Vi prepariamo per il futuro

“Vi ho cresciuto proprio per questo”

— Io vi ho dato più di tutti, quindi ho il diritto di ricevere più aiuto. O ti sei dimenticata dell’appartamento?

La voce della mamma al telefono era esigente, un rullo compressore sui nervi. Livia teneva la cornetta stretta tra la spalla e l’orecchio, con una mano reggeva la pentola e con l’altra mescolava la farina d’avena.

— Mamma, ma abbiamo già deciso. Io ed Enzo andiamo dai suoi genitori sabato — cercò di nascondere la tensione nella voce. — Abbiamo promesso di aiutarli nell’orto. Hanno un sacco di lavoro.

— E da me, invece, tutto si sistema da solo? — ribatté Ines con sarcasmo, sbuffando. — Il facchino si è ubriacato di nuovo. Devi aiutarmi a spostare le scatole. Venite domani mattina, per pranzo finiamo. Poi potete andare nel vostro orto.

Livia si lasciò cadere sulla sedia, sentendo il cuore accelerare. Queste conversazioni erano sempre uguali. La mamma non chiedeva mai. Pretendeva. E le sue ragioni erano di ferro, pesanti, con il retrogusto del debito morale. Anzi, del debito e basta.

— Mamma, abbiamo già promesso. Si vedono già così poco con noi. Non posso cancellare tutto all’ultimo momento — ripeté, pur sapendo che era inutile.

— Ah, ecco come stanno le cose? — Ines alzò la voce. — Io ho dato tutto a mia figlia, e lei guarda altrove?

Livia chiuse gli occhi. Eccola lì… Adesso comincia.

— Ti ricordi il matrimonio? Chi vi ha dato i soldi per l’appartamento? I suoceri? Loro non riescono nemmeno a rifarsi la casa, vivono in un rudere. Se non fossi stata io, saresti ancora in affitto.

Enzo aveva sentito tutto dalla stanza accanto. O quasi. Il resto lo capiva dalla reazione della moglie. Era già sulla porta della cucina, appoggiato allo stipite, le braccia incrociate. Livia sentiva il suo sguardo addosso. Interruppe la chiamata e lo guardò.

— Hai sentito tutto? — chiese con cautela.
— Quello che bastava — rispose lui, secco. — Che non chiami più. Crede di averci comprati?

Livia voleva ribattere, ma le parole le si bloccarono in gola. Capiva Enzo. Ogni volta che la mamma “ricordava” il suo aiuto, si sentiva a disagio. Come se non vivesse nella sua casa, ma in un affitto. E il padrone di casa fosse sua madre.

Enzo uscì sul balcone, tirando fuori il pacchetto di sigarette. La porta sbatté così forte che Livia trasalì.

Rimase seduta, la testa tra le mani. All’inizio credeva che la mamma volesse solo il meglio per lei. Ma ora quel miele aveva un retrogusto amaro.

Al matrimonio, Ines era al centro dell’attenzione. Indossava un vestito rosso fuoco, come se non fosse la figlia a sposarsi, ma lei. Tavola imbandita, musicisti, due presentatori… Tutto grazie a Ines.

Quando arrivò il momento dei regali, la madre si alzò, sollevò la busta e, sorridendo, disse:

— Cari figli, questo è il vostro inizio. Vi auguro tutto il meglio. Ecco da parte mia…

E annunciò la cifra. Non a bassa voce, non all’orecchio, ma perché tutti sentissero, compresi i suoceri.

Livia sentì la stretta di Enzo sotto il tavolo. I suoi genitori, Olga e Vittorio, consegnarono la busta dopo, con discrezione, senza cifre, ma con calore negli occhi.

— Non siamo ricchi, ma questo viene dal cuore — disse Vittorio, arrossendo. — Felicità e pazienza. E soprattutto, ascoltatevi.

Ines in quel momento parlava con un parente lontano. Quelle parole non la toccarono. Per lei contavano solo i numeri.

