Vi Cresciamo per un Motivo

“È per questo che vi cresciamo”

La voce di mamma al telefono era insistente, un rullo compressore che le schiacciava i nervi. Ginevra teneva la cornetta stretta tra la spalla e l’orecchio, con una mano reggeva la pentola, con l’altra mescolava la minestra di farro.

“Mamma, ma l’avevamo già deciso. Sabato andiamo dai genitori di Enzo,” disse Ginevra, cercando di nascondere la tensione nella voce. “Hanno bisogno di aiuto nell’orto, c’è tanto da fare.”

“E io, invece, mi arrangio da sola?” sbuffò Isabella con sarcasmo. “Il facchino ha ricominciato a bere. Devo spostare le scatole. Aiutatemi. Arrivate la mattina, e per pranzo avremo finito. Poi potete andare nel vostro orto.”

Ginevra si lasciò cadere sulla sedia, sentendo il cuore accelerare. Le loro conversazioni erano sempre così. Isabella non chiedeva mai—pretendeva. E le sue ragioni erano di ferro, pesanti, con un retrogusto di debito morale. Di un credito mai estinto.

“Mamma, abbiamo già dato la parola. Ci vedono così poco. Non posso proprio annullare,” ripeté Ginevra, sapendo già che era inutile.

“Ah, ecco come stanno le cose?” Isabella alzò la voce. “Ho dato tutto a mia figlia, e lei guarda altrove?”

Ginevra chiuse gli occhi. Ci siamo, ora comincia…

“Ti ricordi il matrimonio? Chi vi ha dato i soldi per la casa? I suoceri? Ma se vivono in un rudere, non riescono nemmeno a ristrutturarla. Se non ci fossi stata io, sareste ancora a saltare da un affitto all’altro.”

Enzo aveva sentito tutto dalla stanza accanto. O quasi. Il resto lo capiva dalla reazione della moglie. Si era già piazzato sulla soglia della cucina, con le braccia incrociate. Lei sentiva il suo sguardo addosso. Interruppe la chiamata e lo fissò.

“Hai sentito?” chiese con cautela.

“Quello che bastava,” rispose lui secco. “Che non chiami più. Crede di averci comprato?”

Ginevra avrebbe voluto obiettare, ma le parole le si bloccarono in gola. Capiva Enzo. Ogni volta che la madre “ricordava” loro il suo aiuto, si sentiva a disagio. Come se non vivesse nella sua casa, ma in un affitto. E il padrone di casa fosse sua madre.

Enzo uscì sul balcone, tirando fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca. La porta sbatté così forte che Ginevra trasalì.

Si mise le mani tra i capelli. All’inizio aveva creduto che la madre volesse solo assicurarle una vita migliore. Ma ora quel barile di miele nascondeva il fiele.

Al matrimonio, Isabella era stata impeccabile. Indossava un abito rosso fuoco, come se non fosse la figlia a sposarsi, ma lei stessa. Tavola imbandita, musicisti, due presentatori—tutto grazie a lei.

Quando arrivò il momento dei regali, si alzò, sollevò la busta e sorridendo annunciò:

“Figli miei, questo è l’inizio della vostra vita. Voglio che tutto vi riesca. Ecco da parte mia…”

E pronunciò la cifra. Non sussurrò, non lo disse all’orecchio—lo gridò, perché tutti sentissero, suoceri compresi.

Ginevra sentì la stretta di Enzo sotto il tavolo. I suoi suoceri, Ornella e Vittorio, consegnarono la loro busta dopo, senza cifre, solo con un sorriso.

“Non siamo ricchi, ma diamo con il cuore,” disse Vittorio, arrossendo. “Gioia e pazienza. Ma soprattutto—ascoltatevi.”

Isabella in quel momento era distratta da un parente lontano. Quelle parole non la toccarono. Per lei contavano solo i numeri.

