.”
L’autobus fermò alla prossima fermata. Salì una signora anziana col bastone, lentamente, appoggiandosi ai corrimano. L’autista sbuffò allo specchietto.
“Dai, nonna, sbrigati. Il tempo è denaro!”
La vecchietta si guardò attorno smarrita. Tutti i posti erano occupati. Il ragazzo con le cuffie non alzò nemmeno lo sguardo dal telefono.
“Giovanotto,” mi rivolsi a lui, “puoi cedere il posto alla signora?”
Lui si tolse una cuffia con riluttanza.
“Eh?”
“Cedi il posto alla signora anziana,” ripetei, indicandola.
“Ah, sì…” Si alzò a malincuore, senza staccare gli occhi dallo schermo.
La signora annuì riconoscente e si sedette con cautela.
“Grazie, cara,” mi disse. “Ci sono ancora persone buone al mondo.”
Mi sentii in imbarazzo per quel ringraziamento. Anche io non l’avevo notata subito, distratta dalla chiacchierata con la giovane madre.
L’autobus frenò bruscamente al semaforo. I passeggeri sobbalzarono in avanti. Il neonato scoppiò in lacrime.
“Attento!” sbottò la madre. “C’è un bambino qui!”
“Le strade sono così, che vuoi farci?” si difese l’autista. “Se non ti piace, prendi un taxi.”
“Non tutti possono permetterselo,” sussurrò la signora col bastone. “Devo arrivare all’ospedale, ma a piedi non ce la faccio più.”
“Tutti dobbiamo risparmiare,” concordai. “I prezzi salgono, ma le pensioni restano le stesse.”
“Esatto,” annuì la madre. “Io sono in maternità, mio marito lavora da solo. Contiamo ogni centesimo.”
Nel bus si creò un’atmosfera di complicità. I passeggeri si scambiarono sguardi, annuirono in silenzio. Ognuno capiva che gli altri erano nella stessa situazione, costretti a tirare la cinghia.
“Una volta c’era il bigliettaio,” sospirò la signora anziana. “Era tutto più gentile, ti dava il biglietto, il resto giusto…”
“Altri tempi,” convenni. “E i prezzi non cambiavano ogni giorno.”
“Non solo i prezzi,” intervenne una donna sulla quarantina seduta vicino al finestrino. “C’era più rispetto per la gente.”
Il ragazzo con le cuffie alzò lo sguardo, ascoltando con interesse.
“Forse siamo noi che siamo diventati indifferenti,” disse improvvisamente. “Viviamo nei nostri telefoni e non vediamo più nessuno.”
Lo guardai sorpresa. Non mi aspettavo quelle parole da lui.
“Hai ragione,” approvò la signora anziana. “Mio nipote è lo stesso, sempre al computer. Non ha mai tempo per parlare con me.”
“Nonna, raccontaci qualcosa dei tuoi tempi,” propose il ragazzo, infilando il telefono in tasca.
La vecchietta si animò.
“Cosa vuole che le dica… Beh, se volete, vi racconto come ho conosciuto mio marito. Anche lì, su un autobus.”
“Racconti,” dissero in coro alcune voci.
“Era il 1957. Io viaggiavo sul tram, e lui era lì, così bello, in divisa militare. A un certo punto il tram frenò di colpo, io inciampai, e lui mi sostenne. Fu così che ci conoscemmo.”
“Che romantico,” sorrise la giovane madre, cullando il bambino.
“Romantico,” concordò la nonna. “Siamo stati insieme sessant’anni, fino alla sua morte.”
Nel bus scese il silenzio. Ognuno pensava ai propri cari.
“Io e mio marito ci siamo conosciuti in fila per il pane,” raccontai. “Lui era davanti a me, si girava e mi sorrideva. Poi mi propose di accompagnarmi a casa.”
“È bello avere qualcuno con cui condividere la vita,” mormorò la donna al finestrino. “Io sono rimasta sola, i miei figli vivono lontano.”
“Non si preoccupi,” disse la madre spostando il bambino sull’altra spalla. “I figli crescono e tornano. Mia madre si lamentava che non la vedevo mai, ma ora le porto spesso il nipotino.”
“Sì, i nipoti sono una gioia,” sorrisi. “Mia figlia abita in un’altra città, ma la mia nipotina viene d’estate. È così intelligente, mi chiede sempre com’era la scuola ai miei tempi, come vivevamo.”
L’autobus si avvicinava al centro. Dovevo scendere presto. Mi alzai e mi avvicinai alla giovane madre.
“Grazie per il posto. Tieni,” le porsi due euro. “Per un gelato al piccolo, quando gli passerà il dolore.”
“Ma no, non serve,” fece per rifiutare.
“Prendili, mi fa piacere. Hai un bel bambino.”
Lei li accettò commossa.
“Grazie di cuore. Dio la benedica.”