Livia guardò le pareti bianche della cucina, la pentola a pressione, il servizio da tè. Tutto in quella casa era partito da quella busta. Il rifacimento, gli elettrodomestici, i mobili.

Credeva che fosse solo un regalo. Ma ora capiva: era un investimento. E ogni richiesta di Ines era un prelievo.

Passò una settimana. Poi un’altra. Si sentivano ancora, ma solo per iniziativa di Ines. A volte Livia pensava di chiamarla, ma si fermava. Non era arrabbiata. Solo stanca di quell’ostilità velata.

Enzo ormai evitava la suocera.

— Se vuoi, vai tu — le disse. — Io non ascolterò più che devo “ripagare” un regalo. Nella mia famiglia non ci sono azionisti.

Quelle parole ferirono, ma Livia tacque. Aveva torto?
Sentiva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la situazione. Un giorno, trovò il coraggio di parlare con la madre.

— Mamma, ci hai aiutato tanto, e te ne siamo grati — iniziò con cautela. — Ma la gratitudine non è un obbligo.

Ines alzò le sopracciglia, sbalordita.

— Come sarebbe? Non hai mai sentito parlare di reciprocità? Del bicchier d’acqua nella vecchiaia? I figli devono aiutare i genitori. Vi ho cresciuto proprio per questo.

Qualcosa dentro Livia si spezzò. Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, ma quelle parole…

Le tornò in mente la ricerca della casa. Ore passate su siti immobiliari. Enzo controllava distanze dalla metro, confrontava i prezzi. Trovarono un bilocale perfetto per il budget.

Ines propose di dare più soldi per un trilocale.

— Come vivrete stretti? E con i figli? Vi aiuto io, poi mi ringrazierete.
— Va bene così — tagliò corto Enzo. — Vogliamo farcela da soli.

Livia allora lo aveva trovato esagerato.

— Enzo, sembra che mamma voglia gli interessi — rise. — Non è una banca.

Ines fece una smorfia, ma alla fine accettò.

— Fate come volete. Volevo solo aiutare.

Ora Livia era grata a Enzo per la sua diffidenza. Altrimenti il debito sarebbe raddoppiato.

Ultimamente anche i suoceri, sempre gentili, erano più freddi. Olga parlava a monosillabi. Vittorio faceva battute taglienti.

— Abbiamo sentito che l’appartamento è grazie alla suocera, eh? — ridacchiò una volta. — Bella dote che ha Livia. Non come noi.

Livia non capiva. Poi scoprì che al compleanno di Enzo, la mamma aveva sussurrato a una parente:

— Quella casa l’ho pagata quasi tutta io. I suoceri sono poveri. I ragazzi non devono soffrire.

La notizia era arrivata alle orecchie sbagliate. Vittorio e Olga si sentirono umiliati: in realtà, il loro regalo aveva coperto un quarto del costo.

Quella sera, Livia si sedette davanti a Enzo. Lui scrollava le notizie sul telefono. Ci volle un minuto per trovare le parole.

— Senti, io… Sono in mezzo a due fuochi. Ma non sono stupida. Capisco tutto.

Enzo posò il telefono e la guardò.

— Non voglio litigare con mamma, ma… — esitò. — Il suo aiuto ci costa troppo. Non voglio sentirmi in debito per sempre.
— Non è più un debito. È una guerra che distrugge la nostra famiglia. Piano piano, mattone dopo mattone.

Livia annuì. Capì che Enzo era con lei. Le dava il permesso di frenare.

— Basta. Niente più affari mascherati da affetto — disse piano. — Se vuole parlare, bene. Ma non cadrò più nei suoi ricatti. Anche se dovessi essere dura.

NonE finalmente, per la prima volta, Livia si sentì libera, sapendo che la vera famiglia non misura l’amore in euro, ma in silenzi complici e abbracci senza condizioni.

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