Ginevra guardò le pareti della cucina, la macchinetta del caffè, il servizio da tè. Tutto in quella casa era iniziato da quella busta. I lavori, gli elettrodomestici, i mobili.

Aveva sempre pensato che la madre volesse solo aiutare. Ma ora capiva: non era un regalo. Era un investimento. E con ogni richiesta, Isabella cercava di incassare gli interessi.

Passò una settimana. Poi un’altra. Si sentivano ancora, ma solo se era lei a chiamare. A volte Ginevra allungava la mano verso il telefono, poi si fermava. No, non era arrabbiata. Solo non voleva tuffarsi in una doccia fredda di rimproveri.

Enzo ora rifiutava di parlare con la suocera.

“Se vuoi, vai tu,” disse alla moglie. “Io non ascolterò che devo ‘ripagare’ il regalo. Nella mia famiglia non ci sono investitori.”

Quelle parole ferirono, ma Ginevra tacque. Aveva torto?

Sentiva che non poteva evitare lo scontro per sempre. Un giorno, con coraggio, provò a parlarne.

“Mamma, ci hai aiutato davvero tanto, e lo sappiamo,” iniziò cauta. “Ma la gratitudine non è un debito.”

Isabella alzò le sopracciglia, sgranò gli occhi, come se avesse sentito una follia.

“Ma come? E il contraccambio? Il bicchiere d’acqua nella vecchiaia? I figli devono aiutare i genitori. È per questo che vi cresciamo.”

Qualcosa in Ginevra si spezzò. Sapeva che sarebbe finita così, ma sentirlo dire…

Le tornò in mente la ricerca della casa. Passava ore su Immobiliare.it e Subito. Enzo misurava le distanze dalla metro, confrontava i lavori. Avevano trovato un monolocale in periferia, pulito, con un balcone. Non un palazzo, ma accogliente. E rientravano nel budget.

Isabella, sentendolo, propose di aggiungere soldi per prenderne uno più grande.

“Che ci state stretti? E poi con i figli? Posso aiutarvi. Un giorno mi ringrazierete.”
“Ci basta così,” tagliò corto Enzo. “Vogliamo farcela da soli.”

Ginevra lo aveva trovato diffidente.

“Enzo, ti opponi come se mamma volesse gli interessi,” rise. “Mica siamo in banca.”

Isabella fece una smorfia, ma alla fine accettò.

“Fate come vi pare. Volevo solo aiutarvi.”

Ora Ginevra gli era grata per quella diffidenza. Altrimenti il debito sarebbe raddoppiato.

Ultimamente anche i suoceri, sempre gentili, erano più freddi. Ornella parlava con lei senza entusiasmo. Vittorio lanciava battute taglienti.

“Abbiamo sentito che la casa è merito della suocera, eh?” disse una volta a tavola. “Che dote, Ginevra. Non come noi.”

Lei non capiva da dove venisse quel vento. Poi scoprì che al compleanno di Enzo, sua madre aveva sussurrato a una parente:

“Quasi tutta la casa l’ho pagata io. I suoceri sono nullatenenti. Che i ragazzi non soffrano per questo.”

La notizia era arrivata alle orecchie giuste. Per Ornella e Vittorio era doppiamente amaro, perché in realtà avevano contribuito con un quarto del costo. Non molto, ma qualcosa.

E Ginevra non sapeva come rimediare. Non era stata lei a parlare, ma la vergogna era sua.

Quella sera, seduta davanti a Enzo che scorreva le notizie sul telefono, ci mise un minuto a trovare le parole.

“Senti, io… Sono in mezzo al fuoco. Ma non sono stupida. Vedo tutto.”

Lui posò il telefono e la guardò.

“Non voglio litigare con mamma, ma…” esitò. “Il suo aiuto ci costa troppo. Non voglio vivere in debito.”Ginevra posò la forchetta, guardò Enzo e i suoceri, e per la prima volta si sentì veramente a casa.

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